L’amicizia, la malattia, il rapporto padre-figlio e poi il desiderio, il tempo che corre, sfugge, l’amore. In Legami, libro d’esordio del nuovo imprint Feltrinelli Gramma, Eshkol Nevo, scrittore israeliano celebre in Italia soprattutto per i romanzi La simmetria dei desideri e Tre piani – da cui Nanni Moretti ha tratto un film –, racconta questo e molto altro. A legarle tra loro, queste storie brevi, due fili rossi: il corpo e il tempo, che si fanno veicolo per narrare esperienze umane intime e universali, insieme.

Nevo, inizierei da una domanda che forse è banale ma, considerato il poco successo – purtroppo, aggiungerei – di cui godono i racconti, gliela faccio lo stesso. Perché delle storie brevi e non un romanzo?

Banalmente questi racconti li avevo già pronti: li ho scritti tra il 2010 e il 2023 e conservati nel mio computer. La domanda, quindi, forse è perché non abbia voluto pubblicarli prima.

Bene, dunque: perché non ha voluto pubblicarli prima?

Sentivo di non aver ancora mai trovato il filo rosso che li legasse. In realtà, di racconti nel computer ne avevo molti, molti di più. Non ero in grado, però, di scegliere quali inserire in un’ipotetica raccolta, di trovare il collegamento che diventasse, poi, il pilastro del libro.

L’ha trovato?

Ci siamo trovati – io ho trovato lui, lui ha trovato me.

Torino è tra i luoghi raccontati in Legami. Le piace la città?

Moltissimo e ormai è uno dei miei posti del cuore. Vengo spesso perché tengo dei corsi di scrittura alla scuola Holden e torno sempre con il sorriso.

Potrebbe essere un buon ritiro per la sua vecchiaia, in futuro?

Israele è la mia casa, la mia famiglia, i miei amici. È la mia lingua. Non potrei abitare in un posto diverso. È un paese complesso e però non riuscirei a vivere in un’altra lingua. Per me comincia tutto da lì, dalla lingua: dalla parola.

Quando mi trovo in un paese straniero e devo parlarne una che non è la mia non mi sento mai davvero compreso, quantomeno non fin in fondo. Non potermi esprimere al cento per cento delle mie possibilità significa, per certi versi, non poter essere me stesso al cento per cento. E noi siamo noi stessi al cento per cento solo nei posti che possiamo chiamare casa.

Nel primo racconto, Hungry heart, un anziano malato terminale e il figlio decidono di andare assieme a un concerto di Bruce Springsteen – il padre, però, sta molto male e le cose non vanno come previsto. Perché ha deciso di aprire la raccolta proprio con una storia sul legame padre figlio?

Veniamo tutti da lì, no? Il principio di ognuno sono i nostri genitori. Quando ho iniziato a organizzare l’antologia – avevo dei biglietti con su scritto i nomi dei racconti su un tavolo, e li spostavo cercando la cronologia giusta –, ecco, quando ho cominciato a lavorarci di certezza ne avevo una sola: Hungry heart sarebbe stato all’inizio e la ragione è questa.

In questa storia accade un’inversione di ruoli tra il padre e il figlio: l’uno assume le vesti dell’altro: crede sia un destino comune a tanti quello, d’un tratto, di diventare genitori dei propri genitori?

Sì, direi di sì. I miei genitori stanno bene, ma a molti miei amici è successo e, in effetti, questo scambio di ruoli l’ho visto avvenire. Non credo sia qualcosa di necessariamente brutto, tra l’altro. Ho visto amici occuparsi dei genitori e, assieme, sanare ferite che fino ad allora non erano riusciti neanche a guardare.

Lei si sente più a suo agio come padre o come figlio?

Bella domanda ma non saprei risponderle con certezza. Forse come padre, sì. Quando è nata la mia prima figlia, in effetti, mi sono sentito immediatamente come se fossi venuto al mondo per esser padre.

Il figlio, in questo racconto, deve portare in braccio il padre. È un episodio molto fisico, ed è una fisicità che, poi, torna ancora nelle storie successive.

È uno dei punti fondamentali di questa raccolta, il filo rosso di cui parlavamo: tutto passa attraverso il corpo, in ogni momento. Sulla copertina dell’edizione italiana c’è un corpo, su quella israeliana un cuore: fisicità, ancora e ancora.

L’aveva già fatto, però: in La simmetria dei desideri, Tre piani.

