Quello del regista ungherese György Pàlfi, è un action movie sorprendente. È anche la Rivoluzione d’Ottobre di un’ovipara che si ribella al suo sfruttamento, una storia di resistenza al razzismo e anche di coscienza di classe. E dopo la visione si è tentati di diventare vegani
«La gallina non è un animale intelligente, lo si capisce da come guarda la gente»: se siamo schiavi di questo pregiudizio la colpa è di Cochi, Renato e Enzo Jannacci (per tutto il resto Dio li abbia in gloria, vivi e defunti). La canzone intelligente, uno dei gioielli sfornati quando facevano squadra, probabilmente non è mai stata tradotta in ungherese, perché György Pàlfi, autore dissonante pluripremiato di suo – Taxidermia, del 2006, è il suo bestseller – ci consegna, con il suo Kota (Hen) in rassegna alla Festa del Cinema di Roma, un vero e proprio Die Hard dei polli. Un esercizio di suspense da culto. Non solo la sua anonima gallina è intelligente, ma è l’eroina di un thriller con tutti i crismi e i tòpoi del cinema di genere.
È anche l’epica Rivoluzione d’Ottobre di un’ovipara che si ribella alla sua condizione (e perché no, classe) di eterna sfruttata. Si definisce ‘proletario’ chi non possiede altro che la propria prole. Cos’è una gallina che non possiede nemmeno le proprie uova? Se Karl Marx non avesse circoscritto la propria analisi al segmento umano di questo pianeta non potrebbe eccepire. Sappiamo tutti che Il brutto anatroccolo era sostanzialmente una fiaba antirazzista. La gallina protagonista di Hen non conosce l’upgrading di classe di Andersen, non diventa un cigno. Ma è nera. Perciò quando finisce dentro un pollaio – la rete metallica definisce il lager – le galline bianche la beccano senza pietà.
Una sorpresa costante
Ma andiamo per ordine: Hen è una sorpresa costante. Il close-up su un culo di gallina (perché ricorrere agli eufemismi?) in atto di partorire il suo uovo è già una promessa stilistica e narrativa. È un parto, e non è indolore, anche se non siamo allenati a rifletterci. C’è un chiocciare specifico che tradisce una certa pena. Ma è già lavoro taylorizzato, nella catena produttiva industriale. È prestazione alienata, in senso letterale.
Nel mare di pulcini gialli all’ammasso, quello nero che sarà la star del film è una presenza disturbante da eliminare. Non finirà recluso a beccare cibo dentro stai da asfissìa. È predestinato a finire nel piatto del trasportatore. Ma è femmina, è intelligente e coraggiosa, una Papillon per vocazione. Che evade alla prima occasione, in una stazione di servizio.
La fuga da una volpe in agguato ha gli stilemi dell’action movie più classico. Anche perché il villain, come da convenzione hollywoodiana, viene provvidenzialmente eliminato da un’auto. Avete mai notato che l’andatura delle galline ne fa degli irresistibili Charlot naturali? E che i loro versi – di allarme, di gradimento, di sorpresa – sono estremamente eloquenti?
Il regista gioca di fino. Con gli occhi della gallina intercetta i piccioni che beccano dai cassonetti: perché sono a piede libero, e i polli no? La gallina “è” un animale intelligente. Lo si capisce da come guarda la gente, e da come guarda il mondo in generale. Almeno secondo Pàlfi.
Come tutti i fuggitivi del cinema, la nostra pollastra è un’outcast, scacciata a calci dal consesso civile e affamata, costretta a contendere ai falchi e ai topi un miserabile lombrico di campo. La sua fortuna è finire, ormai allo stremo, nelle fauci di un cane che la consegna, tremante e terrorizzata, al suo anziano padrone (l’attore greco Ioannis Kokiasmenos), titolare di una taverna.
Ci sono umani buoni e umani cattivi. Lui fa quello che faremmo noi: la disseta, le passa uno spuntino di chicchi e la sistema nel suo pollaio. Per la furia (razzista) delle galline bianche e per la gioia del vecchio gallo. Stupro immediato, ma col sottofondo di una romantica love song. Ma qui comincia la resistenza ostinata – ma non-violenta, ghandiana – della nostra eroina, che non si rassegna (così fan tutte, le altre) al furto quotidiano delle sue uova.
Il Bolero di Ravel – integrale, ma in versione corale – scandisce la sua ennesima, avventurosa evasione e la scoperta dell’uso culinario dei feti, se è lecito chiamarli così (ok, per essere tale l’uovo deve essere fecondato e covato o incubato, eccetera eccetera).
Come che sia, la nostra gallina sa di appartenere a una classe sfruttata che produce plusvalore. E nella sua affannosa ricerca di un posto sicuro dove deporre le uova, al riparo dai furti legalizzati, finisce sul furgone che nottetempo fa contrabbando di poveri cristi immigrati. Perché il ganzo della figlia del vecchio usa la taverna come punto d’appoggio per il suo traffico malavitoso. E siccome un uovo blocca il sistema di aereazione del furgone, il carico umano arriva cadavere. I delinquenti gli danno fuoco per cancellare le tracce, e il volatile clandestino ne esce sbruciacchiato.
A rischio veganesimo
È la pietà umana del vecchio locandiere a farlo curare e a promuoverlo a pet di casa: cinematograficamente, siamo in zona Unbreakable, Bruce Willis torna sempre buono, con le sue mitiche peripezie. Ma la gallina, ammessa ormai in famiglia, vive un vero colpo di fulmine col gallo nuovo, che è decisamente sexy e prestante: altra love song da cotta romantica, e questa volta il sesso è consenziente.
Potrebbe essere un preavviso di happy ending, perché la polizia ha arrestato i criminali e il vecchio si è finalmente conquistato il ristorante vista mare, pulito e perbene, che aveva sempre sognato. Ma la gang non perdona. Piomba armata una sera, terrorizza i clienti e massacra, dopo l’amatissimo cane, anche il suo proprietario, “lo spione”, il delatore. Tra i generi più frequentati dal cinema, c’è solo da scegliere. Ma nell’umana tragedia la gallina trionfa. È finalmente libera di covare le sue uova e di vederle diventare pulcini. Quello nero non manca mai.
La produzione precisa che a impersonare la protagonista sono state chiamate otto pollastre diverse, e che nessuna è stata maltrattata per le riprese del film. Ma per puro scrupolo ho cercato su Internet la classificazione della carne di pollo. Non c’è. Ovina, bovina, caprina…e carne bianca, di pollo, tacchino e coniglio.
Da produttori e consumatori viene classificata solo smembrata: petto, cosce, sovracosce e ali. Pensiamo ai polli già come cadaveri dissezionati. Le uova escono da un ano piccolo piccolo, ma per i nostri figli potrebbero crescere sugli alberi. Lo spettatore di Hen è a rischio veganesimo.
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