A Tripoli era sceso dalle scale del Falcon 900 italiano da uomo libero e con un sorriso a 32 denti. E con lo stesso sorriso il torturatore libico Osama Njeem Almasri è entrato in carcere a dieci mesi di distanza dalla liberazione del governo Meloni, nonostante la richiesta di estradizione della Corte penale internazionale che lo accusa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Questa volta però è un sorriso che maschera nervosismo. Su di lui i capi di accusa sono pesanti.

La procura generale tripolina – guidata da Al Siddiq al Sour – lo accusa di tortura nei confronti di dieci detenuti e di omicidio per un altro. Ci sono voluti giorni di interrogatori per incriminare l’ex capo della polizia giudiziaria per i reati commessi all’interno del carcere di Mitiga, gestito da Almasri e dai suoi uomini della milizia Rada. «In presenza di prove sufficienti per procedere con l'accusa, la procura ha rinviato a giudizio l’imputato, che è attualmente in custodia cautelare», scrive in una nota l’ufficio del procuratore generale.

Le prove per il suo arresto erano state presentate già dalla Corte dell’Aia all’Italia. Nel fascicolo inviato a Roma è accusato di omicidio, torture, traffico di esseri umani, violenze sessuali e crimini di ogni tipo contro i migranti che le sue milizie arrestavano e detenevano all’interno del penitenziario. Gli stessi migranti hanno addirittura raccontato di aver costruito, ai lavori forzati, la pista dell’aeroporto internazionale che sorge a pochi metri di distanza. Ma Almasri, per stessa ammissione delle autorità, è stato liberato per tutelare gli interessi italiani in Libia, come quelli di Eni, ed evitare ritorsioni.

Il retroscena

L’arresto di Almasri è l’epilogo delle tensioni militari tra le Rada e le forze del premier Abdel Hamid Dbeibeh del governo di unità nazionale. Una fonte libica ha detto a Domani che Almasri sarebbe stato consegnato da Abdel Raouf Kara, capo delle Rada, per arrivare alla “pace” dopo mesi di violenze nei sobborghi di Tripoli che hanno fortemente indebolito il suo potere.

L’escalation militare ha causato negli ultimi mesi centinaia di morti. Tutto è iniziato lo scorso maggio con l’uccisione di Abdel Ghani al-Kikli (alias Gheniwa), comandante dello Stability support apparatus, una delle milizie più potenti nella capitale per mano della Brigata 444 affiliata al governo. Da quel momento alcuni miliziani sono entrati nei ranghi delle Rada, che erano arrivate controllare circa un quarto di Tripoli ma che avevano perso un importante “alleato”.

Almasri e i suoi uomini sono diventati così uno degli ultimi problemi da risolvere del premier Dbeibeh per arrivare all’egemonia nella capitale. E in estate ha fatto terra bruciata intorno al gruppo. Ad Almasri è stata tolta l’autorità sulla polizia giudiziaria e la milizia è stata messa «fuori legge». Dbeibeh ha chiesto ai suoi uomini di sottomettersi alla legge dello stato. Appello che però è rimasto inascoltato. Così dopo vari scontri e arresti, con le Rada che sono sostenute anche da milizie vicine al leader della Cirenaica Khalifa Haftar, si è arrivati a un livello di tensione molto vicino a una nuova guerra civile. Una guerra che le Rada avrebbero perso senza un forte sostegno militare esterno, visto il progressivo indebolimento.

Per questo motivo il leader Abdel Raouf Kara avrebbe consegnato Almasri alle autorità, dopo che è rientrato in Libia ha provato a tenere un profilo basso, come riferiscono fonti della sicurezza tripolina. Che l’ex capo della polizia giudiziaria sia effettivamente la pedina di scambio per la pace è ancora da vedere. Almasri, alla fine dei giochi, è diventato un leader debole e indifendibile.

Così come è da vedere che fine farà il processo che è partito a suo carico e l’eventuale condanna che dovrà scontare: l’inchiesta libica, infatti, non porterà a una consegna di Almasri alla Cpi per stessa ammissione della procura di Tripoli, che ha sottolineato come l’Aja non abbia mai inviato una richiesta formale di collaborazione.

Di certo fa sorridere il timing dell’operazione, che arriva dopo che lo scorso 2 novembre è stato rinnovato il memorandum Italia-Libia con cui Roma sostiene la cosiddetta guardia costiera libica. Il mancato rinnovo da parte italiana avrebbe provocato un grave danno d’immagine alla credibilità internazionale di Dbeibeh.

Reazioni

A Palazzo Chigi il caso Almasri ha portato molti imbarazzi e indagini sull’operato della premier e dei suoi ministri. I membri di spicco della maggioranza non hanno commentato la notizia.

Ad attaccare l’esecutivo sono state, invece, le opposizioni che chiedono alla Camera una informativa urgente del governo. «Figura vergognosa a livello internazionale per cui il governo deve chiedere scusa agli italiani», ha detto la segretaria del Partito democratico Elly Schlein. Non sono da meno Avs e il M5s: «La nostra premier e i nostri ministri lo hanno fatto rientrare a casa con voli di Stato, con la nostra bandiera, calpestando il diritto internazionale. Ora diranno che anche la Procura generale in Libia è un nemico del governo? Che vergogna per la nostra immagine», ha detto Giuseppe Conte.

Il segretario di +Europa, Riccardo Magi, ha chiesto le dimissioni del ministro Nordio. Per ora Meloni è silente.

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