Sì, ma qui volevo portarlo all’estremo. Prima abbiamo parlato dei criteri usati per scegliere i racconti da inserire nella raccolta: la componente fisica – la sua presenza, ben sottolineata – era tra questi.

Perché tutta questa importanza al corpo?

Credo dipenda dal fatto che abbia superato i quarant’anni.

Si sente invecchiare?

Sì, attorno ai quaranta il corpo comincia a cambiare con una forza che per me è paragonabile solo al modo in cui avviene in adolescenza. Sto invecchiando, sì, e lo sento. Una sorta di chiamata alle armi, ecco cos’è. Di tempo non te ne rimane ancora tanto, ti dice il corpo, se hai ancora delle cose da fare sbrigati. Fare quarant’anni è stato come vedere di fronte a me una scadenza: se voglio viaggiare, far esperienza di qualcosa, conoscere, be’, il momento è questo.

Una cosa che non ha ancora fatto e che sente di dover fare in fretta?

Tante.

Vuole dirmene una o due?

No.

Perché?

Perché non le so io stesso. Non è che una sensazione la mia: ci sono delle cose che voglio fare e temo che il tempo non sia abbastanza.

Mi scusi, ma mi sembra assurdo che lei avverta il tempo correrle addosso con questa irruenza solo perché ha compiuto quarant’anni.

È così. Sa, mio padre ha avuto un attacco di cuore a quarantanove anni e mio fratello a quarantasette. Sono sopravvissuti entrambi e stanno entrambi molto bene, però sono avvenimenti che mi hanno fatto riflettere. Quindi sì, va bene, ha ragione lei: non ho questa sensazione solo per via della mia età. Contento?

Tornando al corpo. Che rapporto ha con il suo?

Sono una persona molto fisica, al contrario di tanti scrittori. Sono cresciuto in una famiglia di psicologi, e che il corpo non fosse qualcosa di cui vergognarsi l’ho capito subito. È uno strumento sia di scoperta del mondo e sia di piacere. Faccio jogging ogni giorno, spesso gioco a tennis e ballo.

Balla?

Ballo, sì. Vado a queste discoteche che organizzano delle serate particolari: lì puoi solo ballare. Non puoi parlare, toccare altre persone, non puoi bere alcol, fumare. Balli e balli e balli, fino a sentirti tramortito e stramazzare in terra.

Quindi il suo corpo non è mai stato un ostacolo?

Per lei?

Sì, di continuo e in tanti modi diversi. Soprattutto, provo molta vergogna.

Le malattie e il dolore sono stati spesso degli ostacoli, certo, però non ho mai provato vergogna del mio corpo. Di cosa s’imbarazza lei?

Tutto. Mi sento brutto, ma anche goffo, inesperto di me stesso.

Cambierà con il tempo, si fidi di uno che potrebbe essere suo padre.

Un altro pilastro di Legami e, in generale, dei suoi libri è il desiderio. Ha pure scritto un romanzo che ce l’ha nel titolo, La simmetria dei desideri.

Il desiderio per me è centrale, e non solo in letteratura ma in tutto, anche, forse soprattutto nella mia vita reale. Non intendo solo quello sessuale ma in molte sue accezioni: il desiderio sessuale, sì, certo, ma anche quello di essere amati, di avere successo, essere ricchi. Desiderare per me è fondamentale.

Come per il corpo: il desiderio è strumento di scoperta e di piacere?

Sì, assolutamente sì.

Mai stato un ostacolo?

Mai.

Lo segue, persegue sempre?

Sì. Quand’è facilmente esaudibile non vedo ragioni per non farlo, quand’è più difficile, invece, gli vado dietro perché vuol dire che in lui si cela una storia.

Nevo, questa è la mia ultima domanda; la faccio sempre a tutti. Immagini di avere ottant’anni, e che sia una domenica mattina. Che cosa fa, dov’è, con chi è?

Possiamo immaginare sia sabato? Domenica in Israele è lavorativo.

Okay, sabato.

Posso dividere il giorno in due parti?

Faccia come vuole, ormai mi ha stravolto la domanda.

Bene, dunque. La mattina la trascorro scrivendo, spero di riuscirci ancora, di non essere uno di quegli anziani che ha perso il contatto con la realtà. Mentre il pomeriggio con le mie figlie e i miei nipoti, che mi vengono a trovare e con cui mi diverto a giocare. Vedo un bel futuro.


Legami (Feltrinelli Gramma 2024, pp. 320, euro 18,05) è una raccolta di racconti di Eshkol Nevo 

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