Nei giorni scorsi il dicastero Vaticano per i Laici, la Famiglia e la Vita e con una prefazione di papa Francesco, ha pubblicato gli “itinerari catecumenali per la vita matrimoniale”. Leggendolo, si trovano confermati, uno per uno, tutti i capisaldi della visione cattolica ufficiale del matrimonio e della vita di coppia. Anche in questi ultimi anni di pontificato, Papa Francesco è interessato a confermare la continuità politica e teologica col passato. Lo si era visto all’inizio del 2020 sulla questione dei preti sposati in Amazzonia, se ne ha conferma oggi su quella del matrimonio e della castità.

A chi piacciono i corsi

Il documento offre però l’opportunità di parlare dei matrimoni cattolici che, pur in calo, prima del Covid, coinvolgevano quasi 100mila persone ogni anno.

Mi sono occupato del tema alcuni anni fa nell’ambito di una ricerca sulla secolarizzazione della società italiana e ho partecipato a molti corsi prematrimoniali e poi intervistato molti parroci e molte coppie di sposi attive nella preparazione dei fidanzati.

Avevo così appreso i militanti di quasi tutti i cosiddetti movimenti cattolici erano entusiasti all’idea di frequentare un corso prematrimoniale che durasse molti mesi e che prevedesse decine di incontri.

Sul fronte opposto erano invece posizionati, almeno nei grandi centri, quei fidanzati che cercavano il corso prematrimoniale più breve possibile. Quattro cinque incontri, non di più.

Esistono dei “formatori di professione” al matrimonio cattolico, delle vere e proprie equipe di coppie specializzate nel preparare gli sposini con metodi aziendali: slide, comunicazione interpersonale, counseling e dimostrazione dei vantaggi sanitari dei “metodi naturali” alternativi alla contraccezione.

Anche per molti preti la preparazione e la celebrazione di un matrimonio di ragazzi estranei alla vita parrocchiale è una pena. «Non sanno niente del cattolicesimo. E non gliene frega niente», mi ha detto uno di loro riferendosi in generale agli sposini. «Vengono qui perché li costringe qualche mamma. Cerco di liquidarli il prima possibile perché non sopporto la loro ipocrisia».

Per non parlare di quel che succede durante la cerimonia: i fotografi che spuntano da tutte le parti, i parenti coi cellulari che parlano e sghignazzano, persone che entrano ed escono continuamente dalla chiesa, i testimoni che guardano lo smartphone, nessuno che sappia rispondere, che conosca la funzione. «Da questo punto di vista, i funerali sono un po’ meglio. Almeno lì la gente è triste e, pur non partecipando alla funzione, mantiene un atteggiamento composto e serio», diceva il prete.

A reggere le sorti dei corsi provvedono coppie di sposi “maturi”, con alle spalle alcuni anni di matrimonio. Nella maggior parte degli incontri, in assenza del prete, la fede e la religione finiscono sullo sfondo e il tempo è occupato da giochi di ruolo e riflessioni sulla bellezza e le difficoltà della vita in comune.

La Chiesa viene tirata in ballo da qualche partecipante (e soprattutto in presenza del parroco) più per lamentarne le mancanze che per elogiarne il ruolo: qualcuno protesta per lo spazio accordato all’Opus Dei, qualcun altro per la complicità con i pedofili, qualcun altro ancora per la distanza dal messaggio evangelico, per i troppi soldi, per gli scandali, per la posizione intransigente sull’omosessualità, eccetera.

Senza ragazzi

Sta cambiando qualcosa? In questi giorni ho chiamato al telefono alcuni dei preti che ho conosciuto più di recente. Mi hanno confermato la sostanziale validità del ritratto che ho fatto a suo tempo.

Un sacerdote bresciano mi ha confidato che nella sua parrocchia molti sposini arrivano da fuori attratti dalla bellezza della location: «Di ragazzi di qui ormai ne sposo pochissimi, che frequentino la parrocchia ancora meno. Spesso vengo contattato direttamente dagli agriturismi della zona che, per conto della coppia che casomai sta a Milano o altrove, negoziano con me tutti i dettagli della cerimonia. Il prete è ormai parte del pacchetto matrimoniale».

Le cerimonie sono sempre più invase da figure esterne rispetto al celebrante. «Una volta – mi ha rivelato don Maurizio – mi sono davvero irritato perché durante la funzione quello che era una sorta di regista coordinava ad alta voce l’attività dei diversi cameraman».

Nel mondo reale

La quasi totalità degli sposini, oggi come dieci anni fa, convive. E tutti, anche i non conviventi, compresi i cattolici militanti, fa l’amore con il fidanzato o la fidanzata e lo riferisce al prete senza particolari pudori. «Ma cosa vuoi che parli loro della castità – sbotta don Lucio – Non vengono mica a chiedere a me cosa devono fare a letto. E, detto tra noi, è giusto così. Quando la Chiesa smetterà di essere ossessionata dal sesso, molte cose andranno a posto».

Anche sulle separazioni il ruolo giocato dal prete è molto diverso da quello prescritto dai documenti vaticani. Tutti i sacerdoti che ho ascoltato confermano di non adoperarsi per impedire a tutti i costi una rottura del matrimonio.

«I giovani cattolici che si uniscono e si separano come gli altri. Talvolta io li aiuto a farlo in modo civile. Le separazioni sono dolorose e quando la gente giunge a prendere quella via significa che ci ha pensato bene. Come faccio io a intromettermi, a convincerli a desistere?». Con tutti questi limiti, i corsi prematrimoniali svolgono comunque delle funzioni importanti, spesso slegate dal contesto squisitamente religioso. Aiutano le coppie a ragionare sul senso del proprio stare insieme, a confrontarsi con altre coppie.

I corsi rappresentano la scena nella quale emergono dei valori profondi, rilevanti anche in una prospettiva cristiana. Per esempio quello della fedeltà che, come attestano molte ricerche sociologiche, è cruciale per le giovani generazioni, che lo declinano non in termini formali, ma sentimentali e morali, come espressione di sincerità e di libertà.

Sono elementi che sfuggono completamente agli estensori dell’ennesimo inutile documento magisteriale preoccupato solo di ribadire una verità eterna e la superiorità morale di chi ne sarebbe depositario, l’istituzione ecclesiastica. Osservare il gregge può insegnare che questo non è depositario solo di peccati. Forse un giorno lo capiranno anche a Roma.

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