Il 4 giugno su Facebook si diffonde la notizia: Paola e Chiara, un po’ disilluse dal mondo musicale, pensano di ritirarsi. A conferma della ottusa stupidità che circonda le due ragazze, inizia sul social network un circolare di commenti poco gentili e ancora meno originali.

A stilarli, la stessa gente che si lascia abbindolare da gruppetti e solisti britanni­ci senza alcun talento, la gente che va a ubriacarsi di pessima birra a ogni concertino dell’ultimo idolo hipster con data di scadenza settimanale, la gente che riesce a esaltarsi dopo quarant’anni per le canzoncine degli ABBA.

Gente così, senza alcun valore umano, si permette di fare ironie su due ragazze che potrebbe ignorare, come si dovrebbe ignorare ciò che non ci interessa. Ma nessuno evidentemente desidera perdere un’ulteriore occasione per dimostrare la propria pre­sunta superiorità intellettuale.

Grazie a Paola e Chiara ho vissuto uno dei momenti più elevati della mia vita, quan­do mi vidi compreso tra i ringraziamenti nelle note di copertina di Television. Nell’occa­sione, riprendo il resoconto di una serata vissuta esattamente 13 anni fa.

«A questo punto può anche venire la fine del mondo, perché tanto nulla potrà mai superare quanto ho vissuto…», penso prima di addormentarmi, ancora incredulo per il destino che gli dei mi hanno riservato. Sono stato a cena con Paola e Chiara.

Ecco... queste otto parole permettono di dire quanto è accaduto, ma lo enunciano solo, freddamente. Non riescono a rendere l’insondabile profondità interiore e intellet­tuale che ho attraversato durante le cinque ore di quell’incontro conviviale.

La cena

L’evento era stato lungamente previsto da Tommaso Pellizzari, ma per gli impegni delle due sorelle canore era stato sempre rimandato. Finalmente agli inizi di giugno la comunicazione tanto attesa: Paola e Chiara sono disponibili!

I giorni che mi hanno diviso dalle 21.30 dell’8 giugno 2001 sono stati giorni di ri­pensamenti, di angosce, di desideri di rinuncia, di subitanei ottimismi, di incredulità e di speranza. Alle 19.15 avevo persino invocato un’improvvisa guerra nucleare che rendesse impossibile un incontro al quale non ero ancora spiritualmente preparato.

Sono arrivato da Pellizzari alle 21.20, con dieci minuti di anticipo, armato di mac­china fotografica e torta alla frutta d’ordinanza. Ho citofonato. Per evitare fotografi, curio­si, giornalisti avevamo stabilito un codice di ingresso e Tommaso Pellizzari ha infatti det­to: «C’è qui già Goran Kuzminac». A quel punto avevo già completamente dimenticato la controparola d’ordine, rischiando di non essere ammesso. Ma mi sono subito ripreso e ho risposto: «Bene, io sono con Claudio Lolli». E la porta del paradiso si è aperta con uno scatto metallico.

Da Pellizzari c’era già Aldo Nove che proveniva dalla Fnac di via Torino dove ave­va appena finito di presentare un pittore in una situazione molto culturale. Io non avevo avuto una giornata culturale. Ero stato in posta, poi in bicicletta e basta. Aldo Nove era più emozionato di me, eppure lui era abituato a incontrare Alda Merini.

L’arrivo

©Frezza/La Fata/La Presse 01-03-2005, Sanremo, Italia 55¡ Festival della canzone italiana-prima serata nella foto: Paola e Chiara

Alle 21.30 precise ecco il citofono: erano loro! Aldo Nove e io siamo stati presi dal panico. Poco meno di 55 secondi, il tragitto dell’ascensore, e Paola e Chiara si sa­rebbero manifestate davanti ai nostri occhi, non in formato catodico, ma reale! Pellizzari fingeva di essere tranquillo, continuando a cucinare, ma io vedevo che alla luce della cappa impallidiva sempre più. Aldo Nove e io allora ci siamo seduti sul divano e abbiamo iniziato a parlare di cultura ed estetica.

Avevamo deciso rapidamente una strategia di simulata indifferenza, le avremmo appena salutate e poi avremmo ripreso le nostre con­versazioni sull’arte. Aldo Nove stava parlando di fenomenologia della conoscenza quan­do in corridoio abbiamo sentito le voci delle due. Ho sussurrato: «Facciamo finta che sia un disco...», ma subito dopo P&C si sono materializzate davanti a noi, con in mano un sacchetto di plastica azzurro e dentro la metà di un’anguria enorme.

Come in un sogno

Ricordo con la vaghezza di un sogno quanto è successo dopo, mentre le due divi­ne ci narravano delle loro crisi e dei loro successi. Spesso succede di capire gli ultimi quartetti di Beethoven solo dopo aver letto delle poesie di Goethe.

