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Il carico mentale e il senso d’inadeguatezza che le aspettative sociali caricano sulle spalle delle donne è enorme perché ti chiedono, in sostanza, di lavorare come se non avessi figli, di essere madre come se non lavorassi e moglie come se fossi disoccupata e senza figli.
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Se provi a trovare un equilibrio tra le cose diventi un’anomalia del sistema e il pensiero diffuso è che tu non stia facendo bene niente.
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Finisce che, per sopravvivere, si eliminano dei pezzi, che sia il lavoro o un interesse che non si ha più il tempo di seguire, le amicizie, la cura di sé, a volte a saltare è la coppia stessa. Pezzi di vita che sono parti importanti che contribuiscono a definirci, a renderci ciò che siamo.
Se sei una donna, conciliare figli e lavoro non è possibile, oggi, in Italia. Un’affermazione tanto vera quanto sconfortante che scaraventa la mia generazione – quella delle quasi quarantenni, che all’alba del millennio hanno compiuto 18 anni pensando che quella coincidenza fosse un segno di buon auspicio per il futuro – in un corto circuito temporale che ci fa sentire molto vicine alle nostre mamme e nonne in quello che avevamo giurato a noi non sarebbe successo: restare schiacciate dal carico



