Perché il report della Conferenza episcopale italiana sugli abusi nella chiesa italiana è così povero di numeri e di circostanze, senza praticamente una parola per le vittime? Perché questo è un atteggiamento diffuso e ostentato almeno in una parte del clero italiano e dei suoi vertici.

Lo dimostra una vicenda alla quale Domani ha dedicato due approfondimenti firmati da Federica Tourn e che ha suscitato un attacco contro il nostro giornale da parte dell’avvocato della diocesi di piazza Armerina, Gabriele Cantaro, a difesa del vescovo Rosario Gisana. La vicenda è quella ricostruita da Tourn nell’ambito dell’inchiesta sostenuta dai lettori di Domani con donazioni che va avanti da mesi: don Giuseppe Rugolo è sotto processo a Enna dal 7 ottobre 2021 ed è stato arrestato il 27 aprile 2021 con l’accusa di violenza sessuale su tre minori.

L’indagine parte dalla testimonianza di una vittima, Antonio Messina, che ha trovato la forza di denunciare, dopo che i suoi genitori avevano provato a ottenere una punizione per don Rugolo attraverso i processi interni alla Chiesa, rivolgendosi al vescovo Gisana.

Che, come rivelato lunedì da Domani, ha usato i fondi dell’8 per mille per pagare i debiti del prete molestatore Rugolo e aveva pianificato di dare 25mila euro alla famiglia per tacitare il tutto, sottraendoli alla Caritas.

Ora, l’avvocato della diocesi di Gisana scrive a Domani e fa uscire il suo sterminato comunicato su siti locali e su Facebook.

Lo riportiamo per intero in fondo ma, in sostanza, l’avvocato Cantaro contesta a Domani tre cose:

  1. il vescovo non ha insabbiato e non ha provato a evitare il processo, e neanche ci sono stati ritardi nelle tempistiche perché è un dato processuale accertato che tanto i genitori del Messina Antonio quanto quest’ultimo personalmente abbiano deciso inizialmente di non presentare una denuncia all’autorità giudiziaria ma di chiedere un accertamento in sede canonica e con le regole del diritto canonico.
  2. L’avvocato considera “diffamatorio” dare l’impressione che il risarcimento sia un autonomo tentativo del vescovo di “comprare” il silenzio della famiglia Messina offrendo il denaro della Caritas, dimenticando che il vescovo, come loro ben sapevano, agiva nel contesto e nel rispetto delle regole del diritto canonico, da loro liberamente scelto, nel trattare i termini di una loro richiesta risarcitoria.
  3. Le molestie non erano molestie, “posto che lo stesso ha avuto cura di precisare che, al suo invito rivolto a Rugolo di cessare le proprie effusioni, in due distinti e successivi momenti, abbia fatto seguito l’immediata interruzione delle stesse”.

A novembre 2018 a Enna è tutto pronto per il solenne insediamento nella chiesa di San Cataldo. Ma qualcosa manda a monte la festa per il nuovo parroco Giuseppe Rugolo: la presa di possesso avviene in sordina per decisione del vescovo e don Giuseppe per il dispiacere finisce addirittura in ospedale.

Quello che sembra soltanto un intoppo nella brillante carriera di un prete molto popolare, leader indiscusso di un gruppo giovanile che conta più di duecento ragazzi, è invece il preludio di uno scandalo che culminerà più di due anni dopo nell'accusa di violenza sessuale su tre minori, secondo gli articoli 81 e 609 del codice penale.

A denunciare è un giovane, Antonio Messina, all'epoca dei primi abusi appena sedicenne; durante l'inchiesta vengono individuati altri due minorenni vittime del prete. La gip Luisa Maria Bruno dispone gli arresti domiciliari per il rischio della reiterazione del reato e la tendenza dell'indagato «a cedere alle pulsioni sessuali in maniera incondizionata».

Un leader per i giovani

Nell'estate del 2009 don Giuseppe ha ventotto anni, è ancora seminarista e si occupa della pastorale giovanile. Antonio Messina invece è uno degli animatori del gruppo estivo di cui Rugolo è responsabile; vorrebbe entrare in seminario ma è in una fase di confusione sulla sua identità sessuale.

Ne ha parlato proprio con don Giuseppe che con il suo modo di fare incoraggia le confidenze dei ragazzi. Secondo quanto racconta Antonio, Rugolo approfitta di un momento in cui sono soli per costringerlo a masturbarlo: «Non c'è niente di male», gli avrebbe detto il prete per calmarlo, lo stava solo aiutando «a comprendere le sue inclinazioni». Gli approcci vanno avanti fino al 2013, quattro anni in cui il ragazzo subisce una vera persecuzione, braccato in chiesa e controllato al telefono, blandito in privato e umiliato davanti a tutti se cerca di prendere le distanze.

