Cadere da cavallo, lussarsi una caviglia, e nelle ore d’attesa al pronto soccorso, riflettere sulla stessa etimologia del verbo lussarsi e della parola lusso. Potete anche lasciarmi qui tra i miei deliri, vittima degli antidolorifici, e interrompere la lettura. Ma mentre aspetto di essere presa in considerazione per una radiografia nell’ospedale di Castel di Sangro, in Abruzzo, scopro che l’aggettivo lussato – cioè slogato – ha la stessa origine della parola latina luxus, in italiano lusso, che nel tempo ha assunto il significato di sfarzo, sfoggio di ricchezza, eccesso. Una spinta verso uno stato diverso da quello dell’origine. Proprio come la spinta innaturale che devo aver dato io alla mia caviglia.

Isole e voli privati

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Chissà come siamo arrivati a dare un valore tanto diverso a queste due parole, nate dalla stessa radice, mi chiedo mentre l’infermiera trascrive i miei dati e poi mi lascia in attesa in un’altra stanza. Di certo ho la caviglia lussata, ma il lusso è anni luce lontano da me, lasciata qui come un pacco, sola e senza soldi su una sedia a rotelle, abbandonata dai miei compagni di viaggio (per le regole Covid negli ospedali non si può entrare accompagnati) e affidata al buon cuore della signora Rosa che, impietosita, mi offre una bottiglietta d’acqua.

Mentre sospiro e attendo, scrollo le foto su Instagram e vedo la coppia Chiara Ferragni e Fedez sul volo privato che li porta a Ibiza. Osservo con brama anche quel cabaret di pasticcini che hanno sul tavolo. Nelle stesse ore viaggia comodo, verso Mikonos, anche il mio amico Andrea, che lascia Porto Cervo sull’aereo di Eleonora Berlusconi, mentre un’altra mia amica, Elena, prende l’elicottero con la sua famiglia per raggiungere l’isola di Patmos da Mikonos, che con la nave sarebbe stato un viaggio di tre ore.

Se questo è lusso, lo ammetto, io un po’ li invidio. Dalle foto sembrano felici, tutto è perfetto e il messaggio implicito dice: «Hey, la felicità è qui». Al contrario di me, che non posso permettermi neppure di starnutire, se lo faccio provo un dolore simile a una coltellata dietro la schiena. Devo essermi pure incrinata una costola, lo dirò al dottore quando sarà il mio momento. Speriamo presto.

Lusso diverso

«Quando penso al vero lusso, mi riferisco a questo», diceva qualche giorno fa la mia amica Alessia Rizzetto, ufficio stampa tra i più ambiti dagli chef stellati. Mentre parlava, guardava fuori dal finestrino di una vecchia Land Rover che, da Cortina, ci portava all’alpeggio di Pian Federa, ai piedi delle Tofane, a 1.600 metri di altezza.

Io ero come in trance, la notte prima avevamo dormito all’Hotel de Len, albergo di design interamente sostenibile in cui le camere sono studiate per ottimizzare il sonno, tra pareti in legno di ciliegio e un macchinario sotto al letto che riduce l’energia tossica dei cellulari e pc. Non è per accontentare l’ufficio stampa, ma assicuro di aver dormito otto ore di seguito facendo bei sogni. Credo non mi sia mai accaduto prima.

Ad attenderci, su un enorme prato in salita, c’era una cucina attrezzata e intorno le mucche al pascolo che si abbeveravano a una fontana naturale. Tutto era stato trasportato lì con un trattore e la sera il paesaggio sarebbe tornato come era stato trovato. Ai fornelli c’era lo chef stellato Riccardo Gaspari del ristorante San Brite, famoso per cucinare con gli ingredienti del territorio, soprattutto erbe selvatiche, bacche e funghi testati da lui e dal suo team (una ventina di ragazzi dai 25 ai 32 anni, arrivati da ogni parte d’Italia). E poi i formaggi, prodotti direttamente dal suo agriturismo El Brite de Larieto.

Di quel giorno non dimenticherò mai, ne sono certa, il burro in quantità servito sulla pietra, da spalmare sul pane fatto in casa. E poi gli spaghetti alle erbe, al dente, saltati in padella prima di essere serviti a tavola en plein air. Avrei scoperto più tardi che quello che mi attendeva non era un semplice pranzo, ma un’occasione che non capita tutti i giorni.

Un’esperienza vera, un lusso diverso. Una prova generale per gli addetti ai lavori – a cui io mi ero imbucata - in attesa dell’evento che lo chef con sua moglie Ludovica Rubbini hanno preparato nei dettagli per settembre, dal 9 al 12. Una tre giorni chiamata Genesis, ritorno alle origini, dove al centro ci sono l’uomo e la natura. E la scoperta e la condivisione di sapori sconosciuti.

Burro sulla pietra e cellulari spenti

È un’occasione aperta a tutti, magari non troppo economica, ma se pensate di meritare un regalo divino potrebbe fare al caso vostro. A me è bastato annusare il burro sulla pietra per sentirmi più mistica, ma a settembre saranno comprese passeggiate in e-bike, sessione di yoga sul prato, pranzo in malga e un concerto con degustazione di vini nel bosco.

E inoltre, dopo le prime due notti passate in albergo, all’Hotel de Len, quello in cui scoprirete il sonno dei giusti, la terza sarà in tende attrezzate con veri letti e tutte le comodità - assicurano dall’organizzazione - con risveglio e colazione sul prato.

A dare man forte in cucina a Riccardo Gaspari ci saranno anche altri chef internazionali come Oliver Piras e Alessandra Del Favero, fondatori del ristorante Aga di San Vito di Cadore e oggi maghi dietro le quinte del Carpaccio di Parigi. E poi Fatmata Binta, originaria della Sierra Leone che ha sbaragliato tutti alla settima edizione del Basque Culinary World Prize. E ci saranno ancora, tra i gli altri, lo chef danese Simon Lerche, l’esperta di mise en place Giorgia Eugenia Goggi e lo chef di dolci Luca Lacalamita.

Di sicuro c’è da imparare qualcosa, almeno nell’arte della presentazione a tavola. Anche se non si potrà fotografare niente, né fare video: la regola aurea è lasciare il cellulare all’arrivo. Anche questo fa parte del pacchetto, sostiene Ludovica, moglie dello chef ma soprattutto motore di questo progetto visionario della vita in montagna.

H come lusso

AP

Anche questo è lusso, quello diverso, penso mentre attendo il responso della mia radiografia. E mi torna in mente proprio lei, Ludovica, mentre mi raccontava, senza retorica, che parte dell’ispirazione gliel’hanno data le sue figlie e una generazione bombardata da informazioni e reperibilità continua. Quando aveva chiesto alla più grande, Cecilia, 12 anni, di disegnarsi su un foglio, lei si era rappresentata con la lettera H.

Si era giustificata dicendo che la H è una lettera silenziosa, che non emette suono, ma diventa necessaria per la pronuncia di certe parole. Qualcosa che ha valore, conta, ma non ha bisogno di fare rumore per farsi notare.

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