Nel colloquio riservato svoltosi tra Mario Draghi e Angela Merkel a Roma il 7 ottobre scorso la cancelliera tedesca sembra abbia espresso pessimismo e preoccupazione sui futuri rapporti transatlantici con gli Stati Uniti. Un segnale importante perché fatto da colei che ha interpretato il ruolo per 16 anni di “regina d’Europa” al più atlantista dei primi ministri italiani dal dopoguerra. Una sorta di passaggio di testimone al premier italiano in odore di diventare presidente della Repubblica.

Il 7 ottobre scorso Angela Merkel ha varcato il portone di Palazzo Chigi per incontrare il premier Mario Draghi, sua vecchia conoscenza dai tempi della Bce. «Ringrazio la cancelliera per il ruolo determinante che ha avuto nel disegnare il futuro dell’Europa», ha detto in quell’occasione il presidente del Consiglio. «Durante gli anni a Francoforte alla guida Bce la cancelliera ha sostenuto con grande convinzione l’indipendenza della banca centrale anche quando venivamo attaccati (dalla Bundesbank di Jens Weidmann, ndr) per le politiche espansive necessarie per salvaguardare l’integrità della moneta unica, criticati perché agivamo per allontare i rischi di deflazione, le sono grato per gli scambi in quegli anni difficili». «Forse sarà il nostro ultimo incontro bilaterale, mi fa molto piacere essere qui».

Merkel è sembrata a suo agio con Mario Draghi e le sue calorose parole di apprezzamento. «In pochi mesi si è creata una collaborazione molto stretta. Come quando era alla Bce e Draghi è stato un garante dell’euro», ha risposto la cancelliera tedesca. «Dobbiamo lavorare anche sugli investimenti futuri, partendo dalla crisi del Covid e dobbiamo portare avanti un lavoro comunitario», ha aggiunto Merkel. Poi, ha aggiunto sibillina: «Il mio amore per l’Italia continuerà, farò un soggiorno a Roma, tornerò in Italia in altre vesti».

Successivamente c’è stato un colloquio privato di 45 minuti in cui la Merkel ha parlato direttamente con Draghi e in quel momento gli avrebbe espresso, secondo fonti riservate di Palazzo Chigi, le sue perplessità sull’atteggiamento del presidente democratico Joe Biden sempre più simile alle politiche unilaterali di Donald Trump nei confronti dei dossier relativi alla Russia, Cina, Afghanistan e difesa europea.

Una visione isolata?

Un’analisi isolata di una cancelliera sulla via del tramonto dopo aver avuto colloqui di lavoro con quattro presidenti americani (Bush, Obama, Trump e Biden) per 23 viaggi alla Casa Bianca in 16 anni di governo? Non proprio.

Frank Bruni, in un’opinione pubblicata il 22 settembre sul New York Times e intitolata “La presidenza di un anti-Trump sbatte contro il trumpismo. Alleati arrabbiati. Caos al confine. Suona familiare tutto questo?”, mette in fila una serie di inquietanti somiglianze di fondo tra Biden e Trump che non avrebbero dovuto più emergere. Eppure l’America sembra tornare al trumpismo senza Trump. Frank Bruni scrive in dettaglio: “Biden si è ritirato dall’Afghanistan senza il grado di consultazione, coordinamento e competenza che gli alleati si aspettavano, almeno da qualsiasi presidente americano che non si chiamasse Trump”. E sulla questione dei migranti aggiunge: “E il ritorno di centinaia di disperati migranti haitiani ad Haiti voluto da Biden... sembra anche a molti osservatori un atteggiamento da Trump”. La conclusione di Bruni è sconsolata: “Biden è ben lontano da Trump. Alleluia. Ma questo non significa che non sia toccato da Trump”. Insomma c’è un trumpismo in America che sembra essere entrato nel sangue anche dei democratici e sembra resistere come colonna sonora di fondo del paese.

Stessi toni usa il 22 settembre 21 Elise Labott, columnist a Foreign Policy e adjunct professor presso l’American University’s School of International Service in un articolo intitolato: “Dopo che la Casa Bianca ha cambiato inquilino, ha cambiato tono ma non le politiche. Che si tratti di snobbare gli alleati, usare l’arma delle tariffe o espellere i rifugiati, l’amministrazione Biden a otto mesi sembra poco cambiata rispetto a quella di Trump”. All’interno scrive: “A otto mesi dalla sua presidenza, Biden deve ancora trasformare quella retorica in politica. Potrebbe aver disprezzato l’approccio America first di Trump, ma sta facendo del suo meglio per portare avanti l’eredità di Trump su tutto, dalla politica estera al commercio e all’immigrazione”.

