«Aridatece Carfagna». Così, tra un sussurro ironico e una battuta amara, le associazioni Lgbtq commentavano nel 2022 la nomina di Eugenia Roccella a ministra per le Pari Opportunità. Maria Rosaria Carfagna, detta Mara, in passato figura di spicco di Forza Italia in epoca berlusconiana, ha mostrato, nel tempo, uno spessore politico in materia di diritti che molti dei parlamentari di maggioranza possono solo sognare. Ministra a 33 anni non ha mai collezionato gaffe memorabili né inciampi clamorosi, né per sé né per gli altri. E soprattutto ha portato avanti un pensiero di destra che parla di diritti senza mescolarli con colpa, peccato o retorica religiosa integralista.

Moderata per dichiarazione di partito, liberale per istinto. A Resistenze non fa giri di parole, ma le sceglie con cautela, come chi sa che in politica ogni aggettivo pesa un chilo. Da ministra per le Pari opportunità aprì per prima le porte del suo dicastero alle associazioni Lgbtq, quando nel centrodestra l’“omosessualità” era una barzelletta. Oggi, siede tra i banchi di Noi Moderati di cui è segretaria nazionale e guarda al Parlamento con pragmatismo: «La scuola deve essere il primo presidio educativo», quindi non un luogo di censura familiare. E quando le chiedi dell’educazione affettiva, risponde senza esitazioni: «Ero e resto favorevole. Ma va riempita di contenuti, non di slogan». A Domani declina le sue posizioni su: omotransfobia, fine vita, aborto, matrimonio egualitario, famiglie arcobaleno. Non alza la voce, ma sa dove colpire. Non parla per compiacere e non si rifugia nei simboli. E quando le chiedi se una destra liberale sui diritti sia ancora possibile, risponde: «Più forte sarà la componente liberale, migliore sarà la risposta».

Onorevole Carfagna, partiamo dal suo emendamento al ddl sul Consenso informato: ha spiazzato la comunità Lgbtq e non solo.
Non crede sia un passo indietro dare ai genitori un potere di veto su temi come identità di genere, orientamento sessuale, salute riproduttiva, contraccezione e prevenzione delle Infezioni sessualmente trasmesse? Non rischia di oscurare anche l’educazione su Hiv, ciclo mestruale e salute femminile?

L’obiettivo dell’emendamento è esattamente il contrario. Posto che il ministero dell’Istruzione intende subordinare al consenso famigliare la partecipazione degli studenti a spazi di educazione sessuale, la priorità è evitare che si faccia di tutt’erba un fascio. Quel consenso obbligatorio non può essere esteso al tema della violenza sulle donne, al rispetto della parità, al rifiuto del bullismo omofobo e misogino, tutti argomenti che la scuola ha il dovere di trattare, a prescindere da come la pensino i genitori. Perché una coppia di estremisti religiosi, ad esempio, potrebbe vietare ai figli di partecipare ad attività che ribadiscano i diritti di libertà delle donne. È inammissibile, dobbiamo evitarlo, ed è il senso del mio emendamento. In ogni caso sono assolutamente disponibile alla riformulazione, in modo da evitare ogni possibile tipo di fraintendimento.

Sarebbe il caso. Non vede un problema con questo ddl? Rischia davvero di bloccare i corsi contro la violenza di genere, come hanno detto le associazioni durante le audizioni in Commissione e che di questo si occupano, pensiamo a D.I.Re. Non è preoccupata?

Sono preoccupata della violenza contro le donne che cresce, anche tra i giovanissimi. E sono convinta che la scuola sia il primo presidio educativo che dobbiamo usare per fermarla. Anche per questo ho agito per specificare che i corsi antiviolenza non possono rientrare nella sfera del consenso obbligatorio dei genitori. Un padre che magari picchia sua moglie non ha il diritto di vietare alle figlie e ai figli di capire la gravità dei comportamenti che in casa sono giudicati “normali”.

Lei è contraria all’educazione affettiva nelle scuole?

Niente affatto, sono sempre stata favorevole. Ricordo che con la collega Mariastella Gelmini sottoscrivemmo nel 2009, da ministre per le Pari opportunità e dell’Istruzione, un protocollo d’intesa che ci consentì di entrare nelle scuole italiane per trasformarle in palestre di tolleranza, dove educare al rispetto, dove spiegare perché la violenza è sempre sbagliata. Qualsiasi forma di violenza: quella contro le donne, quella razzista, quella omofobica, il bullismo. Ero e resto quindi favorevole all’educazione affettiva nelle scuole, ma è un tema che va riempito di contenuti, non basta enunciare il titolo: educazione al rispetto dell’altro, educazione alla libertà, educazione alla gestione dei sentimenti. C’è bisogno di introdurre sin dalle prime classi corsi obbligatori con un corpo docente adeguatamente formato, di promuovere momenti di confronto e di dibattito, iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione, rivolte non solo agli studenti ma anche alle famiglie, così da contrastare pregiudizi, discriminazione e violenza basati sull’identità di genere e sull’orientamento sessuale. Questo è un modo per avviare quel profondo cambiamento culturale necessario per iniziare a cambiare le cose.

