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Cartabia, animata da un’ambizione talmente dissimulata da risultare plateale, sembra aver acquisito solo la parte ipocrita del gesuitismo, inteso come ipocrisia. Messa alla prova dello scontro politico, balbetta.
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L’ambiziosa ciellina che dopo una defilata carriera accademica punta a imporsi definitivamente sulla politica italiana gode di rapporti preziosi tessuti negli anni.
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Non si rende però conto che la militanza nei partiti si inizia a fare da giovani e che il sistema italiano non sia pronto a spalancare le porte a creature aliene che girano senza targa riconoscibile.
Messa alla prova del quotidiano esercizio del potere, Marta Cartabia, ministra della Giustizia dal 13 febbraio scorso, si è infilata in un tale dedalo di contraddizioni e balbettii da incarnare il fallimento di un audace esperimento: partita ciellina, non è riuscita a diventare gesuita per meglio servire le sue ambizioni politiche. Nel 1975, quando la futura presidente della Corte costituzionale aveva appena compiuto 12 anni, il fondatore di Comunione e liberazione don Luigi Giussani dette una



