Cormac McCarthy è morto a novant’anni poco tempo fa. Nell’anno che portava alla sua morte, aveva fatto uscire due libri a breve distanza uno dall’altro, Il passeggero e Stella Maris. Da Einaudi. Raccontano due pezzi – due traumi – di una stessa storia. Bobby e Alicia Western sono figli di uno degli scienziati di Oppenheimer: «Mio padre non dormiva prima della bomba e ha continuato a non dormire dopo. Credo che la maggior parte degli scienziati non si siano granché posti il problema di quello che sarebbe successo. Si divertivano e finita lì. Sul Progetto Manhattan hanno detto tutti la stessa cosa. Che non se l’erano mai spassata tanto in vita loro. Ma chiunque non capisca che il Progetto Manhattan è uno dei fatti più significativi nella storia dell’umanità pecca di disattenzione. Quel programma se la gioca con la scoperta del fuoco e del linguaggio».

Per quanto sembri assurdo, durante la pausa editoriale seguita a La strada, McCarthy ha concepito due romanzi che parlano della bomba atomica ed escono nello stesso periodo del film di Nolan. Se riusciamo a mettere da parte questa strana coincidenza – mentre il mondo torna ad avere paura della bomba – vale la pena concentrarsi un po’ sul dittico finale di McCarthy.

Due folli genialoidi

Il passeggero e Stella Maris raccontano la vita di un fratello e una sorella morbosamente uniti, per tutta la vita, in una amorosa folie à deux. Entrambi genialoidi, lei di più, appassionati di matematica, violino, corse automobilistiche, passano la vita a scontare il peso degli errori paterni, ossia il peso della storia: «Chiunque avesse fabbricato la bomba ci avrebbe fatto saltare in aria qualcosa e sono sicura che mio padre abbia pensato meglio noi che loro… Mio padre sulla questione era di un altro avviso. Pensava che se il Giappone fosse stato sconfitto con un’invasione di terra non ci sarebbe stato nessun miracolo della ricostruzione dopo la guerra. Che il Giappone sarebbe stato umiliato in quanto nazione e sarebbe entrato in un lungo declino. Così invece non furono sconfitti in battaglia. Furono sconfitti con la magia».

Il passeggero parte dal suicidio di Alicia, la sorella di Bobby. L’incipit è su di lei, impiccata: «Nella notte era scesa una leggera nevicata e i suoi capelli ghiacciati erano aurei e cristallini e i suoi occhi gelidi e duri come pietre. Uno degli stivali gialli le si era sfilato e spuntava dalla neve sotto di lei…».

È un romanzo affascinante, pieno di invenzioni, che racconta una storia davvero strana: Bobby, che lavora come sommozzatore, scopre un jet privato in fondo alla Baia del Mississippi. Non solo: sembra mancare un passeggero, e l’aereo, quasi un aereo fantasma, che verranno a reclamare strane figure “di mormoni” è un cupo enigma. Siamo nei territori (DeLillo, Pynchon, Thompson, ma un po’ anche X Files?) della paranoia americana. L’intelligente, affascinante e tenebroso Bobby Western comincia la sua fuga per il paese, inseguito da forze oscure e inafferrabili.

Ma Il passeggero è molto altro, perché segue, in parallelo ma su piani temporali separati, il rapporto tra la sorella di Bobby, Alicia, e il Talidomide Kid, lo spiritello prodotto dalle sue psicosi, che la accompagna per il mondo facendole dispetti ma anche stimolandola a modo suo. Il Kid viene dritto dritto da quello stupefacente diario della schizofrenia che è Operatori e cose di Barbara O’Brien, e con lui tutti gli “operatori” della mente di Alicia: «Un’accoppiata di nani in giacchina e cravatta viola e lobbia in testa. Una signora senescente col cerone imbrattato di fard. Abito d’epoca di voile nero, pizzo ingrigito sulla gola e ai polsi. Al collo una stola composta di ermellini morti spianati come vittime della strada con neri occhi di vetro e nasi di broccato… Lei si tirò le coperte fin sotto il mento. Chi siete? disse… Bene, disse il Kid, fermandosi per fare un gesto d’incoraggiamento con una pinna. Entreremo nel vivo a poco a poco, per cui fin qui nessun bisogno di scaldarsi. Bene. Altre domande? … Il nano di sinistra alzò la mano».

