Un canale riservato di mediazione con Russia e Ucraina e dichiarazioni apparentemente estemporanee a mezzo stampa. Sono le due facce della diplomazia vaticana nell’ultima fase della «Terza guerra mondiale».

Così è arrivata a definirla, senza riduzionismi, papa Francesco, a colloquio con i direttori delle riviste gesuitiche un mese fa: «Per me oggi la Terza guerra mondiale è stata dichiarata», ha spiegato in una lunga intervista, pubblicata parzialmente su La Stampa e riportata integralmente nell’ultimo numero della Civiltà Cattolica.

Nel peso globale di un conflitto non più «a pezzetti», oggi il pontefice chiarisce i termini di una narrazione che non può assecondare la visione manicheista di una guerra combattuta tra giusti e colpevoli: «Sono semplicemente contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi».

La guerra integrale

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Le ultime dichiarazioni del papa sono complementari alle sue stesse parole rilasciate nell’intervista al Corriere della Sera il 3 maggio scorso. Allora, i toni vaghi e le affermazioni opache piuttosto che suggerire equidistanza diplomatica raffreddarono alcuni canali con l’est e accesero lo scetticismo in occidente.

Oggi, invece, Francesco si esprime in modo inequivocabile: alla «ferocia, la crudeltà delle truppe russe» fa da contraltare «l’eroismo del popolo ucraino», in particolare delle donne. Eppure, ancora una volta il papa sceglie di narrare la guerra dalla prospettiva dei marginalizzati: i «primi giovani soldati russi», rimpiazzati dai mercenari, sono vittime tanto quanto gli ucraini.

È la drammatica costante di ogni guerra secondo papa Francesco, dove all’idolo dell’imperialismo si sacrificano sempre gli ultimi. In questo caso, i più giovani. Quelli che soccombono nella guerra in corso sono, così, sullo stesso piano delle «decine di migliaia di giovani che sono morti sulla spiaggia» in occasione dello sbarco in Normandia, oppure i «ragazzi cristiani o islamici, perché i francesi mandavano a combattere anche quelli del Nord Africa, di 20, 22, 24 anni».

L’intransigenza del papa verso la guerra non è, dunque, la dichiarazione di una presa di posizione, ma una condanna all’atteggiamento ambiguo di tutte le parti coinvolte, persino quell’occidente che vuole la pace e invia armi. Francesco incoraggia a seguire la linea pacifista della non violenza.

Zona grigia a est

In questi termini, la mediazione vaticana ha, prima di tutto, un presupposto umanitario, ma l’Europa orientale resta un terreno di scontro diplomatico. Il confine con l’Ucraina, sempre più prossima all’annessione all’Ue secondo gli auspici del presidente del Consiglio Mario Draghi, rappresenta un fossato senza ponti per l’apparato imperialista russo.

Nell’est Europa, il papa ha cercato contatti con le parti belligeranti: durante le prime fasi del conflitto, ha inviato il suo elemosiniere, il cardinale Konrad Krajewski, e il cardinale Michael Czerny, dapprima in Polonia, in seguito in Ucraina, con lo scopo di portare aiuto e soccorso alle chiese locali, e supportando i più poveri.

Ma per la Russia il raggio di azione della Santa sede in un’area così filoeuropea è percepito come distante rispetto alle istanze del Cremlino. È in Ungheria che, ad esempio, il patriarca russo Kirill ha spedito il metropolita Hilarion di Volokolamsk, fino a pochi giorni fa presidente del dipartimento delle relazioni esterne del patriarcato di Mosca e volto delle relazioni internazionali della chiesa russa, per aver manifestato preoccupazione per l’escalation del conflitto. Nelle scorse settimane, in Ungheria Hilarion aveva incontrato il cardinale Péter Erdo, arcivescovo di Budapest, con l’obiettivo vano di trovare un terreno comune di dialogo.

Meno geopolitica vaticana

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Un mese fa, il pontefice aveva ridotto le relazioni diplomatiche col Cremlino alla stregua di una «finestrina». In questi termini è parso il silenzio di Mosca a un’intenzione del papa di recarsi in Russia: «Non darebbe alcun risultato, perché il papa deve prima formulare una proposta precisa», aveva risposto al Corriere Sergey Markov, sodale di Vladimir Putin ed ex deputato della Duma dal 2007 al 2012. Anche l’ipotesi di un viaggio del papa a Kiev resta sul tavolo.

Lo lascia intendere il primo ministro della Repubblica Ceca, Petr Fiala, ricevuto in Vaticano sei giorni fa. Per la prima volta, la diplomazia vaticana sta mostrando ampi limiti, spesso frutto di rattoppi a scelte valutate dalle parti coinvolte come poco prudenti.

Così la scelta delle due famiglie russa e ucraina all’ultima via crucis è stata accantonata con la sola presenza di due donne, mentre la scarna presenza dei russi nel dialogo con la Santa sede si è trasformata in assenza lo scorso 31 maggio nel rosario per la pace, pregato dal papa in Santa Maria Maggiore con la sola presenza degli ucraini.

Nel conflitto in corso, i canali della Santa sede restano aperti, secondo l’ammissione del direttore del primo dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo, Alexey Paramonov. La sfida della Santa sede sarà quella di sgombrare l’azione diplomatica dalle strategiche geopolitica. È per questo che l’ultima carta che papa Francesco potrà giocare sarà non in Europa, ma in Kazakistan. Lì, dove a settembre auspica di parlare con il patriarca non in veste di «chierico di stato».

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