Sono passati esattamente 60 anni dalla crisi dei missili cubani, iniziata nell’ottobre del 1962, e ancora una volta il mondo sembra trovarsi vicino a una catastrofe nucleare. Lo ha ricordato ieri notte il presidente degli Stati Uniti Joe Biden: «Era dai tempi di Kennedy che non ci trovavamo di fronte all’Armageddon».

Il pericolo arriva dalla Russia. La scorsa settimana, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato l’annessione illegale di quattro regioni dell’Ucraina e ha di nuovo evocato lo spettro della bomba atomica quando ha ricordato che con il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki gli Stati Uniti hanno segnato un pericoloso precedente.

Non è la prima volta che Putin sfodera questa minaccia, ma con la guerra in Ucraina che appare sempre più una situazione senza via di uscita, gli esperti iniziano a temere che questa volta Putin possa fare sul serio. Le possibilità che questo accada sono ancora ritenute pochissime, ma le conseguenze sarebbero talmente gravi e imprevedibili che vale la pena considerarle seriamente.

Una bomba “tattica”

Come potrebbe realisticamente tradursi in pratica questa minaccia? Al momento sono pochissimi, anche tra gli opinionisti russi, a ritenere possibile che Putin possa ricorrere alla “regina” delle armi nucleari: i giganteschi missili balistici intercontinentali, capaci di raggiungere in pochi minuti l’altro capo del mondo e di trasportare fino a una dozzina di bombe atomiche in grado di devastare una metropoli ciascuno. Utilizzare un’arma di questo tipo contro l’Ucraina o contro uno stato membro della Nato produrrebbe con ogni possibilità un’immediata rappresaglia atomica da parte degli Stati Uniti.

Per questo, gli esperti ipotizzano l’uso di quelle che in gergo vengono chiamate “armi nucleari tattiche”. Non esiste una definizione precisa di queste armi, ma in genere si tratta ordigni dalla potenza ridotta: meno dei 15 chilotoni della bomba di Hiroshima e con un potere distruttivo decine di volte inferiore alle testate standard utilizzate nei missili intercontinentali (misurata in megatoni).

“Tattica” in questo caso significa che parliamo di un’arma il cui scopo principale è ottenere un vantaggio sul campo di battaglia, come distruggere una posizione fortificata o un concentramento di truppe nemiche. “Tattica” è l’opposto di “strategica”, un’arma che ha lo scopo di colpire dietro la linea del fronte, ad esempio distruggendo la capitale nemica, le sue industrie o la sua popolazione civile.

Tre scenari

Se Putin non ha davvero intenzione scatenare un conflitto nucleare su vasta scala e dovesse decidere di ricorrere alla più piccola delle armi a sua disposizione, come potrebbe impiegarla?

Il primo scenario che viene ipotizzato è quello di un utilizzo per lo scopo per cui queste armi sono state originariamente pensata: ottenere un vantaggio sul campo di battaglia. Durante la guerra fredda, gli Stati Uniti pianificavano di utilizzare piccole bombe atomiche per distruggere le grandi colonne di carri armati sovietici e pareggiare così l’enorme superiorità numerica dei loro avversari. Anche un piccolo ordigno da dieci chilotoni, infatti, è in grado di distruggere qualsiasi cosa nel raggio di un chilometro dall’esplosione, con conseguenze minime dal punto di vista del fallout radioattivo. 

Il problema di questo scenario è che, nonostante il conflitto in Ucraina sia il più vasto in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale, non coinvolge masse di truppe e mezzi così vaste da rendere particolarmente efficace questo tipo di attacco. L’esercito ucraino attacca in piccoli gruppi, è sempre in movimento e difficile da individuare. Per ottenere un risultato concreto, i russi dovrebbero utilizzare numerose bombe nucleari tattiche in varie parti del fronte e se usare anche solo una bomba atomica è considerato improbabile, usarne una dozzina in pochi giorni per, ad esempio, fermare l’assalto ucraino su Kherson, appare al momento quasi impensabile.

In alternativa, Putin potrebbe tentare di utilizzare una bomba tattica con scopo “strategico”: non per vincere una battaglia, ma per cercare di alterare il corso della guerra lontano dal fronte. Ad esempio, potrebbe decidere di colpire Kiev, nella speranza di decapitare la leadership ucraina e demoralizzarne la popolazione. Secondo il sito Nukemap, che permette di simulare gli effetti di un’esplosione nucleare su una qualsiasi città del mondo, un attacco con un ordigno nucleare tattico da dieci chilotoni sul centro di Kiev causerebbe 20mila morti e circa 40mila feriti. Sembra difficile, però, che un simile attacco da solo possa essere sufficiente a piegare il morale ucraino e, tra le tre opzioni, è certamente quella che causerebbe il più forte contraccolpo internazionale.

Il terzo scenario è quello di un attacco puramente “dimostrativo” con lo scopo di spaventare gli ucraini e i loro alleati e magari dissuaderli dall’inviare altre armi o aiuti. In questo scenario, la detonazione potrebbe avvenire in aria, ad altezza sufficiente da non causare danni. Oppure in un luogo simbolico, come l’Isola dei Serpenti, il piccolo scoglio a largo del porto di Odessa, duramente contestato tra ucraini e russi fino a pochi mesi fa.

La reazione 

Uno qualunque di questi tre scenari rappresenterebbe un’escalation senza precedenti e una rottura del tabù nucleare rimasto in vigore dal 1945. La reazione sarebbe mondiale e la Russia si ritroverebbe con pochi alleati. Il presidente indiano Narendra Modi ha già avvertito Putin a metà settembre che questo «non è il tempo della guerra» e, se anche l’atteggiamento indiano al momento rimane ambiguo, un’escalation nucleare potrebbe portare a un rapido cambio delle relazioni tra i due paesi.

Lo stesso discorso vale per la Cina. L’Asia Times, uno dei principali media in lingua inglese della regione, ha recentemente pubblicato una raccolta di commenti di specialisti cinesi, alcuni molto vicini al partito comunista, tutti scettici o comunque critici nei confronti dell’opzione nucleare russa. Uno di loro, il commentatore di affari militari Zhou Ming, ha scritto che l’uso di armi nucleari da parte della Russia «non sarebbe giustificato».

Ma come reagirebbe la Nato? Il 18 settembre Joe Biden ha detto che la risposta americana sarebbe «consequenziale» e, in un’intervista alla Cbs, ha ripetuto tre volte: «Non farlo, non farlo, non farlo». La settimana successiva, il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha parlato di «conseguenze catastrofiche». La Casa bianca ha detto che di aver privatamente avvertito Putin delle gravi conseguenze che avrebbe l’uso di armi atomiche in ucraina.

Questa ambiguità è voluta ed è una parte importante del meccanismo di dissuasione. La risposta più probabile, però, rimane un attacco con armi convenzionali. «Guideremmo un attacco dei nostri alleati che spazzerebbe via tutte le truppe russe in Ucraina che possiamo identificare e affonderemmo l’intera flotta russa nel Mar Nero», è lo scenario ipotetico descritto dall’ex generale e capo della Cia David Petraeus è stato è uno dei molti che hanno.

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