Almeno così mi aveva detto una volta una ragazza delle valli bergamasche che stirava le camicie in casa di un mio amico ricco e dopo aver seguito un corso di autoconoscenza era molto cambiata, ma raccontava quelle cose ancora stirando. Capii allora che la cul­tura non paga.

Ebbene, dopo aver sentito dalla viva voce di Chiara il racconto della crisi, della rinascita e del loro sciagurato viaggio alle Seychelles ho capito a fondo Vamos a bailar, ogni verso del brano aveva un suo perché, ogni vocabolo contava, compreso quell’oltre­oceano che ora aveva un suo nome.

Andy Warhol ricorda che nel privé dello Studio 54 erano tutti talmente famosi che alla fine nessuno lo era perché nessuno riconosceva nell’altro l’aura del vip, abbagliato com’era dalla propria. Anche a quel tavolo eravamo tutti veri vip e lo dimostrava ine­quivocabilmente un elemento: eravamo stati tutti ospiti di Kitchen con Andrea Pezzi su Mtv. Perché allora chi non era stato a Kitchen non poteva dirsi vip. E potrei anche fare i nomi di persone che si credono magari degli scrittori, ma non sono mai andati a Kitchen e quindi non sono considerabili nel novero degli scrittori di successo.

Pellizzari aveva scelto una colonna sonora da febbre terzana, ma quando si sono levate nell’aria le note di Pensami di Julio Iglesias gli occhi delle sorelle si sono inumiditi e le due si sono messe a raccontare della discoteca di famiglia composta da Iglesias, Papetti, Tom Jones e altre delizie.

A quel punto la koinè era dichiarata. Paola ha iniziato a canticchiarci sopra, Chia­ra l’ha seguita e dopo poco anche Pellizzari non ha resistito e si è lasciato andare. A quel punto come potevo trattenermi io? E mentre ormai eravamo in quattro, Aldo Nove è tornato dalla cucina e si è prontamente inserito. Ho anche registrato con la digitale 56 secondi di questo quintetto meraviglioso, purtroppo andati persi. Ma è meglio così.

Tutti uguali

A tarda ora l’assemblea si è sciolta. Davanti al portone Paola e Chiara hanno tratto dalle borse due copie del loro ultimo singolo per Aldo Nove e per me e mentre cercava­mo una penna e loro autografavano le copertine c’era il taxi che le aspettava. «Una cosa davvero newyorchese», ha detto Pellizzari quando gli ho raccontato l’accaduto. Perché si sa che a New York i taxi costano molto meno che a Milano e tutti li prendono.

Ho riaccompagnato Aldo Nove a casa. Non riuscivamo ancora a credere di non aver sognato. Allora Aldo Nove mi ha detto: «All’inizio eravamo intellettuali da una parte, cantanti dall’altra... ma dopo siamo diventati tutti gli stessi disperati».

In effetti i racconti di show-case nei centri commerciali o di partecipazioni ai più tristi spettacoli televisivi fatte solo per pagare l’affitto ricordavano molto la nostra storia di lavoretti estemporanei, articoli per giornali, presentazioni e altre cose fatte solo per meri motivi di sopravvivenza economica. «Però noi non saremo mai fotografati tette contro tette da Fabrizio Ferri», ho precisato con tristezza ad Aldo Nove.


Il testo è un estratto da Labrancoteque (gog edizioni, disponibile esclusivamente su www.gogedizioni.it, pp 335, euro 28)

A sette anni dalla prematura scomparsa di Tommaso Labranca torna, per la prima volta in versione cartacea, la rivista Labrancoteque, egozine autoprodotta artigianalmente da Labranca nell’arco di un decennio, fu una sorta di diario/confessione in pdf, circolato a suo tempo quasi clandestinamente, e che ora vede la luce in versione cartacea, stracult, dove attraverso aneddoti, interviste, ritagli di giornale, piccole note, riflessioni alte e basse, riusciamo a scoprire tutte le ossessioni di Labranca, tutto il suo percorso intellettuale, i suoi drammi esistenziali, i rancori covati ma anche i suoi grandi amori e le sue passioni.

Un omaggio all’ingiustamente dimenticato scrittore e autore televisivo che per primo ha conferito una dignità intellettuale al concetto di “trash”, finendo per diventare uno dei suoi più strenui difensori e cultori. Ma Labranca è stato anche un acuto osservatore del carosello umano che ha popolato gli ultimi vent’anni, con tutti i suoi protagonisti: intellettuali fintamente engagé, esperti di marketing in vacca, situazionisti dello spettacolo, artisti concettuali, coatti e neoproletari, fino a scagliarsi contro quella mafietta editoriale, con i suoi ducetti, che non lo ha mai accolto nei suoi salotti, proprio perché lui, come diceva qualcuno, era solo un “esperto di cazzate”, ma era anche a suo modo schivo e scontroso, votato, per natura, all’isolamento. A Labranca Claudio Giunta ha dedicato il fondamentale Le alternative non esistono. La vita e le opere di Tommaso Labranca, Il Mulino 2020.

BC

© Riproduzione riservata