L’Italia ha una delle più grandi comunità ucraine d’Europa, 248mila persone che vivono e lavorano qui da decenni. Sono loro la prima stazione di accoglienza per le persone che stanno scappando dall’invasione russa e che cercano rifugio nel nostro paese. Il governo tiene conto di questo dato per strutturare il sistema di accoglienza che da qui alle prossime settimane dovrà dare ospitalità a migliaia di cittadini ucraini che in maniera massiccia arrivano dalle regioni colpite dall’esercito di Vladimir Putin. Martedì 8 marzo erano due milioni gli ucraini scappati dal paese. 

Il 28 febbraio è entrato in vigore il secondo decreto legge Ucraina. È stato deciso di semplificare le norme di permanenza nei Cas, i centri di accoglienza straordinari, in cui i rifugiati potranno accedervi indipendentemente dal fatto che abbiano presentato domanda di protezione internazionale.

Al termine del Consiglio dei ministri che ha esaminato e approvato il decreto legge, la comunicazione di palazzo Chigi aveva fatto sapere alla stampa che il provvedimento prevedeva la creazione di 16mila nuovi posti tra Cas (13mila) e Sai (3mila), il sistema di accoglienza e integrazione. In realtà non è così, la legge ne prevede solo 8mila, la metà di quelli dichiarati. Lo stesso ministero dell’Interno, che ha competenza in materia, conferma che i posti aggiuntivi al momento sono 8mila, di cui 5mila posti nei Cas e 3mila nel Sai.

I profughi verranno ospitati anche nei Covid hotel, utilizzati durante la prima fase della pandemia per chi si trovava fuori regione. 

Ospitalità dei residenti e centri

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Dato il numero esiguo di posti a disposizione, la strategia del governo conta di mettere insieme due direttrici: ospitalità da parte degli ucraini che vivono in Italia e centri di accoglienza straordinari e di integrazione.

I dati di martedì 8 marzo parlano di 21mila rifugiati che hanno superato i nostri confini, solo mille sono stati indirizzati verso i centri di accoglienza, gli altri hanno trovato posto nelle famiglie. Le principali destinazioni sono Roma, Milano, Bologna e Napoli. Il loro numero è destinato a crescere a ritmo di 3-4mila al giorno, a fine mese potrebbero essere più di centomila. Arrivano qui soprattutto donne e bambini. 

L’Italia è un importante polo di arrivo, e se nelle prime settimane il sistema messo in piedi garantirà un’adeguata accoglienza, nel prossimo futuro le cose saranno più complicate. Il rapporto di ActionAid, Centri d’Italia. L’emergenza che non c’è, al 31 novembre 2021 si certificava la presenza di «79.666 persone complessivamente accolte nel sistema», di cui «53.664 nei Cas, 25.221 nel Sai e 781 nella prima accoglienza». A questi posti vanno aggiunti gli 8mila previsti dall’ultimo decreto.

Il ministero dell’Interno non fornisce previsioni su quanti arrivi il nostro sistema è in grado di reggere ma fa sapere che a livello locale è in grado di aprire velocemente nuovi Cas, di cui si occupano principalmente i prefetti. La ministra Luciana Lamorgese ha detto che l’Agenzia nazionale che si occupa dei beni sequestrati alla criminalità organizzata ha avviato il censimento dei beni confiscati che possono essere destinati per accogliere i profughi. 

Se in un primo momento possiamo fare affidamento sulla solidarietà delle famiglie ucraine, a breve dovremmo fare i conti con alcune necessità. Il concetto di accoglienza non si limita ai bisogni primari della persona ma coinvolge un sistema di diritti sociali che porti a sviluppare dei percorsi di autonomia e indipendenza. 

