Assisi, festa di San Francesco appena promossa a festa nazionale con l’ok bipartisan del Parlamento. Doveva essere la giornata della pace, si è trasformata nell’ennesimo episodio della saga “Meloni contro tutti”. Diretta su Rai1, loggia della basilica, scenografia medievale a uso e consumo della premier, che parla da lì come fosse il balcone di Palazzo Chigi. Precisazione dello staff che al linguaggio ci tiene: «Non è un balcone». Infatti è un pulpito.

La scena: qualche bandiera palestinese sventola in piazza, cori “Palestina libera” accolgono la Presidente che alza lo sguardo inizia: «Francesco ci insegna a parlare con tutti, anche con chi può sembrare un nemico». Poi la celebrazione che diventa comizio.

Dall’elogio del Piano Mattei all’orgoglio per il piano Trump su Gaza, «fiera del contributo al dialogo dato dall’Italia» e ancora «una luce che squarcia la tenebra». Sul clima d’odio, ammonisce: «Non cadiamo nella contrapposizione frontale». Sono le prime battute di uno scontro destinato a crescere per tutta la giornata.

Angelo Bonelli (Avs) attacca: «Ha trasformato la festa di San Francesco in un comizio. L’estremista è lei: quella che non ha voluto condannare Netanyahu e continua a fare affari con Israele. Per noi è chiaro: deve pagare Israele. Non c’è pace senza giustizia». La Premier parla di San Francesco, Bonelli risponde con Gaza. È la misura esatta della distanza.

Intanto Roma ribolle. Attraversata da un milione di persone in sostegno della Palestina. «Abbiamo bloccato tutto. L'Italia sa da che parte stare» festeggiano i manifestanti.  I numeri gli danno ragione. Ancora una volta, dopo la giornata di venerdì, le piazze sono un successo politico che il governo non può ridimensionare, un tentativo già fallito quello di venerdì quando il Viminale ha sgranato con una nota un numero preciso di manifestanti (396.400 mila) per disinnescare la gioia dei due milioni celebrati dalla Cgil. Così la linea che filtra da Palazzo Chigi è quella di demonizzare la piazza: la sinistra pro-pal blocca il paese. Ed è violenta. Tra kefiah e slogan pro-Hamas. Mentre la marea attraversa dal capitale l’ordine di scuderia del governo è quello di riprendere gli inciampi della manifestazione precedente e colpire.

La statua di Giovanni Paolo II imbrattata a Termini con falce, martello e la scritta “Fascista” è un regalo su un piatto d’argento alla maggioranza.

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Il primo a commentarla su X è il vicepremier Antonio Tajani. «Non ci sono parole per condannare la profanazione della statua di San Giovanni Paolo II alla stazione Termini di Roma da parte di estremisti di sinistra in occasione dello sciopero e della manifestazione di questi giorni», scrive sui social il ministro degli esteri e leader di Forza Italia, aggiungendo anche lui, come aveva già fatto la premier in precedenza, un frase che rievoca gli anni di piombo: «Basta odio! Basta cattivi maestri!».

L’altro vicepremier, Matteo Salvini twitta in coda: «Cercasi disperatamente cervello». Mentre Meloni, da Assisi, rincara: «Atto indegno di persone obnubilate dall’ideologia».

Una giornata perfetta per i social manager del governo: il frame “noi difensori della civiltà contro i barbari” è servito. In coda arrivano le condanne della ministra alle Pari Opportunità Eugenia Roccella, la ministra ancora Maurizio Gasparri (FI), Maurizio Lupi (Noi Moderati). Il leghista Gianmarco Centinaio indica la piazza «ostaggio di estremisti e provocatori».

Le opposizioni provano a riprendersela. Il leader di Avs, Nicola Fratoianni, replica: «Meloni si vergogni, le scritte si cancellano, le piazze no. Le fanno paura». Mentre Riccardo Magi (Più Europa) si spinge ancora più in là: «Netanyahu non ha più scuse, la strage deve finire. Meloni smetta con questo osceno vittimismo». Ma la giornata corre ormai dietro a un fotogramma: la statua imbrattata.

E qui sta il punto: nella festa di San Francesco, patrono della pace, il governo riesce a mettersi nei panni del martire. Giorgio Mulè di Forza Italia parla di «guerriglia urbana che sembrano evocare una intifada in sedicesimo», mentre Salvini postando la foto di uno striscione con su scritto “Meloni, Tajani, Salvini, farete la fine di Mussolini” apparso in un corteo di venerdì cita il fondatore di Forza Italia, Silvio Berlusconi: «Per fortuna noi non siamo come loro: al loro odio rispondiamo col sorriso e col lavoro. Citando il grande Silvio “sono ancora, oggi come sempre, dei poveri comunisti”». 

La giornata si sussegue in una ricerca abbondante di slogan, manifesti, cori anti governi che servono a tracciare una linea con fantomatici nemici. E mentre le piazze chiedono di fermare i bombardamenti, il governo preferisce parlare di spray rosso sulla statua di Wojtyla. Un’altra giornata in cui la guerra vera, quella di Gaza, scivola sullo sfondo.

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