Quando Antonio instaura una relazione con un suo coetaneo, don Rugolo si oppone dicendo che commette peccato perché deve fare sesso solo con lui. Spaventato, soggiogato dalla personalità manipolatrice del prete, il ragazzo viene aggredito in canonica, in sagrestia, dietro l'altare prima della messa: «Sentivo di non avere via di scampo», dice agli inquirenti.

Dopo Messina, il prete continua la caccia. Nel 2015 fonda l'associazione giovanile 360, nuovo bacino di pesca per le sue conquiste: sceglie cinque o sei ragazzi, il suo “cerchio magico”, con cui instaura un rapporto informale fatto di battute sessiste, toccatine sui genitali e ritiri notturni in canonica. A uno di loro, con cui divide il letto e la doccia, regala soldi e manda messaggi pieni di cuoricini e “ti amo”, “notte principessa mia”, “amore mio”.

Il ritratto di Rugolo che emerge dall'ordinanza di custodia cautelare è di una “prima donna”: egocentrico e permaloso, distribuisce favori e punizioni a seconda dell'umore. Anna (nome di fantasia), parrocchiana sua coetanea, ricorda: «Lo trovavi nei locali a tutte le ore, beveva e fumava canne coi ragazzi, li apostrofava con “ciao puttanella, ciao coglioncello”, li chiamava al telefono per chiedergli di raggiungerlo in piena notte. Un megalomane».

Una frenesia mai nascosta

Rugolo non era discreto nella sua frenesia, ma le autorità ecclesiastiche sembravano non accorgersene, anche se il vizio di don Giuseppe era noto.

Nel 2014 Messina si era deciso a raccontare tutto al parroco che lo aveva visto crescere, Pietro Spina, che non gli aveva creduto.

L'anno successivo si era confidato con l'attuale vicario giudiziale del tribunale ecclesiastico Vincenzo Murgano il quale gli aveva consigliato di non denunciare l'accaduto e tirare avanti senza nemmeno avvertire il vescovo. Soltanto nel 2016 il vescovo di Piazza Armerina Rosario Gisana, finalmente avvertito da un altro parroco, convoca Rugolo che però in un primo tempo nega. Gisana temporeggia, in attesa di parlare con Messina: incontro che si concretizza dopo altri due anni.

Di fronte al racconto della vittima, che dichiara di aver subito violenze fisiche e psicologiche, il vescovo richiama il prete che, proprio alla vigilia del suo ingresso ufficiale in San Cataldo, «dopo pianti e disperazione», ammette (almeno in parte) l'abuso.

La reazione del vescovo di fronte all'evidenza rappresenta bene l'atteggiamento della Chiesa: innanzitutto il silenzio. Da un lato avvia l'indagine sulla condotta del prete, dall'altro offre alla famiglia del ragazzo 25 mila euro purché non risulti da nessuna parte che si tratta di un risarcimento per un abuso sessuale.

«Dovevano essere in contanti, il vescovo disse ai miei genitori che li avrebbe presi dai fondi della Caritas», dice Messina. «Mi chiesero di firmare una clausola extragiudiziale di riservatezza in cui, in cambio di questa somma, io mi impegnavo a non parlare più con nessuno di quanto mi era successo. Ho avuto la sensazione di essere comprato». «Il riserbo era una richiesta della famiglia – dichiara invece l'avvocato della curia vescovile Gabriele Cantaro – Non è stata fatta alcuna offerta di denaro con l'intento di comprare il silenzio della parte offesa.

Anzi, la trattativa parte proprio dalla famiglia, in un primo momento come sostegno per le spese sostenute e poi a titolo risarcitorio». L'accordo economico in ogni caso non si conclude e Antonio non viene nemmeno informato sull'esito dell'inchiesta ecclesiastica, un nulla di fatto.

A Ferrara “per curarsi”

Intanto Gisana decide di mandare il prete pedofilo nella diocesi di Ferrara, ufficialmente per motivi di salute. Oggi il vescovo di Ferrara Gian Carlo Perego (presidente della commissione CEI per le migrazioni e della Fondazione Migrantes) sostiene che la permanenza del prete ennese «è stata concordata con la finalità del completamento degli studi presso l'ateneo di Padova».

