Il governo di Giorgia Meloni ha dato mandato all’avvocatura dello stato di revocare la costituzione di parte civile nel processo penale Ruby-ter, in cui è imputato il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi per corruzione in atti giudiziari. La revoca arriva in extremis, appena due giorni prima della data dell’ultima udienza delle repliche, poi ci sarà la sentenza di primo grado.

Ritirarsi, per il governo, significa rinunciare alla pretesa di risarcimento danni che l’avvocatura dello Stato ha portato avanti per tutto il processo, dal 2017 ad oggi. Lo Stato come parte civile, infatti, si considerava soggetto danneggiato dalla condotta dell’ex premier e la costituzione serviva a tutelarne l’immagine, separando l’istituzione dalle azioni del singolo che la guidava. Nell’udienza conclusiva, infatti, l’avvocatura dello Stato ha chiesto un risarcimento del danno di 10 milioni di euro per «discredito planetario» sulle istituzioni italiane. Ora che la costituzione verrà ritirata, proprio appena prima dell’esito processuale, in caso di condanna di Berlusconi non ci sarà alcun risarcimento.

Il processo è molto importante e preoccupa il Cavaliere da tempo, per gli effetti che potrebbe provocare. L’accusa a suo carico è di aver pagato le ragazze che avevano partecipato alle sue feste con un mensile di 2.500 euro, perché mentissero davanti ai giudici sulla natura delle cene. Berlusconi ha sempre sostenuto, invece, che si trattava di donazioni per aiutare donne in difficoltà perché coinvolte nello scandalo giudiziario e non per comprare il loro silenzio.

Nelle conclusioni la procura che ha chiesto 6 anni di carcere; la difesa ha chiesto l’assoluzione per l’inutilizzabilità dei verbali delle ragazze, sentite in assenza di difensore. Se condannato, il Cavaliere potrebbe ricorrere in appello e poi in Cassazione e, se anche lì la pena venisse confermata, l’effetto sarebbe la sua decadenza da parlamentare secondo la legge Severino.

Il processo Ruby ter

Il processo è molto importante e preoccupa il Cavaliere da tempo, per gli effetti che potrebbe provocare.

L’accusa a suo carico è di aver pagato le ragazze che avevano partecipato alle sue feste con un mensile di 2.500 euro, perché mentissero davanti ai giudici sulla natura delle cene. Berlusconi ha sempre sostenuto, invece, che si trattava di donazioni per aiutare donne in difficoltà perché coinvolte nello scandalo giudiziario e non per comprare il loro silenzio.

Il processo di primo grado è arrivato nella sua fase finale: ci sono già state le conclusioni della procura che ha chiesto 6 anni di carcere; della difesa che ha chiesto l’assoluzione per l’inutilizzabilità dei verbali delle ragazze, sentite in assenza di difensore e dell’avvocatura dello Stato che ha chiesto 10 milioni di risarcimento del danno.

Nell’udienza di domani l’avvocatura ritirerà la costituzione di parte civile, appena prima dell’esito. Farlo in un secondo momento, infatti, non sarebbe possibile. Inoltre, in caso di condanna di Berlusconi e quindi anche di accoglimento della richiesta di risarcimento del danno, sarebbe quantomeno singolare che lo Stato italiano rinunciasse.

Se condannato, il Cavaliere potrebbe ricorrere in appello e poi in Cassazione e, se anche lì la pena venisse confermata, l’effetto sarebbe la sua decadenza da parlamentare secondo la legge Severino.

I due pesi

La scelta di Meloni mostra come la presidente del Consiglio usi due pesi e due misure nella gestione delle controversie giudiziarie.

Nella nota di palazzo Chigi si legge che «la formazione, avvenuta nell’ottobre 2022, di un nuovo governo, espressione diretta della volontà popolare, determina una rivalutazione della scelta in origine operata. Ciò appare tanto più opportuno alla stregua delle assoluzioni che dapprima la corte d’Appello di Milano con sentenza del luglio 2014 divenuta irrevocabile e poi il tribunale di Roma con sentenza del novembre 2022 hanno reso nei confronti del senatore Berlusconi in segmenti della stessa vicenda».

Tradotto: Meloni ha considerato la costituzione di parte civile contro il Cavaliere una scelta politica dei precedenti governi, che lei intende modificare per la semplice ragione che può farlo, forte della sua legittimazione popolare. Ignorando tutte le implicazioni giudiziarie che questo può avere.

Secondo la premier, questa scelta appare tanto più opportuna visto che, in tronconi della stessa vicenda, Berlusconi è già stato assolto. L’assunto, in realtà, potrebbe venire smentito, perché si tratta di vicende giudiziarie dai contorni diversi. Al netto di questo, tuttavia, salta agli occhi come per Meloni sia «opportuno» rinunciare a mantenere lo Stato parte di un processo in cui tutela la sua immagine e da cui potrebbe incassare un risarcimento del danno, perché questo potrebbe concludersi con una assoluzione.

Contemporaneamente considera altrettanto «opportuno» portare avanti i processi contro i giornali contro cui ha presentato querela, tra cui Domani. In questi casi, però, ritiene coerente aspettare le valutazioni del giudice sulla fondatezza della sua iniziativa giudiziaria, ignorando la sproporzione delle forze in campo e l’effetto intimidatorio nei confronti della stampa.

Contro l’alleato Berlusconi Meloni fa valere il suo peso politico e fa ritirare anche lo stato italiano dal processo. Con i giornalisti invece, la premier torna ad essere solo privata cittadina che fa valere il suo diritto di partecipare al processo.

La mossa politica

La mossa di Meloni è rilevante anche dal punto di vista politico. La costituzione di parte civile era stata decisa nel 2017 dal governo Gentiloni e mai revocata dai governi successivi. Ritirandola, la premier ha dato un segnale molto forte al leader di Forza Italia, che nei giorni scorsi l’ha attaccata frontalmente sulla gestione del rapporto con l’Ucraina, danneggiandola agli occhi dei partner internazionali.

Quello che oggi apparentemente sembra un regalo, rischia di essere un frutto avvelenato: può essere letto come un segnale distensivo ma è anche un modo per ricordare questa pendenza giudiziaria sulle spalle del Cavaliere, che rischia di azzopparlo politicamente. In questa scelta, infatti, risuonano le parole di Meloni pronunciate nei giorni difficili della costituzione del governo in cui alle velate minacce di Berlusconi, piccato per il poco spazio dato a Forza Italia, ha risposto con un «non sono ricattabile».

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