L’attrice scomparsa il 23 settembre era una diva “inedita”. Ha rappresentato un modo di fare film popolare, ma anche d’autore, capace di andare oltre le dinamiche della commedia all’italiana ponendo al centro con una diversa leggerezza tematiche sociali, di genere e politiche che fossero rilevanti e d’attualità
Claudia Cardinale dovette aspettare cinque anni e 20 film (praticamente il corrispondente della carriera di una star contemporanea) per poter finalmente rivelare agli spettatori la sua voce, fatto che avviene grazie a Federico Fellini che la sceglie per 8½ del 1963. Quella di Claudia Cardinale, morta il 23 settembre a 87 anni, è una voce roca, bassa, a tratti afona.
Un timbro che diviene subito riconoscibile e che in qualche modo l’avvicina e la mette in relazione – e in competizione – con Monica Vitti, l’altra star italiana emergente negli anni Sessanta. Monica Vitti e Claudia Cardinale andranno infatti negli anni a scalzare le cosiddette maggiorate da Sofia Loren a Gina Lollobrigida, da Sylva Koscina a Silvana Pampanini, tutte attrici – in alcuni casi – realmente straordinarie, ma troppo legate e imbrigliate dentro personaggi sempre uguali, spesso monotoni e dai medesimi vestiti come dalle medesime acconciature.
Ma soprattutto segnate da ruoli maledettamente legati ad una bellezza sempre e solo giovanile e prorompente e in buona parte subalterna alla figura maschile.
Divismo inedito
Claudia Cardinale invece – come anche Monica Vitti – rompe gli schemi e si rende disponibile a ruoli che vadano al di là del suo aspetto fisico. Parti e ruoli capaci di restituirle un’aura di volta in volta sorprendente e inedita, un’idea di cinema coraggiosa e sempre apprezzata dal suo pubblico.
Cardinale si spende senza pudori o pigrizia per i suoi personaggi e lascia spazio ai registi d’intervenire su di lei e sul suo corpo. Dal trucco fino al colore dei capelli, Claudia Cardinale si sottopone spesso a estenuanti tour de force come avviene nel 1963 quando in contemporanea gira Il Gattopardo di Luchino Visconti e 8 1/2 di Federico Fellini, due film che mettono in scena una figura femminile opposta all’altra.
Quello dell’attrice nata a Tunisi è un divismo inedito, d’autore che le permette di lavorare con i più grandi del Novecento, Federico Fellini e Luchino Visconti, ma anche Werner Herzog e Sergio Leone, Marco Bellocchio e Claude Lelouch.
L’elenco completo sarebbe praticamente infinito e la porta inevitabilmente e più volte a incrociare il proprio percorso con Monica Vitti con un movimento in parte opposto e curioso perché se in fondo Cardinale ha iniziato proprio con i maestri della commedia all’italiana per poi trovarsi sempre più affine nei ruoli del cinema d’autore ecco che Vitti compie il percorso inverso: da Michelangelo Antonioni ad Alberto Sordi. Ed è in questo movimento che si ritrovano entrambe protagoniste in un film tutt’altro che scontato e che oggi appare ancora purtroppo ancora fortemente sottovalutato, Qui comincia l’avventura girato da Carlo Di Palma (con la sceneggiatura di Barbara Alberti).
Già assistente alla regia di Luchino Visconti e storico direttore della fotografia di Woody Allen, Carlo Di Palma dà vita con Qui comincia l’avventura a una specie di Thelma e Louise ante litteram, con protagoniste Monica Vitti e Claudia Cardinale che a bordo di una motocicletta attraversano l’Italia dalla Puglia a Milano in cerca di un uomo amato.
All’arrivo nel capoluogo lombardo si scoprirà che non c’è nessun uomo e nessun amore, ma solo una grande avventura femminile, gioiosa e liberatoria che prende in giro i vizi maschilisti di un’Italia ancora estremamente provinciale e beghina. Un film dunque che coglie pienamente la delicata disperazione di una condizione femminile che sconta un’esistenza ancora fortemente limitata. Là dove anche l’avventura più ingenua assume per le protagoniste il triste sapore di un’utopia o di un sogno ancora molto lontano dal vero e dal possibile.
Nello stesso anno le due attrici si ritrovano anche in un’altra pellicola, A mezzanotte va la ronda del piacere di Marcello Fondato, già collaboratore di Luigi Comencini. Con loro Giancarlo Giannini in una tipica pellicola anni Settanta, un triangolo amoroso che recupera in parte gli stilemi del cinema di Lina Wertmüller pur appiattendolo in un discorso dalla cifra meno eclettica e decisamente più conformistica.
Ma il trionfo al botteghino decreterà il successo più che del film dei suoi stessi interpreti, riferimenti assoluti del cinema italiano di quegli anni.
Popolare e d’autore
Claudia Cardinale ha rappresentato così un grado possibile del fare cinema in Italia che però in verità non è del tutto stato inseguito dal sistema cinematografico. Un cinema popolare, ma anche d’autore e che fosse capace di andare oltre le dinamiche della commedia all’italiana ponendo al centro con una diversa leggerezza tematiche sociali, di genere e politiche che fossero rilevanti e d’attualità.
Una chiave che lei trovò infine più attinente nel cinema francese e che la portò così a lavorare nel 1985 con Nadine Trintignant in L’eté prochian. Un film corale che la vide al fianco tra gli altri di Philippe Noiret, Marie Trintignant, Jean-Louis Trintignant, Fanny Ardant.
Cardinale interpreta Jeanne Severin, matriarca di una famiglia a guida fortemente femminile. Un film capace di mostrare sia le contraddizioni che i limiti dell’istituzione famigliare ormai in crisi alla fine del Novecento, ma anche la sua capacità di potersi reinventare, nonostante tutto, come un rifugio possibile. Un luogo affettivo dentro al quale trovare spazio per sé stessi.
Il film racconta inoltre anche una dinamica di collaborazione tra paesi e cinematografie diverse e di cui Claudia Cardinale è stata l’ultima testimone e interprete insieme a una brigata di straordinarie attrici e attori che seppero non solo offrire personaggi e storie meravigliose, ma stabilire relazioni tra culture che solo quarant’anni prima avevano scelto la via dello scontro e della guerra il cui esito aveva lasciato non solo morti e disperazione, ma anche molta reciproca diffidenza.
Il cinema fatto da Claudia Cardinale seppe abbattere quei muri e costruire un’identità nuova che oggi appare quanto mai necessaria, un’idea di Europa e di europei fortemente urgente.
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