Perego sapeva che Rugolo aveva precedenti pedofili? «Ero stato informato dal vescovo Gisana di un procedimento a carico di don Giuseppe per un episodio precedente la sua ordinazione, ma mi mostrò che tale vicenda era già stata valutata dalla Congregazione della Dottrina della Fede, e che non costituiva assolutamente una limitazione alla sua presenza da noi». Infatti Rugolo, nella parrocchia di Vigarano Mainarda in provincia di Ferrara, nell'estate 2020 organizza addirittura un campo per adolescenti.

Il suo cuore però è rimasto ad Enna, dove continua a seguire i “suoi” ragazzi e ogni tanto compare senza avvertire il vescovo: «Nell'estate del 2020 ha addirittura celebrato un matrimonio – ricorda Anna – lo si vedeva girare in centro, prendeva l'aperitivo con i ragazzi con un atteggiamento strafottente».

Lo confermano gli stralci delle intercettazioni citate nell'ordinanza di custodia cautelare: Rugolo si sente punito ingiustamente e fa pressioni sulla curia per tornare a casa. «Io voglio fare il Grest con i ragazzi! Perché sennò li perdo tutti questi ragazzi!», si lamenta con padre Spina a gennaio 2021, salvo disperarsi giorni dopo quando sui social si diffonde la notizia che un prete di Enna è stato denunciato per abusi: Messina, infatti, dopo aver scritto invano anche al papa, si è rivolto alla polizia.

Il vescovo intercettato

Se Rugolo piange, monsignor Gisana certo non ride. In un'intercettazione pubblicata integralmente dal Mattino, il vescovo ammette il suo coinvolgimento: «Il problema è anche mio perché io ho insabbiato questa storia… eh vabbè, pazienza, vedremo come poterne uscire!». Ma i fedeli firmano petizioni di solidarietà per il prete pedofilo e il vescovo che lo protegge, solidali con dei sacerdoti attenti a coprirsi le spalle l'un l'altro, e pazienza se a venire sacrificati sono i ragazzini. Significativo il commento del vicario generale don Antonino Rivoli che, interrogato dagli inquirenti, ammette: «Nessuno di noi pensò di dover informare l'autorità giudiziaria dato che gli abusi erano stati commessi su un minore».

Giuseppe Rugolo è stato arrestato il 27 aprile 2021 e il processo a suo carico si è aperto a Enna il 7 ottobre scorso. A porte chiuse. La prossima udienza sarà il 7 luglio. Nel frattempo gli sono stati revocati gli arresti domiciliari. Nell'ordinanza si legge che in Emilia ha avuto rapporti con due diciannovenni del luogo e incontrato in un albergo di Ravenna un suo ex allievo di Enna. Dall'analisi del suo pc sono emersi innumerevoli download di foto di uomini nudi; fra marzo 2020 e gennaio 2021 si sono registrati accessi a siti porno con la chiave di ricerca “teen” a qualsiasi ora, con una media di almeno 60 al giorno.

Per il vescovo Perego «durante il periodo trascorso in arcidiocesi, non è accaduto nulla di mia conoscenza che facesse dubitare della sua condotta sacerdotale». Don Murgano, il prete che aveva suggerito ad Antonio di dimenticare la violenza, è dal 2019 referente del servizio per la tutela dei minori della diocesi di Piazza Armerina.

 

Il problema

Sui reati deciderà il tribunale di Enna. Ma ci sono alcuni fatti che emergono dalle carte processuali in modo evidente, e che aiutano a inquadrare il problema della pedofilia nella chiesa e di come lo gestiscono i vertici italiani.

Il primo è che i genitori di Messina, il papà è pure un poliziotto, non si sono rivolti al vescovo e al binario della giustizia ecclesiastica soltanto perché volevano evitare al figlio anche il trauma della esposizione pubblica del suo caso. Ma perché pensavano che il prete molestatore potesse ricevere una sanzione addirittura maggiore, magari perdere l’abito talare, ed essere messo in condizione di non nuocere. Hanno sbagliato, ma soltanto a fidarsi di un vescovo che invece aveva ben altre priorità. Il risarcimento, si evince dalle intercettazioni ambientali delle conversazioni tra i genitori e il vescovo, doveva servire a pagare spese di assistenza e percorsi terapeutici che una famiglia normale faticava ad affrontare.

Non certo per arricchirsi, e men che meno in cambio dell’impunità per il prete molestatore. Ma anche questo aspetto della questione è estraneo alle preoccupazioni tanto del vescovo quanto dell’avvocato.

