Eve ha una relazione come tante: Romie, la sua ragazza, le dà tutto ciò di cui ha bisogno. Eppure, per lei non è abbastanza, e una notte, per ragioni che lei stessa non coglie fin in fondo, posta sue foto di nudo su un sito d’incontri. Lì viene contattata da Olivia, e tramite lei conosce Nathan, il suo ragazzo. I tre intraprendono una relazione, all’inizio è di solo sesso ma ben presto si tramuta in altro. Il desiderio di Eve per Nathan è forte come niente che abbia provato prima, è travolgente, è disperato.

Chi diventiamo quando ci caliamo negli abissi del nostro desiderio? A chi è rivolta la nostra fedeltà? Lillian Fishman, americana, classe 1995, tenta di dare risposte a queste e altre domande nel suo esordio, Servirsi (e/o), uscito in contemporanea in Italia, America e Inghilterra nel 2022.

All’inizio del romanzo si ha l’impressione che Eve sia stata come ingoiata, assorbita da New York. La città ha questo potere?
È un aspetto del romanzo su cui ho lavorato: volevo che New York fosse uno dei protagonisti della storia. E la risposta alla tua domanda è sì: le grandi città hanno il potere di ingoiarti; una delle qualità che apprezzo di New York. Qui lambisci quotidianamente la vita di tanti tipi umani con cui non hai niente in comune, e in questo miscuglio si celebra il potere di cui parli.

Sei nata a New York?
No, sono nata e cresciuta in Massachusetts e mi sono trasferita a New York a diciott’anni, per il college.

Perché proprio New York?
Non ero una di quelle ragazzine che sognano la Grande Mela come molte mie coetanee, ma volevo frequentare un college femminile e ho scelto New York.

Perché proprio un college femminile?
Perché credevo che avrei trovato un ambiente stimolante, fatto su misura per me, e avevo ragione. Avevo paura che frequentando un college canonico mi sarei trovata in un ambiente in cui a farla da padrone fossero le feste, l’alcol, le confraternite. A me interessava studiare, confrontarmi su temi importanti.

Quale diciottenne preferisce lo studio alle feste?
(Ride, ndr) Credo sia dipeso dal contesto in cui sono cresciuta, ha fatto nascere in me questo desiderio.

In che contesto sei cresciuta?
Come dicevo prima, sono del Massachussetts e la città in cui sono cresciuta è molto piccola, periferica. Non granché lontana da Boston, in realtà, tant’è che molti passavano parecchio del loro tempo lì, e quella è una città aperta, grande e di mentalità moderna. Si tratta comunque, però, di una città di periferia che si trovava ad attraversare la fine di un’epoca omofoba, retrograda: non era lei a essere conservatrice, lo erano i tempi e la periferia in generale.

Com’è stato abitare l’adolescenza in una realtà tanto piccola?
Niente di troppo problematico. Ho fatto coming out presto, ero la sola del mio liceo e pur non essendo mai stata bullizzata non avevo con chi confrontarmi su temi in cui mi riconoscevo, così ho deciso che al college avrei avuto attorno gente con cui farlo: da qui la decisione di frequentare un college femminile. La mia identità queer era già forte e non volevo che venisse messa in crisi da un ambiente simile a quello del liceo della mia città.

Anche Eve si sente forte nella propria identità queer ma quando l’oggetto del suo desiderio diviene Nathan deve mettersi in discussione. Questo suo cambio di rotta a cosa è dovuto?
Provare a rispondere a questa domanda – che ha a che fare sia con il desiderio come oggetto mutaforme, sia con l’identità – è la ragione per cui ho scritto il romanzo, e penso che ognuno dovrebbe avere la sua risposta. Tu ce l’hai?

Sì, ma prima voglio conoscere la tua.
Ognuno di noi orienta la propria esperienza nel mondo basandosi sia sul senso di conflitto, sia sul senso di armonia con l’altro. Quando ci si sente forti nella propria identità si vive in armonia, si sta più o meno bene con sé stessi, e Eve per gran parte della sua vita non ha avuto problemi di sorta, proprio perché forte nella sua identità queer. Del conflitto però abbiamo sempre tutti un gran bisogno: ci fa sentire vivi, parte di un mondo in fermento, di un’esperienza di vita comune. E dal suo desiderio di conflitto deriva la decisione di mettersi in discussione.

A proposito di…
Un momento, adesso voglio la tua, di risposta.

Io ho pensato volesse sperimentare nuove forme di potere all’interno dei rapporti. In quello con Romie Eve ha tutto, Romie è sottomessa, ma in quello con Nathan ci sono dimensioni nuove ed è a quelle che punta: vuole essere lei la sottomessa.
Credo che le nostre risposte siano facce della stessa medaglia.

A proposito di Olivia, invece. Eve la vede in difficoltà, ma non le importa, e pian piano sembra quasi provare fastidio per lei. Perché?
All’inizio Eve è attenta ai desideri di Olivia, ma con lo spostarsi della bussola che la indirizza verso i suoi sentimenti si spostano pure le sue attenzioni, che a un certo punto sono tutte dirette verso Nathan. Da quel momento in poi, Eve non ha occhi che per lui: è il desiderio a comandarglielo.

Il desiderio ci rende ciechi?
Sì. Ma non è cecità la sua, è solo che non le importa più niente di Olivia.