Chi ora si reca nelle abitazioni di amici e parenti avrà bisogno di un sostegno economico, un futuro alloggio per non sovraccaricare chi li ospita, un aiuto nella ricerca di lavoro, l’assistenza sanitaria. I minorenni, ieri oltre 8.500, dovranno essere inseriti nelle scuole e serviranno i mediatori linguistici. Insomma, un sistema di welfare non può dunque basarsi su un sistema di accoglienza informale, perché rischia di aumentare la povertà.

Problematiche che riguardano anche coloro che verranno inseriti nei Cas: in queste strutture si fornisce solo vitto e alloggio, mentre nei Sai si ha un sostegno più ampio. 

I permessi di soggiorno

Palazzo Chigi lavora a un decreto sui permessi di soggiorno. Gli ucraini possono entrare in Italia con un documento valido e non sono obbligati a fare richiesta di protezione internazionale. Una direttiva europea ha disposto il riconoscimento del permesso di soggiorno immediato di un anno (prorogabile probabilmente fino a tre) in modo tale che i rifugiati possano lavorare e risiedere regolarmente nei paesi europei. Rimane sempre garantito il diritto di chiedere protezione internazionale.

L’Italia si adeguerà e dovrebbe riconoscere il permesso anche alle persone di altre nazionalità che vivevano in Ucraina. Il Tavolo asilo e immigrazione nazionale, composto da 32 organizzazioni della società civile, con una nota alla presidenza del Consiglio e ai ministeri dell’Interno e del Lavoro e delle Politiche sociali, ha chiesto che la direttiva europea non venga interpretata restrittivamente.

Le associazioni chiedono che venga riconosciuta la protezione temporanea anche ai cittadini di paesi terzi che soggiornavano in Ucraina titolari di «un permesso di soggiorno anche non permanente e che non possono ritornare in condizioni sicure e stabili nel proprio paese o regione di origine». Si chiede dunque al governo di non creare una disparità tra le persone che fuggono, perché non si tratta solo di cittadini ucraini.

Il sistema di accoglienza italiano 

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In Italia il Sai dovrebbe giocare un ruolo principale, un sistema di accoglienza diffuso e capillare, gestito dagli enti locali, che garantisce oltre all’accoglienza materiale, anche l’assistenza sanitaria, sociale, psicologica, la mediazione linguistico-culturale, l’insegnamento della lingua italiana, i servizi di orientamento legale e al territorio, l’orientamento al lavoro e la formazione professionale. 

I Cas dovrebbero quindi essere una misura straordinaria, da attivare solo in caso di emergenza. Ma il sistema italiano è tarato sull’emergenza, anche se, come ripetono spesso le associazioni attive nel settore, i numeri dimostrano la non eccezionalità della situazione: al 30 novembre 2021 il 68,34 per cento delle persone presenti nel sistema era accolto dai Cas e dai centri di prima accoglienza.

La «logica dell’emergenza permette sempre di derogare alle regole stabilite», si legge nel rapporto di ActionAid, e «garantisce maggiore flessibilità rispetto alle esigenze politiche» che possono emergere. I Cas hanno una modalità di attivazione rapida e un costo inferiore. Vengono aperti dai prefetti e possono essere dati in gestione anche con affidamento diretto.

Per questo motivo, nella nota consegnata al governo, le ong chiedono che «i posti Cas attivati per l’accoglienza degli sfollati dall’Ucraina siano effettivamente considerati provvisori e siano progressivamente chiusi laddove, sul territorio considerato, si verifichi la successiva attivazione di posti Sai». 

ActionAid, che lavora a un’importante strumento di monitoraggio del sistema, denuncia la mancanza di trasparenza del ministero che non mette a disposizione alcun dato, impedendo così di avere una panoramica aggiornata dei posti disponibili nei singoli centri.

In questa prima fase quindi l’attivazione di Cas è necessaria ma occorrerebbe una riforma del sistema, lungimirante, che ponga fine all’impostazione emergenziale dell’accoglienza, prevedendo dunque che anche chi fugge dall’Ucraina presto possa accedere alle misure garantite dal Sai.

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