Martedì 28 dicembre scorso, all’unisono, quasi tutti i quotidiani italiani, di destra, sinistra e centro, hanno scoperto che Giuliano Amato era lanciato verso l’elezione a presidente della Repubblica.

Quando si diffonde a mezzo stampa questo tipo di intenso idem sentire vuol dire che uno o più tamburini hanno cominciato a suonare il tam tam. L’ex vice segretario socialista, professore di diritto costituzionale, presidente del Consiglio, ministro del Tesoro, ministro dell’Interno, presidente dell’Antitrust e futuro, forse, presidente della Corte costituzionale, ha deciso che questo è il suo momento e, a 83 anni, ha cominciato con entusiasmo adolescenziale a muovere le sue numerose pedine sulla scacchiera.

Gli alleati

ROMA 27.09.2000 INTERNI POLITICO PALAZZO GIUSTINIANI NELLA FOTO GIULIANO AMATO © MARCO MERLINI / LA PRESSE

Così la sera stessa del 28 dicembre Sabino Cassese, suo sodale e collega di università nonché vicino di ombrellone ad Ansedonia (e queste cose al vertice delle istituzioni italiane contano), proveniente come Amato dalla Scuola Sant’Anna di Pisa, è sceso in campo.

Ospite di In Onda, su La7, ha sparato una cannonata molto poco accademica contro Mario Draghi: «Quando la nave è in tempesta non si cambia il nocchiero». Che tradotto dal cassesiano significa: «Draghi deve restare a palazzo Chigi perché la sua eventuale elezione al Quirinale non garantirebbe niente alle vecchie vestali della prima Repubblica come me».

Un grido di battaglia che ha ringalluzzito il piccolo esercito amatiano, da quella sera in marcia, con orgogliosa sicurezza, verso il cosiddetto colle più alto. Dove la presenza di un uomo con un curriculum così prestigioso e con una rete di relazioni all’altezza del curriculum garantisce invece a tutti gli amici e amici degli amici future sicurezze e soddisfazioni.

In un sistema politico dove il vero problema di ogni leader politico è sapere se potrà chiamare il prossimo presidente della Repubblica sul telefonino. Una speranza che tutto sommato Mario Draghi concede a pochi, da qui la sua crescente impopolarità tra i grandi elettori.

Nel 2015 Silvio Berlusconi si era già messo d’accordo con Massimo D’Alema sul nome di Amato come soluzione condivisa per la successione a Giorgio Napolitano, ma all’ultimo momento il segretario del Pd Matteo Renzi cambiò gioco e cavallo e scelse Sergio Mattarella per mettere in fuorigioco Berlusconi.

Narra la leggenda che ci fu una sera assai triste per Amato, per ore in attesa, nel suo ufficio di presidente emerito dell’Enciclopedia Treccani, in compagnia con il direttore Massimo Bray, di una telefonata di Renzi che mai arrivò.

Adesso dallo stesso ufficio, che Amato ha sempre conservato anche negli otto anni da giudice costituzionale, vengono impartite le direttive ai politici e giornalisti militarizzati per la conquista del Colle. Ed è lì che l’aspirante presidente della Repubblica riceve gli esponenti politici per incontri sfaccettati. Da una parte un vecchio reduce della prima Repubblica che chiede i voti per prendersi la sua ultima rivincita, dall’altra giovani leader o sedicenti tali in cerca di crediti da incassare nei prossimi mesi se tutto va bene.

Il pellegrinaggio

Sono stati da lui il ministro del Lavoro Andrea Orlando, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio (due volte), il segretario del Pd Enrico Letta (anche lui proveniente dalla Sant’Anna di Pisa e legatissimo ad Amato).

Dicono che una visitina l’abbia fatta anche il ministro leghista dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, finora sostenitore della elezione di Draghi. È ovviamente schierato per Amato l’ex premier ed ex segretario Ds Massimo D'Alema, legatissimo all’ex braccio destro di Bettino Craxi fin dalla nascita della Fondazione ItalianiEuropei che hanno sempre co-diretto. E dalla stessa fondazione viene Bray (che fu ministro della Cultura nel governo Monti).

Combatte per Amato l’attuale ministro della Cultura Dario Franceschini, all’unisono con il segretario generale del ministero Salvo Nastasi (anche lui un passato in Treccani). Ma anche il vicesegretario del Pd Peppe Provenzano, nominalmente esponente dell’ala più a sinistra del partito, forse perché anche lui proveniente dalla Sant’Anna, è schieratissimo con Amato e non ne fa mistero.

Gli amici del Dottor Sottile nel Pd scommettono sul fatto che, per Enrico Letta, Amato è l’unica soluzione praticabile per sperare di far eleggere un uomo targabile come vicino al Pd, e quindi per non avere nel suo tabellino di segretario una sconfitta cocente nella partita quirinalizia che si gioca ogni sette anni quindi vale il triplo.

Le promesse incredibili

Si leggono nelle cronache di questi giorni notizie che di primo acchito sembrerebbero diffamatorie, eppure campeggiano nel contesto di articoli talmente elegiaci da convincere anche il lettore più distratto che è lui, il Dottor Sottile, a raccomandare la diffusione di certi messaggi e promesse.

La più incredibile è la promessa di nominare senatore a vita Berlusconi insieme a Romano Prodi, per dare alla beatificazione del condannato per frode fiscale il sapore della pacificazione nazionale in un abbraccio senile e finale con il suo avversario di sempre.

Poi c’è l’idea messa in circolazione da tempo ed esplicitata senza imbarazzi dal costituzionalista Francesco Clementi, allievo e trombettiere dell’amatismo: l’83enne candidato garantisce i mille grandi elettori che, se eletto, toglierà il disturbo entro un paio d’anni, massimo tre, una promessa in cui è l’età (mai fu eletto al Quirinale un uomo più anziano) a fare da garante implicito.

Così, a un sistema politico ingrippato che non riesce a convincere Mattarella a farsi rieleggere per un po’ in modo da far superare agli sgarrupati leader del momento l’attuale difficoltà, Amato dice: sono qua io. Serve solo un «grande patto politico», spiega Clementi. Non si capisce dove sia previsto nella Costituzione il «patto» tra i capi partito pro tempore per predefinire la durata del mandato del presidente della Repubblica, ma i costituzionalisti sono loro e lo sapranno.

Colpisce però il fatto che lo stesso Clementi, invitato domenica scorsa alla trasmissione su Rai3 di Lucia Annunziata (anche lei in ottimi rapporti con Treccani e ItalianiEuropei), ha avvertito i telespettatori che l’elezione di Draghi al Quirinale rappresenterebbe implicitamente una torsione costituzionale perché, ha detto, c’era proprio un’intervista di Giorgetti in cui il numero due della Lega la immaginava come transizione di fatto verso un sistema semipresidenziale. Quando il Dottor Sottile va avanti così, a colpi di machete, è segno che vede il traguardo e si gioca il tutto per tutto.

 

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