Lei è notoriamente una delle poche donne del centrodestra che ha davvero aperto una strada, per quanto riguarda i diritti civili, in particolare i diritti della comunità arcobaleno. La prima ministra a fare una campagna contro l’omofobia. La prima ad accogliere le associazioni Lgbtq nel suo ministero. Era un altro tempo. Riguardando a quegli anni avrebbe voluto fare di più?

Credo di aver fatto il massimo, sinceramente. E ogni giorno ci sono episodi che mi incoraggiano a proseguire sulla stessa strada. Penso anche alle battaglie che ho fatto per i diritti delle donne. Penso alla coraggiosa ragazza di Rimini, vittima di un matrimonio forzato in Bangladesh, che è riuscita a denunciare e a liberarsi. Lo ha fatto grazie al suo personale valore ma anche per l’esistenza di una legge contro i matrimoni forzati che ho fortemente voluto e portato all’approvazione.
Che rapporto pensa di avere con la comunità Lgbtq?

Un buon rapporto di interlocuzione e confronto, come dovrebbe essere con tutte le minoranze esposte a pregiudizi e stigmi che una società libera e liberale non deve consentire.

Lei votò con convinzione le unioni civili, ma quella legge è monca delle stepchild adoption. Sappiamo che è contraria alla gestazione per altri, ma le famiglie arcobaleno esistono: dieci anni dopo non sarebbe un tema da affrontare?

La stepchild adoption in realtà è già possibile in Italia attraverso lo strumento delle “adozioni in casi particolari”. In quel contesto si può agire per rendere la procedura più semplice e rapida, sempre guardando all’interesse prioritario dei bambini.

Onorevole le devo far presente che l’adozione in casi particolari è inidonea a dare piena tutela a questi bambini che esistono, penso soprattutto ai figli di due papà. Ma andiamo avanti. Il ddl Zan lei chiese un confronto che arrivasse a una mediazione, in particolare sul tema dell’identità di genere. Quella mediazione non c’è stata. La cronaca ci racconta di un’Italia sempre più violenta verso le persone Lgbtq. Come si esce da qui? 

Serve un’azione culturale a tutto campo che stigmatizzi bullismo, prepotenza, sopraffazione nei confronti di qualsiasi minoranza, che riabiliti il dettato costituzionale su uguaglianza e parità, che cambi il linguaggio. Non si tratta di “buonismo” ma di necessaria prevenzione di un virus che può uccidere la democrazia: la legge del più forte come sistema di regolazione dei rapporti personali e sociali.

Le persone transgender sono le prime vittime di odio in Italia. Lei saprà anche che i dati ci restituiscono un primato nero per quanto riguarda l’Europa sui Transicidi. Non è chiaro cosa pensi lei delle persone transgender. Perché la maggioranza di destra, di cui lei fa parte, parla spesso di donne trans come uomini che “performano” un genere. Un gioco insomma, non sarebbe un’incongruenza di genere come riconosciuta dal mondo scientifico. In America Donald Trump ha dichiarato guerra alle persone trans. Sono davvero questo nemico pubblico?

Non sono un nemico, sono persone. E come tali vanno guardate, considerate e rispettate.

Cambiamo pagina sul tema del suicidio assistito c’è un testo in discussione al Senato, la corte Costituzionale impone una legge. Lei ha cambiato idea o è ancora contraria?

Io mi faccio da sempre una domanda: quanto è libera la decisione di chi dice «voglio morire»? Quanto è condizionata dalla difficoltà delle cure, dal disagio economico, magari dalla preoccupazione di essere un peso per figli e parenti? È una domanda che il rispetto dell’umanità ci impone. Chi ne sottovaluta il senso ha perso il contatto con la realtà.

Parliamo di interruzione volontaria di gravidanza. Pensa che in Italia sia nei fatti realmente garantita? Cosa pensa del fatto che i dati non siano ancora usciti e che siano fermi al 2022? E delle politiche regionali come il Fondo Vita nascente in Piemonte?

In realtà il ministero della Salute ha presentato un rapporto sull’Ivg nel 2024. Registra un lieve aumento degli aborti, in controtendenza rispetto al calo che si registrava da anni: 86 interventi su 100 vengono effettuati nella regione di appartenenza, il che sembra indicare una certa omogeneità dell’offerta. La quota di ginecologi obiettori risulta pari al 60,5 per cento, inferiore rispetto al 63,6 per cento dell’anno precedente. Più che il fondo Vita Nascente in Piemonte, mi preoccuperei della disoccupazione femminile e delle difficoltà dei centri anti-violenza: la vita si aiuta soprattutto rendendo le donne autosufficienti, libere, capaci di costruirsi un futuro.

Pensa che ci sia possibilità in Italia di avere una destra aperta su temi come matrimonio egualitario e adozioni, rispetto dell’identità di genere. In altri paesi è stato possibile: pensiamo al passato con la Francia dove esiste una legge dal 2003 contro l’omofobia voluta dal conservatore Chirac, alla Germania di Angela Merkel che apri al matrimonio egualitario così come fece David Cameron in Inghilterra.

Penso che più forte sarà la componente liberale del centrodestra migliore sarà la risposta sui diritti e sulle libertà.

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