Quanto a cercare di ridurre le violenze a effusioni consensuali, è tipico di una cultura che chiede alla vittima di doversi giustificare invece che all’abusatore. Anche lo stesso vescovo Gisana ha tradito questo approccio quando, al telefono con un altro prete, ha detto: «Tu li conosci questi omosessuali, non è che noialtri veniamo da Marte, sono fatti così – come si sente in un'intercettazione letta in aula durante l'ultima udienza – amano o odiano in maniera viscerale, questa è una pura vendetta di una persona innamorata e che è stata respinta».

In nessun punto delle 2mila pagine di documentazione giudiziaria si trova traccia di una qualche forma di preoccupazione da parte delle autorità ecclesiastiche per la ricerca di altre vittime, oltre a quelle che denunciano, e per la prevenzione di altre violenze. Anzi, anche nei primi incontri con la famiglia Messina nel 2019 il vescovo Gisana chiarisce la sua intenzione di allontanare il prete molestatore, don Rugolo, ma solo per un paio d’anni. Poi tornerà alla sua parrocchia, dalla quale non si può proprio separare, il vescovo sembra quasi temere più una rivolta dei parrocchiani privati di Rugolo che l’ipotesi di altre vittime. In una telefonata anche Rugolo scalpita per tornare in tempo per partecipare al nuovo GrEst, il Gruppo Estivo dei giovani della parrocchia, cioè lo stesso contesto nel quale si sarebbe consumato a suo tempo l’abuso ai danni di Antonio Messina.

Evitare lo scandalo

L’avvocato della diocesi di piazza Armerina ci rimprovera un “metodo”, cioè “quello della distorsione e decontestualizzazione di fatti, dichiarazioni e di quant’altro emerga nel corso del processo, usando alcuni dati e tacendone o alterandone altri, in maniera tale da creare un quadro suggestivo da offrire all’opinione pubblica, al fine non tanto di informarla correttamente, ma di offrire un giudizio che vorrebbe sovrapporsi ed anticipare quello che il Tribunale di Enna sarà chiamato ad esprimere”.

Ecco, il contesto è questo, di un vescovo che si preoccupa più di evitare lo scandalo che tutelare la vittima. Poi ognuno si faccia la sua idea.


Qui sotto l’intervento integrale dell’avvocato Gabriele Cantaro;

Il metodo è sempre lo stesso, quello della distorsione e decontestualizzazione di fatti, dichiarazioni e di quant’altro emerga nel corso del processo, usando alcuni dati e tacendone o alterandone altri, in maniera tale da creare un quadro suggestivo da offrire all’opinione pubblica, al fine non tanto di informarla correttamente, ma di offrire un giudizio che vorrebbe sovrapporsi ed anticipare quello che il Tribunale di Enna sarà chiamato ad esprimere.

ALTERAZIONE DEI FATTI

È sorprendente come l’articolo presenti, ancora una volta ed in barba a quanto è emerso nel corso del processo, che il Vescovo abbia offerto del denaro per coprire le responsabilità di Giuseppe RUGOLO.

È un dato processuale accertato che tanto i genitori del MESSINA Antonio quanto quest’ultimo personalmente abbiano deciso inizialmente di non presentare una denuncia all’Autorità Giudiziaria ma di chiedere un accertamento in sede canonica e con le regole del diritto canonico.

È un dato altresì incontrovertibile che dopo la generica segnalazione fatta al Vescovo dal Sacerdote FAUSCIANA, i genitori lo abbiano incontrato a distanza di quasi un anno non perché il Vescovo sia venuto meno alla immediata disponibilità ad ascoltarli e, quanto perché questi ritenevano che avrebbero dovuto essere convocati (anche se Don Fausciana, nel suo colloquio con il Vescovo non aveva dato recapiti di sorta della famiglia) piuttosto che presentarsi per essere ricevuti, cosa che il Vescovo ha fatto immediatamente quando i genitori del Messina hanno effettivamente preso contatto con la Curia.

