Orbace nero sotto la grisaglia borghese e doppiopetto. E braccio del Dottor Stranamore rigidamente teso, ormai non solo in assenza di occhi indiscreti. Sono queste le due principali argomentazioni di chi reputa che Fratelli d’Italia sia chiaramente espressione di un partito post-fascista. Che è poi la definizione principale che si trova in letteratura, ossia un partito della destra estrema, o per alcuni radicale, ma insomma il concetto politico è chiaro: uno spostamento a destra deciso, e confermato dalle opinioni degli elettori e dei cittadini.

In realtà, il problema principale della presidente del Consiglio dei ministri proviene dalle persone di cui si circonda, e va ben oltre – almeno questa è l’impressione – la sua volontà di affrancarsi da un passato scomodo.

Imbarazzi per la premier

Niccolò Machiavelli, che non era propriamente uno spin doctor, diceva che un politico va valutato – lui non lo chiamava precisamente così – dallo staff; oggi diremmo da chi si circonda il tal politico e per il cui tramite riusciamo a farcene un’idea.

Credo che il problema di Meloni sia esattamente la sua famiglia, quella politica ovviamente. Se c’è di mezzo l’Unione europea, e lo scenario internazionale, e al netto delle differenze di vedute con capi di altri governi, Meloni appare più a suo agio, “gioca” meglio, e anche le tensioni diplomatiche sono affrontate con un certo piglio professionale (si veda la conferenza stampa con Zelensky). Mentre appena si appalesa l’orizzonte interno, la politica messa in campo a stento rasenta la sufficienza. 

All’estero e in Italia

Più volte ha manifestato fastidio, insofferenza, disagio nel parlare del fascismo, delle nefandezze di cui si macchiò la destra fascista in Italia durante il regime e negli anni della Repubblica. E sebbene non abbia mai apertamente rinnegato, ma sempre specificato, puntualizzato, svincolato sui punti dirimenti nel rapporto con la “foto di famiglia” della destra estrema italiana, Meloni ha tentato di darsi un profilo di destra moderna. Tuttavia, pare esistano due “Meloni politica”. Una in politica interna e una in politica estera.

Per valutare l’azione di un governo ci vogliono ben più dei fatidici, e un po’ cretini, “cento giorni”; ma da alcune azioni si possono intuire, e persino predire, alcune politiche future. François Mitterrand eletto presidente della Repubblica in Francia 1981 agì immediatamente per l’abolizione della pena di morte, diede cioè un segnale di coerenza con quanto aveva promesso in campagna elettorale e di linea che avrebbe inteso seguire durante il mandato.

Meloni ha delle zavorre, che diventano ogni giorno più ingombranti e gravose. La presidente tutto sommato è anche volenterosa, per quanto non sia Simone de Beauvoir o Margaret Thatcher e forse nemmeno ambisca ad esserlo. Ha però esperienza politica, è navigata dal punto di vista partitico e parlamentare, sa destreggiarsi nelle dinamiche istituzionali.

Quando va all’estero si trova meglio perché in casa ha una famiglia politica di cui sostanzialmente un po’ si vergogna, e che comunque la mette troppo spesso nei pasticci: quelli che fanno il braccio teso, quelli che intendono celebrare la nascita del movimento sociale, quelli che parlano in pubblico di delicati documenti riservati, quelli che vorrebbero la razza ariana, quelli che comparano pedofilia e aborto, quelli che sostengono che la Costituzione fu votata dai fascisti, che la Liberazione è divisiva, quelli che negano l’antifascismo (e tra un po’ anche l’Olocausto). 

Capetti che adulano

Nella politica domestica Meloni si impantana con gli alleati, ma soprattutto con il suo partito, che pure avrebbe teoricamente dovuto essere foriero di stabilità, mentre la Lega sarebbe stata, almeno nelle previsioni, il punto dolente della maggioranza parlamentare. Una sfida tra Lega (nord) e Fratelli d’Italia nel contendersi la paternità su tematiche tipiche della destra estrema e care ad entrambe: i migranti, la sicurezza, la nazione. Dinamiche delle legittime e fisiologiche tensioni e negoziazioni tra partiti di una coalizione.

