Gli attivisti e le attiviste delle reti in lotta contro il genocidio del popolo palestinese, le derive autoritarie in Italia e nel mondo, il riarmo si incontrano nella capitale sabato 15 novembre. Un incontro a cui partecipano anche: Francesca Albanese, Arab Barghouti, figlio di Marwan Barghouti, il collettivo di fabbrica ex Gkn, le reti A pieno regime, Stop Re-arm Europe, No bavaglio, la presidente di Assopace Palestina Luisa Morgantini, Gaza Freestyle, Maria Elena Delia e Tony la Piccirella del Global Movement to Gaza e Global Sumud Flotilla
Si incontreranno a Roma all’università La Sapienza nell’aula A del dipartimento di Biochimica sabato 15 novembre a partire dalle 09:30. Sono gli attivisti e le attiviste delle reti in lotta contro il genocidio del popolo palestinese, le derive autoritarie in Italia e nel mondo, il riarmo. Per comprendere la natura dell’appuntamento nazionale di questo fine settimana bisogna fare un passo indietro, tornare ad agosto di quest’anno, alle piazze strabordanti in solidarietà con la Global Sumud Flotilla ed il popolo palestinese. In quelle settimane le manifestazioni, i presidi, i momenti di mobilitazione godevano di una partecipazione con pochi precedenti nella storia. Milioni di persone dopo due anni trascorsi ad assistere a un genocidio in diretta streaming avevano semplicemente deciso di affermare un principio: «Non in nostro nome».
È stata questa indicazione, imperativa, a dare vita alla piazza del 22 settembre prima, a quelle del 3 e del 4 ottobre poi. Piazze, quelle, che sono riuscite a restituire nuovamente senso alla parola “sciopero”: dovunque infatti le manifestazioni sono state travolgenti, senza precedenti. I dati che organizzatori e partecipanti hanno registrato sono stati prima di tutti numerici e quindi politici: l’enorme partecipazione a quelle manifestazioni che partivano dalla Palestina per «bloccare tutto» e quindi «mettere tutto in discussione» è stato uno degli elementi di maggiore novità e dinamismo.
Un ulteriore dato è stato quella della disponibilità rispetto alla determinazione di quelle piazze: coloro che le componevano non avevano voglia di «tornare a casa», anzi: le persone hanno sfilato in corteo anche quando questo gesto comportava incontrare un blocco o una reazione delle forze dell’ordine. Questo è avvenuto proprio perché l’elemento della piazza ha camminato di pari passo con il riconoscimento, da parte di chi era in strada, del proprio potere decisionale: in decine di migliaia si è avuta la sensazione, concretissima, di poter mettere in campo una pressione internazionale tale da mettere in difficoltà chi stava portando – e sta, tutt’ora – avanti un genocidio.
Il fiume umano di oltre un milione di persone il 4 ottobre in occasione della manifestazione nazionale per la Palestina ha sfilato in questa cornice qui, denunciando a gran voce le complicità del governo Meloni con lo stato d’Israele e mettendo così in chiaro che quello che ha consentito e consente tutt’ora il protrarsi del colonialismo d’insediamento a Gaza ed in Cisgiordania è un sistema che non convince più.
Per reprimere ed isolare queste istanze la così detta “controparte” non si è fatta attendere: l’attuazione del decreto sicurezza, l’apertura di indagini per le giornate di sciopero e contestazione di cui abbiamo parlato fin ora, arresti arbitrari e detenzioni in carcere per giorni come avvenuto a fine ottobre a Napoli a seguito di legittime contestazioni. Era stato del resto ampiamente previsto da diverse reti sociali durante lo scorso anno: con le leggi antirave e sicurezza il governo Meloni stava preparando il terreno affinché gli spazi democratici si restringessero sempre più, non a caso mentre a livello globale tornano a farsi sentire venti di guerra più che preoccupanti, con le destre reazionarie che guadagnano pericolosamente terreno.
L’assemblea di sabato 15 novembre prende forma proprio per far fronte a una finanziaria che viene definita “di guerra”: non un euro per sanità, istruzione, welfare, diritto allo studio e alla casa, molto denaro invece per lobby delle armi e finanziamenti militari. Lobby delle armi che escono arricchite anche dagli ultimi due anni di genocidio del popolo palestinese, come il colosso italiano Leonardo che risulta tra le prime aziende in affari con lo stato d’Israele secondo il rapporto della dottoressa Francesca Albanese.
Proprio Francesca Albanese interverrà all’assemblea nazionale che inizierà nella mattinata di sabato all’università La Sapienza, insieme a lei ci saranno anche Arab Barghouti, figlio di quel Marwan Barghouti definito il “Nelson Mandela palestinese”. Oltre a loro il collettivo di fabbrica ex Gkn, le reti A pieno regime, Stop Re-arm Europe e No bavaglio, la presidente di Assopace Palestina Luisa Morgantini, Gaza Freestyle e gli equipaggi di terra del paese insieme a Thiago Avila, Maria Elena Delia e Tony la Piccirella del Global Movement to Gaza e Global Sumud Flotilla.
Non un momento di sommatoria delle lotte dunque, ma un genuino spazio di convergenza e ragionamento per rovesciare quei “Kings” contestati da milioni di persone negli Stati Uniti che come dei monarchi autocratici vorrebbero trascinare il mondo nelle loro guerre.
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