Nel corso di tale colloquio i Messina, pur perfettamente coscienti (anche in ragione dell’appartenenza alla Polizia di Stato del sig. MESSINA padre) del fatto che avrebbero potuto presentare una denuncia all’Autorità Giudiziaria, hanno invece chiesto espressamente l’accertamento canonico dei fatti ed “il massimo riserbo sulla vicenda a tutela del loro buon nome e della reputazione del ragazzo”

Questa circostanza è stata ammessa nel corso della propria deposizione proprio dal sig. Messina

Il fatto poi che MESSINA Antonio fosse da tempo divenuto maggiorenne e la necessità che l’esposizione dei fatti, anche in sede canonica, richiedesse una sua personale e circostanziata denuncia, ha fatto si che il Vescovo chiedesse di farlo presentare personalmente e che quest’ultimo incontro sia avvenuto a distanza di un altro anno dal momento in cui c’è stato il colloquio col Vescovo non è stato certo per indisponibilità di quest’ultimo, ma solo perché, ancora una volta, i MESSINA ritenevano che dovesse essere il Vescovo a convocare il figlio, piuttosto che fargli prendere contatto direttamente e senza attese di sorta, con la Curia.

LA RICHIESTA  RISARCITORIA

Ancora una volta anche in questo articolo, nonostante sia stato il padre di MESSINA Antonio a farne esplicita ammissione, si tace sulla circostanza che l’iniziativa di richiedere un risarcimento appartenga alla famiglia MESSINA.

Assai singolare, ma proprio per questo significativo, appare il fatto che MESSINA Antonio abbia scopertamente glissato sul punto, arrivando persino a dire che la pretesa risarcitoria non appartenesse a loro ma fosse frutto di una sorta di “autonoma” iniziativa del loro avvocato, preoccupato di “portare risultato”.

È palese l’equivocità di tale atteggiamento, che non spiega come e perché il loro avvocato abbia, correttamente e professionalmente, costantemente informato proprio il MESSINA Antonio dell’andamento delle trattative concernenti la loro richiesta, durante tutto il corso del loro svolgimento, come dimostra proprio la produzione dei numerosi messaggi intercorsi tra Antonio MESSINA e l’avv. MARTI, mentre per converso appare evidente la finalità diffamatoria di come tale questione sia stata più volte presentata, cioè come una sorta di autonomo tentativo del Vescovo di “comprare” il silenzio della famiglia MESSINA offrendo il denaro della Caritas, dimenticando che il Vescovo, come loro ben sapevano, agiva nel contesto e nel rispetto delle regole del diritto canonico, da LORO liberamente scelto, nel trattare i termini di una LORO richiesta risarcitoria.

L’articolo, alterando la realtà dei fatti, presenta il Vescovo come colui che avrebbe svolto l’investigatio praevia “dimenticando di precisare che questa è stata svolta da un Giudice canonico appartenente ad altra Curia Vescovile, dimenticando di precisare  che le persone indicate dal MESSINA Antonio come testimoni della vicenda non si sono, per lo più, presentati, che gli strumenti di accertamento a disposizione del Giudice canonico non erano certamente quelli a disposizione degli inquirenti della Giustizia Ordinaria.

Quanto al fatto che il segreto confessionale e quello della direzione spirituale siano presentati dall’articolo come “strumenti per celare la verità” la dice lunga sulla portata mistificatoria e sull’assoluta strumentalità di tale preconcetto atteggiamento, dimenticando persino di evidenziare che proprio il protagonista di una delle vicende contrabbandate dall’articolo come ulteriore prova della presunta copertura offerta al “prete pedofilo” abbia permesso di chiarire, per bocca dello stesso protagonista della vicenda, che i suoi rapporti personali con Giuseppe RUGOLO si siano intrattenuti quando egli era maggiorenne, che le sue esternazioni al Vescovo siano sempre avvenute in un contesto di confessione o di direzione spirituale e, soprattutto, che egli abbia opposto un netto rifiuto all’invito rivolto da Monsignor Gisana a formalizzare in altro contesto quanto egli riferiva, per dare avvio ad un accertamento canonico o giudiziario.

DECONTESTUALIZZARE

Oltre alla vicenda, sopra richiamata, che riguardava il giovane MAGGIORENNE anche all’epoca della vicenda che lo ha interessato, che riferisce fatti che non sono connotabili come abuso, posto che lo stesso ha avuto cura di precisare che, al suo invito rivolto a RUGOLO di cessare le proprie effusioni, in due distinti e successivi momenti, abbia fatto seguito l’immediata interruzione delle stesse, la ricostruzione delle dichiarazioni appare palesemente distorta perché nulla viene detto tanto sui sentimenti che legavano i due e che pure sono emersi nel corso della deposizione ed a seguito della produzioni della corrispondenza che era intercorsa tra loro all’epoca dei fatti, come nulla viene detto sulle ragioni che hanno portato il ragazzo a riferire la vicenda, nel ricordato ambito della confessione e della direzione spirituale, riferiva del fatto che il disagio e l’imbarazzo gli derivavano dal fatto che RUGOLO oltre ad essere sacerdote, destava in lui sentimenti di amicizia ma non di coinvolgimento sentimentale e che lo stesso abbia declinato l’invito a denunciare il fatto pure rivoltogli dal Vescovo, proprio in ragione del rapporto di amicizia che lo legava comunque al RUGOLO.