Tale tipica competizione elettorale e sulle politiche che usualmente interessa partiti vicini e spesso ideologicamente sovrapponibili, è sovente oscurata da una seconda linea di tensione che interessa palazzo Chigi. Non si tratta di attacchi, di capicorrente in lotta tra loro, di tentativi di indebolire o condizionare l’azione del capo partito – in questo caso Meloni – come quasi sempre accade nei partiti al cui interno vi sia una dinamica democratica e di articolazione delle varie linee di pensiero, che prendono forma in correnti con livelli differenziati di strutturazione.

È un’azione di sistematica esibizione muscolare dei tanti esponenti del partito – peones e senior – intenti a segnalare la propria esistenza ed ortodossia, e quindi il relativo ri-posizionamento, con un profluvio di proposte volte a marcare il campo della destra che generano il paradossale effetto di mettere in difficoltà il governo e il capo partito. Perché, in assenza di una chiara strategia tra i coristi della linea governativa, emerge una voce, un tono stonato che sempre più spesso intasa la linea e l’agenda dei lavori della premier.

Ma i talmente gli zelanti sostenitori di Meloni fanno gara a mostrare la propria adesione alla capa che rischiano il parossismo e generano incidenti politici ed istituzionali di gravità sempre crescente, e che sebbene prodotti all’interno, hanno ripercussioni inevitabili anche all’estero.

E non potrà sempre esserci il presidente della Repubblica a mitigare, negoziare, rassicurare, perché le gaffes, le “sgrammaticature istituzionali”, le proposte avanzate o solo balenate rischiano di allineare Roma a Budapest e Varsavia. Come accaduto sul rispetto dei diritti di ciascuno in base ai propri orientamenti sessuali e identità di genere. A furia di evocare restrizioni, di minimizzare le discriminazioni, di restringere il campo dei diritti, è arrivata prima la sanzione del parlamento europeo per le norme restrittive sulla registrazione di bimbi di coppie omogenitoriali, poi con la condanna analoga, ma associata a Ungheria e Polonia, per la retorica contro la comunità lgbt, che di fatto ha allineato l’Italia alla logica dell’approccio del duo prevalente nel gruppo di Visegrád.

Un partito accentrato

La guida del partito non è propriamente contendibile, sia per la forza di Meloni sia perché la strutturazione organizzativa è molto centralizzata, non paiono esserci sfidanti e l’ultimo congresso che si è svolto nel 2017  è culminato con la incoronazione della leader. Questa limitata democrazia interna peggiora ed esaspera la tendenza del gruppo meloniano a generare tensioni. Non ci sono fazioni, correnti che, come nella Democrazia cristiana o nel Psi e oggi nel Pd, si confrontano per riequilibrare il segretario, e all’uopo sostituirlo; il consenso è più meno unanime, ma i troppi applausi scroscianti delle vestali del Meloni pensiero aprono spesso fratture proprio perché istintivi e non pianificati. 

In prospettiva, la crescita delle disuguaglianze sociali ed economiche potrebbe sfociare in tensioni sociali il governo non può affrontare con un falso guanto di velluto sovrastato dal sorriso digrignato del presidente del Senato, sì perché i conflitti prevedono negoziato. I pasdaran del post-fascismo hanno perso ogni remora, qualsiasi dubbio o incertezze, non hanno timidezza o inibizione; rancore e frustrazione covati per decenni, pensieri tenuti a bada, parole sottaciute, vivendo nella semi-clandestinità culturale.

Ora che il contesto sociale, politico e soprattutto culturale è mutato, emergono aberrazioni perfino sui fondamentali della Carta costituzionale, salvo che non sono – per fortuna – gli anni Settanta, e che il paese è una democrazia matura e solida. 

Meloni diversa? 

Lo iato tra partito e Meloni? Molti ci avevano creduto, altri sperato; da un lato il gruppo con testa e cuore ancora nel Msi e Meloni che tentava, qualche volta goffamente, ma tenacemente di costruire una destra moderna, europea.

Con il passare dei mesi questa prospettiva e distinzione pare semplicemente non esistere perché quando è tra “loro” la presidente ri-sente il richiamo della famiglia e si comporta di conseguenza. Meloni tolga un po’ di spazio a chi non ha perso solo le buone maniere. L’intendenza (forse non) seguirà. 

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