Non si può dire quindi che Il passeggero sia il libro di Bobby. Ma Stella Maris è quasi tutto di Alicia. Questa breve coda, uscita a settembre anche in Italia, è una immaginaria sbobinatura delle sessioni tra Alicia e uno psichiatra della clinica psichiatrica Stella Maris, il dottor Cohen.
Alicia Western ha vent’anni, tre ricoveri, un elenco di diagnosi che vanno dall’anoressia alla schizofrenia paranoide. Violinista, matematica, insomma anche lei, come il fratello, personaggio salingeriano di giovane favolosa, Alicia presenta al dottor Cohen l’enigma della malattia mentale, la bomba atomica della psiche, e nel farlo racconta di sé e della sua famiglia e ragiona sulla bomba atomica, il peccato originale che ha reso la vita di fratello e sorella Western, cioè “occidentali”, cioè noi, un mistero non più comprensibile di quello che nel Passeggero aleggia intorno all’aereo sommerso nella baia.

Sapienza e razionalità

Non so se Stella Maris da solo possa risultare una lettura interessante, ma sicuramente completa Il passeggero, che è un romanzo assoluto quanto ellittico. Lo strillo in quarta di copertina, dell’affidabile Dwight Garner sul New York Times, dice una cosa vera: «Altri scrittori saccheggeranno queste pagine per farne epigrafi, quasi fosse l’Ecclesiaste, per i prossimi 150 anni». Il passeggero infatti vuole anche essere un libro sapienziale, e si concentra con tale attenzione sui buchi dell’esistenza, sui misteri impliciti del nostro essere mortali, da raggiungere zone di grande poesia e spiritualità: «Le età dell’uomo che corrono da tomba a tomba. Dei conti su una lastra di ardesia. Sangue, oscurità. Un residuo di bambini morti su una tavola. Le stratificazioni rocciose del mondo con le loro impronte fossili di forma e quantità illimitate. I petroglifi moderni di mio padre e la gente sulla strada nuda e urlante…». 

Stella Maris è un conversation piece, quindi si occupa meno del mistero, ha qualcosa di più prosaico, è il tentativo di infilare insieme più storie, di razionalizzare. Qualcuno si è chiesto come mai McCarthy non abbia fatto lo sforzo di compattare le due narrazioni in un solo volume, ma a me viene da dire che essendo Il passeggero un capolavoro fatto di vuoti, Stella Maris si pone come un capitolo che a forza di creare vuoti è precipitato in un libro tutto per sé.

L’ultimo flirt

La grandezza di McCarthy però non sta in quella che ogni tanto appare come saggezza, come sguardo che si infila nelle tenebre e ha il coraggio di sfidare la morte. Le pagine di questi due libri infatti non ci propongono un vecchio saggio della prosa, ma un grandissimo giovane scrittore: uno che ancora cerca la sua voce, che improvvisa, sperimenta, la spara grossa. McCarthy alla fine della sua vita scriveva ancora come un ventenne alla ricerca della sua poesia e delle sue visioni. In questi libri, McCarthy tenta sempre il colpo dell’accostamento folle, del vortice di immagini, di un esistenzialismo verticale e insieme estetizzante. Quando ci riesce, è stupefacente; ma anche quando non ci riesce mi fa simpatia.

Proprio come un giovane scrittore, McCarthy vuole farci innamorare dei suoi personaggi. Li vuole geniali, feriti, icastici, desiderabili sopra ogni cosa, primi della classe: «L’odore di un violino vecchio di trecento anni non assomiglia a nessun altro. Ho pizzicato le corde ed era sorprendentemente intimo. L’ho tolto dalla custodia e mi sono messa ad accordarlo. Mi chiedevo dove gli italiani fossero andati a prendere del legno d’ebano… Ho tirato fuori l’archetto. Fabbricato in Germania. Splendidi intarsi d’avorio. L’ho teso e poi ho semplicemente iniziato a suonare la Ciaccona di Bach. In re minore? Non ricordo. Un brano così crudo, tormentoso».

McCarthy ha passato gli ultimi anni della sua vita cercando le parole e gli argomenti per flirtare con noi. Ha usato il classico armamentario del ragazzo sensibile del Novecento: la Bomba, la musica, i segreti di stato, il mistero della morte, il male di vivere. Questi due libri ci permettono di celebrare una scrittura fresca, mai eterodiretta, indifferente a tutto ciò che non sia conquistare chi legge.


Stella Maris (Einaudi 2023, pp. 200, euro 18,50) è l’ultimo romanzo di Cormac McCarthy 

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