L’articolo offre altresì una scorretta prospettazione dell’agire del Vescovo, allorquando fa riferimento ad altre vicende del tutto estranee ai fatti che riguardano Giuseppe RUGOLO e le sue responsabilità nel processo che si svolge ad Enna.

Come “sostegno al prete pedofilo” viene presentata anche una vicenda che nulla ha a che vedere con i fatti del processo, relativa ad un aiuto economico che era stato dato al RUGOLO in un momento di particolare bisogno familiare, così come suggestivo appare il riferimento alle spese legali sostenute dalla Diocesi in un contesto processuale in cui proprio la famiglia MESSINA e, precisamente, non solo Antonio ma anche i suoi genitori, con distinte costituzioni di parte civile e relative richieste risarcitorie, abbiano chiamato in causa la Curia per ottenere un ristoro economico.

La deliberata volontà di alterare le presunte responsabilità del Vescovo portano la giornalista a presentare anche altri fatti in maniera distorta.

La vicenda IANNI’ riguarda un fatto che non solo non si è concretato in un abuso consumato ma in un mero tentativo (invito telefonico rivolto ad un’adolescente di andare a trovarlo da sola a casa) a cui ha fatto seguito l’immediata sospensione del sacerdote da parte del Vescovo nel momento in cui è venuto a conoscenza del fatto.

La vicenda del signore gelese riguarda una persona estranea al clero che frequentava una parrocchia di Gela, servendo sporadicamente all’altare, ed è relativa ad un fatto che si contesta essere avvenuto nell’ambito familiare dell’indagato, vicenda in cui il Vescovo non aveva alcun ruolo né poteva esercitare alcun intervento.

Quanto alla nomina a parroci di due sacerdoti che avessero inclinazioni omosessuali,  si tratta di vicende che nulla hanno a che vedere con abusi di sorta o con relazioni con fedeli, tanto minorenni quanto maggiorenni, ma vicende che riguardavano un loro vissuto personale.

Veramente paradossale è poi l’attribuzione al Vescovo di un atteggiamento omofobico dedotto dalla giornalista in relazione al commento fatto da Monsignor GISANA nel corso di una conversazione telefonica, in cui esternava il proprio personale convincimento, maturato all’epoca sulla scorta degli elementi di valutazioni a sua disposizione ed emersi fino a quel momento, relativi all’effettiva fondatezza delle esternazioni del MESSINA Antonio ed a quelle che riteneva fossero le ragioni che lo indicevano ad agire, legate a ragioni di gelosia o risentimento, emozioni da cui neppure le persone di diverso orientamento sessuale sono immuni.

Attribuire sentimenti di omofobia a Monsignor GISANA è assolutamente ingiusto e paradossale, proprio alla luce dei fatti che la stessa giornalista non ha potuto fare a meno di richiamare e che documentano incontrovertibilmente un ben diverso atteggiamento che riguarda non solo “il giovane sacerdote” ma anche l’attuale Vescovo che, con buona pace di quanto artatamente prospettato, presentando in maniera equivoca un commento che aveva ben altro senso e ben altra origine proprio per il contesto in cui era stato espresso, smentisce ogni accusa di omofobia col proprio concreto, quotidiano ed oggettivo operato pastorale.

Il preteso uso distorto dei “fondi derivanti alla Chiesa dalla percezione dell’otto per mille”, determinato dall’infelice espressione usata nel contesto di un dialogo telefonico tra Monsignor GISANA e Giuseppe RUGOLO, vorrebbe distorcere la realtà dei fatti, se decontestualizzata e sganciata dall’obiettiva evidenza che proprio dall’iniziativa del MESSINA Antonio e della sua famiglia, prima nell’ambito del contesto regolato dal diritto canonico e, successivamente, con la richiesta risarcitoria avanzata con la costituzione di parte civile, sono state avanzate richieste di denaro, prospettando l’inesistente e calunnioso intento di “comprare il loro silenzio”, atteggiamento che consente di dare una chiara valutazione dei reali intenti in tal modo perseguiti.

                                                              Avv. Gabriele Cantaro

                                     Avvocato per la Diocesi di Piazza Armerina

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