Alexander Payne, presidente della giuria di Venezia 82 aveva dichiarato durante la conferenza stampa di apertura del festival di non essersi “preparato” a rispondere a domande sul destino degli abitanti di Gaza. Con The voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania il regista americano ha potuto finalmente informarsi meglio e riscattarsi, ma il “consolatorio” Gran Premio della giuria per un’opera che ha lasciato un segno indelebile in questa edizione delude tutti.

Così come a Cannes 2004, poco più di un anno dopo l'inizio dell'invasione americana in Iraq, il documentario di Michael Moore, Fahrenheit 9/11, sulla prima presidenza di George W. Bush, si aggiudicava la Palma d’oro assegnata da una giuria presa dall’urgenza politica del momento, ci si aspettava un Leone d’oro simbolico per il film della regista tunisina che ha ricevuto durante la sua proiezione pubblica una standing ovation record di ventitré minuti. La giuria ha invece seguito le orme di Greta Gerwig a Cannes 2024, dove il pur bello Anora di Sean Baker vinse la Palma d’oro al posto del potente Il seme del fico sacro di Mohammad Rasoulof.

Il Leone d’oro

Amiamo tutti “Mr Cool” Jim Jarmusch ma dargli il Leone d’oro per la commedia minimalista Father Mother Sister Brother è un’eresia in questo contesto storico. Il film, ben lungi dall’essere un capolavoro, è un trittico poetico sulla forza dei rapporti familiari in un mondo sempre più ostile. Ambientato tra gli Stati Uniti, Dublino e Parigi, l’opera zen dell’autore di cult come Down by Law e Stranger Than Paradise si divide in tre storie di relazioni tra genitori, vivi e defunti, e i loro figli ormai adulti.

Un racconto malinconico e rassicurante, con un cast di star – Adam Driver, Cate Blanchett e Vicky Krieps –, che non resterà certo nella storia del cinema. È chiaro che la giuria ha evitato un Leone d’oro “politico” perché oltre a The voice of Hind Rajab, l’esclusione dalla premiazione di A House of Dynamite di Katherine Bigelow ne è la conferma.

Premio per la migliore sceneggiatura

Premio della sceneggiatura al magnifico À pied d’oeuvre che affronta il tema della povertà e del precariato come nuova schiavitù nel mondo occidentale. Il film della regista francese Valérie Donzelli (La guerra è dichiarata 2011) ci mette di fonte a un fatto: Cos’è oggi uno scrittore? Un povero. È questa l'idea – e il tabù delicatamente infranto – di questo film umile e orgoglioso, adattato dal romanzo autobiografico di Franck Courtès. L’autore, ex-fotografo, decide un giorno di smettere tutto per dedicarsi alla scrittura. È un cambiamento radicale che porta i suoi frutti, poiché riesce a farsi pubblicare diversi libri, ma questo “successo” ha un prezzo: la precarietà sociale.

LEONE D’ARGENTO – PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA

Sorprende il premio per la migliore regia a Benny Safdie per The Smashing Machine, il suo primo film senza la collaborazione del fratello Josh. È la storia in grana 16mm, fintamente “cinéma vérité” del declino di Mark Kerr pioniere alla fine degli anni ‘90 del free fight (chiamato anche MMA): un’arte marziale ultra violenta in cui quasi tutti i colpi sono permessi.

Camera a spalla, zoom e immagini “rubate” costruite per raccontare la vita fuori e dentro al ring di un campione interpretato da un inedito Dwayne Johnson (che nasconde gli occhi quando piange), alle prese con la dipendenza da oppiacei, deliri di onnipotenza e una relazione tossica con una fidanzata narcisista interpretata da una Emily Blunt da Oscar. Siamo ben lontani dal Leone d’oro 2008 per The Wrestler di Darren Aronofsky, il film è come il suo protagonista: semplice, diretto e modesto.

Coppa Volpi

Finalmente un premio al sublime Toni Servillo di La Grazia di Paolo Sorrentino. Il film ci immerge nella vita ordinata, disciplinata, quasi esangue di Mariano De Santis, detto “cemento armato”, un presidente della Repubblica italiana che si avvicina alla fine del suo mandato di sette anni con una certa disillusione nei confronti degli uomini e della politica. L’attore ci regala un personaggio attanagliato dalla propria pavidità. Da antologia.

Tutti si aspettavano un monologo/show di ringraziamento della divina Valeria Bruni Tedeschi per Duse di Pietro Marcello, oppure una Coppa Volpi per la straordinaria performance di Amanda Seyfried, guru cristica e canterina nell’inutile The Testament of Ann Lee, e invece è la Cina a trionfare con il premio per la migliore attrice a Xin Zhile, che nel gelido melodramma Sun Rises on Us All di Cai Shangjun riscalda i cuori degli spettatori incarnando una donna incinta tormentata dai sensi di colpa e da un amore impossibile.

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA

Non poteva mancare un premio al grande Gianfranco Rosi, l’unico regista di documentari ad aver vinto sia il Leone d’oro (Sacro GRA nel 2013) sia l’Orso d’oro (Fuocoammare nel 2016), che con Sotto le nuvole ci immerge in una Napoli e un’area vesuviana in bianco e nero, regalandoci un diario visivo su una terra tremante e segreta che custodisce tra la lava, i reperti archeologici e il pulsare del presente, la memoria e la forza dell’eternità.

Premio Mastroianni 

Il premio Mastroianni va alla luminosa attrice svizzera classe 1999 Luna Wedler che interpreta la prima donna ammessa all’università nel 1908 nel bizzarro Silent Friend della regista Ungherese Idikó Enyedi. Una storia ambientata in tre epoche che celebra la complessità di alberi, piante e fiori, considerati organismi dotati non solo di vita, ma forse anche di ragione e sentimenti.

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