«Il medium è il messaggio» diceva Marshall McLuhan. Ogni volta che penso a questa frase ho paura che il sociologo canadese mi spunti alle spalle, come in quella scena di Annie Hall, quando in fila al cinema Woody Allen lo chiama in causa per sbugiardare un professore della Columbia che parla senza sosta, sputacchiandogli sul collo, mentre lui e Annie affrontano l’ennesima discussione sul sesso.

Non sono sicura di poter dire che se mi trovassi di fronte il professor McLuhan saprei sostenere un’interrogazione impeccabile partendo dalla sua famosa citazione, ma credo che in linea di massima, senza darsi troppe arie, sia un ottimo jolly da usare quando succedono cose strane in televisione. Quando per esempio Matteo Renzi va ospite ad Amici di Maria De Filippi o quando Nicola Zingaretti va da Barbara D’Urso: non sono tanto i contenuti a fare la differenza, quanto le strutture mediatiche all’interno delle quali vengono organizzati.

E mi pare piuttosto evidente che se nel mezzo della bufera scatenata dai rapporti con Putin, a un passo dalle europee, con un processo a carico, un ministro e vice premier sceglie di farsi intervistare da Francesca Fagnani in prima serata su Raidue in un programma cult non è tanto per le risposte che vuole dare, ma per il contesto dentro cui si vuole calare.

Il luogo conta

Eppure, Matteo Salvini ha provato in tutti i modi a farci credere che lui di comunicazione non ci capisce proprio nulla. Lui che mangia pane e Nutella su Instagram, lui che mette le felpe, gli elmetti, i caschetti, alla faccia dei mille travestimenti di Silvio Berlusconi, che per primo sfoggiava colbacco e cappello da ammiraglio, padre morale, che oggi gli manca tanto, soprattutto per le belle telefonate sul Milan che si facevano da buoni amici e per la coesione che dava al centrodestra.

Matteo Salvini che indossa gli occhiali tartarugati e i maglioni a collo alto – o i «coglioncini a collo alto», come disse con un bellissimo lapsus Lucia Annunziata – in stile compagno dimesso quando deve fare campagna elettorale nella rossa Emilia-Romagna. Matteo Salvini che gira per le sagre e per i Papeete, che parla “da papà” ma anche da ultrà, che impugna la colomba a Pasqua, il panettone a Natale, lui che non riesce a stare a dieta perché in fondo lo sappiamo, a noi italiani piace proprio tanto mangiare, e il tofu lo lasciamo a chi non ha la gioia nel cuore.

Quel Matteo Salvini, incalzato da Francesca Fagnani nel suo ormai iconico Belve, per usare un aggettivo molto caro al pubblico del programma che si scatena su Twitter a suon di clip e citazioni, ci racconta che di strategie di comunicazioni lui non ne sa niente.

È curioso il modo in cui la televisione, il medium, appunto, ci sia entrato sottopelle nei modi più disparati, dopo un ventennio di tv-verità in stile Grande Fratello e Uomini e Donne. Si pensava che ci avrebbe reso tutti stupidi, e invece ci ha trasformati in cuccioli con gli occhi languidi, noi che diciamo sempre quello che pensiamo, noi che siamo troppo buoni con tutti e poi lo prendiamo in quel posto, noi che siamo sinceri, che le emozioni qui sono amplificate, noi che siamo noi stessi, con tutte le nostra fragilità. Se sembra un déjà vu, lo è.

Non è un caso che Matteo Salvini scelga Francesca Fagnani per ripulirsi dai guai e che Chiara Ferragni vada da Fabio Fazio. Non sono le domande che contano ma il luogo in cui vengono poste: Ferragni ha bisogno di istituzionalizzarsi, meno pop, più nazionale; Salvini vuole normalizzarsi, rendersi inoffensivo, umano, e quale contesto migliore se non un programma che si chiama Belve per dire al mondo che in realtà lui non è affatto un animale feroce?

Uomini e donne 

Succede questa cosa nel programma di Fagnani, gli uomini ci vanno per piangere e per fare gli occhi dolci come il gatto con gli stivali di Shrek e le donne per la ragione opposta. Loredana Bertè racconta di tutte le volte che ha menato, sia i fan che sbagliano gli attacchi delle sue canzoni che il suo ex marito.

Racconta di quando gli ha detto «Vaffanculo tu, la cocaina, le troie, mi hai rotto il cazzo» alla proposta di un threesome, tra frustini e abiti in latex, ed è già una citazione scolpita nella pietra di internet, ossia i meme.

Carla Bruni, eterea e balsamica, a proposito di tradimenti spiega che lei tollera tutto, basta non saperlo, c’est la vie, ma che se dovesse scoprire le corna del marito gli taglierebbe la gola, poi tanto sono solo sei anni di carcere e quando torna in libertà può fare la vedova allegra. Droga, alcol, relazioni tossiche, chirurgia plastica, autostop con la minigonna: queste sono le belvate.

Salvini invece non guarda mai Fagnani negli occhi, tiene sempre le mani in camera, con i suoi elenchi e la sua gestualità da uomo di buonsenso. Quando viene fuori una parola difficile, “ipotiposi”, risponde dicendo che anche se ha fatto il classico preferisce non addentrarsi in concetti complessi, pane al pane e vino al vino, e se non è questo il frutto di uno studio sulla medietà, l’ostentazione della propria semplicità, il buon pescatore che non riesce ad andare in palestra, vorrei sapere cos’altro dovrebbe esserlo.

Dice che tra Valentina Nappi e Rocco Siffredi preferisce il secondo, il porno era meglio quando era sui giornaletti, mica come oggi, che è alla portata di tutti, perché il sottotesto è sempre che si stava meglio quando si stava peggio, ma che ne sanno i 2000, distillato perfetto di retorica facebookiana da Gen X.

Al liceo poi era uno sfigato, le ragazze non le vedeva neanche col binocolo, e guarda caso le uniche belve di cui si parla sono proprio due donne: due “faine”, per la precisione, Giorgia Meloni e Francesca Verdini quando giocano a burraco.

Francesca Fagnani conduce Belve avvolta da un tubino nero Schiaparelli, una vera e propria dominatrice, non solo per ciò che chiede, sfogliando la sua agenda rossa gonfia di informazioni pericolose, ma soprattutto per il contenitore che si è creata. Le manca giusto il frustino, ma quando indossi dei tacchi Louboutin da dodici centimetri è un po’ come se l’avessi già in mano. Le domande a Salvini non sono state neanche così pungenti, eppure lui ne è uscito con la coda tra le gambe, bonaccione un po’ sfigato che si sforza a farsi venire le lacrime quando ripensa ai nonni.

Alla domanda «Che belva si sente?», piuttosto che un banale Uomo Tigre, avrebbe potuto rispondere “la bestia”, allora sì che sarebbe stato interessante sentirlo parlare, piuttosto che ascoltarlo mentre dice che il processo di Open Arms è solo un’opinione portata avanti dagli haters. Ma non era per fare la belva che Salvini è andato a Belve. «Io mi sento adeguata ai ruoli in generale perché nei ruoli non sono poi tanto io, sennò non sarebbero dei ruoli», dice Carla Bruni, e meno male che qualcuno lo ammette.

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