Anche Charles Lane sul Washington Post del 18 maggio 21 in un articolo intitolato “Biden sembra l’opposto di Trump in ogni modo ma non lo è” scrive: “Nel 2018, Trump ha lanciato una guerra commerciale contro la Cina, imponendo nuove tariffe che ora colpiscono i due terzi di tutte le importazioni statunitensi dalla Repubblica popolare, a un tasso medio del 19,3 per cento, secondo il Peterson Institute of International Economics. Biden ha mantenuto queste tariffe sin dal suo insediamento”.

Poi lo scorso settembre arriva la crisi dei sottomarini tra Francia e Usa, Australia e Gran Bretagna. Parigi è furibonda al punto che il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian per descrivere l’amarezza francese dice: «Peserà sul futuro Nato, Biden è come Trump senza twitter». Uno sfogo di un paese che coltiva sogni più grandi delle sue possibilità? Forse, ma anche la Germania rimane scossa dalla decisione unilaterale di Washington di procedere nell’Asia-Pacifico senza nemmeno consultare gli alleati europei.

Un passo indietro

Facciamo un passo indietro al 16 luglio 2021 a Washington quando Angela Merkel, nel corso della sua ultima visita ufficiale, ha cercato di rilanciare la storica alleanza tra Stati Uniti e Germania nell’incontro che ha avuto con Joe Biden alla Casa Bianca. Per segnare il rilancio dell’alleanza tra Washington e Berlino dopo gli anni burrascosi dell’America first di Donald Trump, i due leader hanno firmato la dichiarazione di Washington in cui si impegnano a una ”stretta collaborazione per promuovere pace, sicurezza e prosperità in tutto il mondo”. Ma è solo un atteggiamento di facciata. «La mia posizione su Nord Stream 2 è nota da tempo – osserva Biden – ma quando sono diventato presidente era completato al 90 per cento e imporre sanzioni non è sembrato avere senso». È la resa americana. Ma le distanze tra i due alleati si allargano.

Merkel vorrebbe anche che la partnership economica con la Cina di Xi Jinping (primo partner commerciale della Germania) vada tenuta separata dal confronto tra Pechino e Washington. Berlino ha cercato l’affondo con la firma di un accordo sugli investimenti tra Ue e Cina a dicembre 2020 prima dell’insediamento di Biden, intesa poi sospesa a marzo 21. Le divergenze restano.

La telefonata rifiutata

Appena insediatosi alla Casa Bianca, il presidente Joe Biden - secondo il Wall Street Journal - aveva deciso di effettuare la prima chiamata da leader della Casa Bianca alla cancelliera tedesca. Il fatto che Merkel si sia sottratta alla telefonata di Biden conferma che i rapporti con Washington non sono più tornati come prima dopo la cesura di Trump.

Merkel all’inizio era stata una forte sostenitrice di stretti rapporti transatlantici. Poi le cose si sono raffreddate nel 2013 con la notizia che durante l’amministrazione Obama i servizi segreti statunitensi avevano spiato la cancelliera per anni. Merkel ha commentato: «Spiarsi tra amici, è inaccettabile». Ma lo scontro si è fatto ancora più acuto con la crisi dei debiti sovrani europei quando Obama ha chiesto politiche monetarie e fiscali espansive mentre la Merkel e il suo ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble hanno imposto l’austerità aggravando la recessione.

Con la presidenza Trump e il suo slogan “America first” i rapporti transatlantici hanno toccato il punto più basso. Fino alla frase della Merkel al G7 a Taormina nel 2017 quando di fronte agli atteggiamenti di sfida di Trump la cancelliera ha detto: “I tempi in cui potevamo fare affidamento sugli altri sono finiti”. Cioè ormai è impossibile fidarsi degli Stati Uniti. Ma quello che nessuno poteva immaginarsi è che la frase non si riferiva solo all’amministrazione Trump ma più in generale agli Stati Uniti anche a guida democratica.

La verità è che il tanto atteso Reset di Joe Biden nei rapporti transatlantici tra Europa e Stati Uniti non c’è stato. L’”America first” rimane in sottofondo, in modi meno aggressivi ma come segno ingombrante di continuità con la politica unilaterale dell’ex presidente repubblicano Donald Trump.

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