Credi che il desiderio debba sempre essere assecondato, quindi? Se siamo impegnati in una relazione ma ci sentiamo attratti da qualcun altro, a chi dobbiamo la nostra lealtà: alla persona vicina o a noi stessi, al desiderio?
È una domanda impossibile, ma se devo darti una risposta ti direi che dipende dalla situazione. Sono le circostanze a fare la differenza. Non giustifico il tradimento a priori, però è una componente dell’animo umano e soffocarlo sempre è sbagliato.

Tornando a Eve. Ti somiglia, in qualche modo?
È sicuramente molto simile a me, sì, ma lei è più avventurosa, impulsiva. Lei fa ciò che io non farei. Sono una persona attenta e riflessiva, io, non scattante e istintiva come lei e molte delle decisioni che prende io non le opererei mai.

Io in effetti scrivo di chi avrei potuto essere se avessi preso delle decisioni diverse. Tu fai una cosa simile? Vivi differenti versioni di te stessa?
Non esattamente. Il mio approccio alla scrittura è più semplice e meno poetico del tuo: quando scrivo cerco soluzioni a problemi che mi affliggono ma come farebbe un’altra persona. Scrivere per me è tradurre me stessa nel linguaggio di un’altra.

A proposito di vite parallele alla nostra. Un altro punto fondamentale del romanzo è lo sguardo dell’altro. Siamo tante persone diverse quanti sono gli sguardi che ci si posano addosso?
Sì, di questo sono convinta.

È qualcosa di cui abbiamo bisogno?
Alcuni più di altri.

Tu?
Per certi versi, sì.

Per certi versi?
Ogni tanto mi capita di sentirne il desiderio, ecco.

I tuoi personaggi?
Molto. Olivia e Eve desiderano essere viste da Nathan perché il suo sguardo le definisce, mentre lui questa necessità la sente meno - ha un modo di vivere il mondo profondamente diverso.

Cosa significa per te essere vista?
Penso che abbia a che fare con quegli sguardi capaci di destabilizzarci, di farci mettere in discussione noi stessi. tant’è che Eve è attratta da Nathan proprio per questo.

Ti capita spesso?
Sta succedendo di frequente dacché è stato pubblicato il romanzo.

Parli dei lettori?
Dei lettori e dei giornalisti. È strano e straniante parlare con degli sconosciuti che, avendo letto un romanzo che proviene da una parte così profonda di me stessa, sembrano conoscermi in modo tanto intimo.

È come se parti profonde di due estranei dialogassero tra loro.
Esatto. Sono una persona riservata e in questo romanzo mi sono aperta più di quanto farei con un’amica.

Non ti apri con chi hai accanto?
Sì. È solo che nel romanzo vengono fuori parti di me stessa che difficilmente riuscirei a mettere a parole in modo tanto limpido parlando con un’amica.

È il primo romanzo che leggo in cui c’è una relazione poliamorosa. Ecco, finalmente parliamo di forme d’amore diverse dalla canonica. Pensi che le cose stiano cambiando, sia nella società sia in letteratura?
Credo che i cambiamenti procedano a ondate: oggi la direzione è quella di un miglioramento, domani ci ritroveremo a regredire. Non c’è niente di male in questo, a mio avviso, è solo la storia e il suo procedere a sbalzi e contraccolpi. Tant’è che per ogni epoca in cui il progressismo sembra fare passi avanti ce n’è uno in cui il conservatorismo torna in auge.

Il patriarcato, il potere dei soldi, la differenza di classe. Il tuo romanzo è anche politico?
Non credo spetti a me definire il mio romanzo.

Questi temi, però, li affronti. Che mi dici, quindi, della situazione in cui versa il mondo, focalizzandoci sugli aspetti di cui sopra?
Sono un po’ preoccupata, a dire il vero. Il mondo sta prendendo una direzione strana ma, come dicevo prima, probabilmente non è che una delle tante ondate della storia.

Scusa, ma non ti sento granché preoccupata, in realtà.
(Ride, ndr) Okay, forse hai ragione. C’è un aspetto di me stessa, di cui un po’ mi vergogno, che non mi fa provare la stessa paura che sento nelle parole di altri: trovo difficile provare emozioni forti per accadimenti o fatti che non mi toccano personalmente. Molti si sentono in qualche modo mossi, trascinati da quel che succede nel mondo, nella società, ma per me non è così.

È perché non senti di appartenere a una comunità?
Sono fatta così e penso sia per ragioni simili che tanti ad esempio non credono al cambiamento climatico: alcuni hanno bisogno di far un’esperienza diretta per riuscire a credere in un certo qualcosa. Non sono mai stata minacciata da un suprematista bianco, non mi è mai stato impedito di abortire, non vivo in zone colpite dal cambiamento climatico. Non sentendo questi problemi vicini a me e alla mia vita, hanno un che di astratto.

Lillian, hai cinquant’anni. È domenica mattina: dove sei, con chi sei, che fai?
Perché questa domanda?

La faccio sempre.
Interessante! Sono con i miei amici, fuori, in un giardino, stiamo bevendo un caffè e chiacchierando di ciò che abbiamo letto negli ultimi giorni. Aspetta, però: la tua risposta?

Eh no, l’intervista è tua.
Be’, sei invitato a prendere il caffè con me e i miei amici quella mattina.

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