Il cantautore genovese torna sul palco dell’Ariston con Balorda nostalgia: «È un brano molto personale, ho fatto a botte con me stesso per capire cosa volevo raccontare. In amore sto capendo che due più due fa cinque e che nel ridere e nel piangere c’è dentro tutto»
«Non era nei miei piani tornare a Sanremo, non così presto. Poi è nata questa canzone e ci è venuta la voglia di proporla, perché è sempre la musica che deve comandare nel mio mondo. Con questo brano ci ho fatto a pugni, perché è una storia molto personale. Ho fatto a botte con me stesso per capire cosa volevo raccontare e cosa no. Sarà una canzone da vene sul collo». Olly torna a calcare il palco dell’Ariston con Balorda nostalgia soltanto un anno dopo il suo esordio con Polvere, 24esimo in gara e poi disco di platino, e con quel La notte vola cantato (e ballato) con Lorella Cuccarini.
Nel mezzo un percorso inarrestabile in cui non si è fermato mai tra tour sold out, la pubblicazione del secondo album Tutta vita e singoli che hanno dominato le classifiche, come Devastante e Per due come noi, cantato con la vincitrice di Sanremo 2024, Angelina Mango.
«Ero scettico all’inizio», racconta, «soprattutto sul ritornello, perché dicendo “ridere, piangere”, poteva essere davvero “sole, cuore, amore, due più due fa quattro”. Però, lo sto capendo negli ultimi anni, nel piangere c'è un po' di tutto. Soprattutto in amore sto capendo che due più due fa cinque e che nel ridere e nel piangere c’è dentro tutto. Si ride fingendo di ridere. Si piange volendo urlare. Mi piaceva alla fine utilizzare due parole così semplici, tenendo conto che potessero anche essere scambiate per banali. Ma c’è una differenza enorme tra ciò che è semplice e ciò che banale. Potrei raccontarvi che la mia canzone è una metafora. No, è una canzone d'amore. Però ne ho parlato in un modo diverso. E considerato che un tema della mia psicanalisi è quanto io non riesca a provare certe cose, raccontarle in un modo esaustivo mi aiuta. Mi fa pensare: forse lo sto provando, ma lo nascondo a me stesso».
Giovanissimo, classe 2001, Olly sceglie sempre di mostrarsi per come è, eliminando barriere. Salute mentale e difficoltà a relazionarsi con se stessi sono temi ricorrenti per lui. Parte di una generazione che, forse per la prima volta, ha deciso di mostrarsi con tutte le sue fragilità. E di cui fanno parte artisti, come Sangiovanni, che scelgono di fermarsi, quando il dolore prevale.
«Secondo me è fondamentale vivere le difficoltà e i dubbi fino in fondo, - racconta a Domani - tanto che bisogna cercare quando è possibile di approfondire il più possibile le cose. Questo è quello che faccio o comunque che cerco di fare sempre per potermi vivere le cose con maggiore leggerezza. Bisogna farsi tante domande e quando ci sono poche risposte la terapia può aiutare. Nel mio caso per alleggerire cerco sempre di ricordarmi che ho solo 23 anni».
Della sua Balorda nostalgia, Olly racconta che è un modo per chiudere un cerchio, tanti cerchi. «Sono tre anni che non mi fermo. Dal mio primo album a ora ci sono state tante fasi di vita personale, di scrittura. Anche tanti momenti critici. E sul palco di Sanremo porto tutto il raccolto di quello che ho seminato quando mi sono buttato nel mondo del lavoro che ho sempre sognato, con tutte le disillusioni che ne conseguono e con tutte le grandissime soddisfazioni. Non sto portando solo il mio lavoro, ma anche quello di tutte le persone che sono con me. Sono anche compagni di vita. Mi aiutano a tenere la quota “normale” della mia vita. E che credo sia la cosa che se sta iniziando a piacere di me: che sia uno normale».
Non a caso Olly, al secolo Federico Olivieri, parla spesso declinando al plurale, con un “noi” che risuona forte. Un’attitudine che gli è rimasta appiccicata grazie agli anni passati a giocare a rugby. «Di quella vita - racconta a Domani - mi porto dietro la voglia di lavorare tanto in squadra. L’importanza di permettere a ognuno di portare il suo valore aggiunto per arrivare insieme alla meta. E la voglia di andare sempre avanti, con la consapevolezza di sapersi guardare indietro, di essere sicuri di ricevere la palla nel momento giusto, di mettere in sicurezza la presa delle cose. Metaforicamente è importante mettersi sempre nelle condizioni di ricevere i segnali giusti nel momento giusto».
Il noi della sua seconda volta a Sanremo parte in primis dai musicisti con cui ha composto Balorda nostalgia, Pierfrancesco Pasini, il tastierista, e JVLI, il produttore che «mette la mano nel cestino e ricompone il foglio», con cui Olly sta collaborando da tempo.
Giovanissimo, se gli si chiede quanto si sente rappresentativo della propria generazione, si schernisce. «Per certi versi me ne sento completamente fuori», dice con il suo inconfondibile accento genovese. «Spesso si scherza sul fatto che io sia vecchio dentro e non mi sento di dissentire, nel senso che un pochino mi sento così. Probabilmente rappresento di più, con la mia costanza, la voglia di avere un sogno e di crederci. Non sto condannando chi non ha passioni. So di essere stato fortunato ad aver capito presto quello che mi piace fare. Di aver avuto la consapevolezza e la forza di poterci credere fino in fondo, anche quando mi dicevano di mollare».
La responsabilità? Olly la sente soprattutto nei confronti di se stesso, «perché non voglio mai trovarmi un domani a guardare indietro e a pensare che ho fatto quella cosa per perché me l'ha detto qualcun altro. E, comunque, il messaggio non sta tanto in quello che diciamo, ma spesso anche in come viene percepito, nel passaggio tra la bocca da cui esce e l'orecchio in cui entra».
Lui, che è cresciuto ascoltando rap e hip hop e che da quella storia musicale nasce, è convinto che non porti con sé violenza. «Non sarò io a dire che si deve o non deve usare un certo linguaggio. E sono anche totalmente contrario a qualsiasi forma di censura nei confronti di noi artisti».
Capire o meno trap e alcuni filoni del rap per Olly non è neanche una questione generazionale: «Magari i ragazzi sono solo più abituati a questo tipo di canzoni, danno meno importanza a quello che viene detto, si gustano semplicemente la musica. E poi, ci sono anche un sacco di persone della mia generazione che sono ultra attiviste sotto questo punto di vista. E reputano, secondo me più importante di quello che è, ascoltare e centellinare ogni parola che viene detta da un artista».
Genovese, nato una manciata di giorni prima che la sua città venisse squartata da una delle ferite più grandi della storia italiana, durante le proteste contro il G8 del 2001, per Olly le radici sono importanti. La sua musica è intrisa di riferimenti a quel De André che ha scelto anche di omaggiare sul palco dell’Ariston nella serata dei duetti dove porterà Il pescatore, accompagnato da Goran Bregovic. «Tra le ipotesi duetti c’era anche A mano a mano di Rino Gaetano. Avevo provato a fare una versione del brano mettendoci qualcosa di mio, anche di penna, per poi decidere di tornare sui miei passi, tornare alle mie origini e dare continuità, permettendoci anche di avere un arrangiamento che fosse opposto a quello di Balorda nostalgia. Perché io mi sento di essere anche altro e a Sanremo ho voglia di far vedere tutto».
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