È da poco passata la mezzanotte quando nel villaggio di Tuwani, colline a Sud di Hebron, nella Cisgiordania occupata, arrivano quattro camionette dell’esercito israeliano. È il 16 ottobre e l’accordo di Trump per il cessate il fuoco a Gaza è stato firmato da pochi giorni; qui in Cisgiordania però le operazioni militari continuano e la pace non è mai sembrata così lontana. Soprattutto dopo l’esercito israeliano ha ucciso a colpi d’arma da fuoco un 11enne a Sud di Hebron nel villaggio di al-Rihiya.

Le testimonianze

Due delle camionette parcheggiano nel giardino di casa Hurreieni e ne scendono decine di soldati armati e a volto coperto. Il posto, come tutto quello che succederà in seguito, non è casuale: la famiglia Hurreini è particolarmente presa di mira da soldati e coloni perché molti dei suoi membri sono attivisti del movimento di resistenza nonviolento e si espongono pubblicamente chiedendo la fine dell’Occupazione. Stavolta però l’attacco riguarda l’intero villaggio.

A raccontare gli eventi delle ore successive è Sami Hurreini, attivista di Youth Of Sumud, movimento fondato a Tuwani negli anni ’90: «È stata un'incursione particolarmente brutale», riferisce Hurreini, «hanno invaso le case dei residenti, svegliato la gente che stava dormendo, arrestato donne e uomini, li hanno portati via lasciando i bambini da soli, hanno portato gli adulti in una casa trasformata in un centro per gli interrogatori, ci hanno minacciati per tutta la notte».

Non è certo la prima volta che la popolazione locale è sottoposta a un simile trattamento, continua Hurreini: «Questa condotta da parte dell’occupazione israeliana per noi non è una novità. Il regime di apartheid in corso tormenta la nostra vita in ogni dettaglio. La scorsa notte tutte le case del villaggio sono state perquisite. Mio padre è stato sequestrato dalla casa della mia famiglia. Questo è davvero un passo ulteriore e l’ennesima azione di terrore che Israele usa per spingerci ad abbandonare la Masafer Yatta e Tuwani».

Uno degli edifici oggetto del raid della scorsa notte è la Guest House dove alloggiano gli attivisti e giornalisti internazionali. Nella Guest House si trovava anche Gio, attivista italiano di Operazione Colomba, che racconta: «I soldati hanno sfondato la porta e sono entrati. Col volto coperto e senza fornirci alcuna spiegazione. Il loro unico intento era spaventarci».

La stessa prassi è stata seguita in tutto il villaggio, racconta Lina, attivista di Mediterranea Saving Humans: «Abbiamo visto un villaggio terrorizzato, invaso dall'esercito senza alcun motivo. Alcune persone sono state letteralmente rapite per qualche ora. Il terrore a cui abbiamo assistito è un'arma usata quotidianamente dall'Occupazione israeliana», denuncia la ragazza.

Mediterranea è presente quotidianamente proprio a Tuwani, con un progetto di interposizione nonviolenta e come osservatorio internazionale sulle violazioni dei diritti umani ai danni del popolo palestinese. Secondo quanto osservato nelle ultime settimane, l’aumento delle violenze si inscrive nel quadro dell’accordo di pace di Trump: «Da quando è stato firmato l’ultimo accordo», commenta Damiano Censi, coordinatore del progetto, «abbiamo assistito a un preoccupante intensificarsi delle violenze e delle operazioni riconducibili all’occupazione israeliana. Tali comportamenti rappresentano una palese e inaccettabile violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale e dei diritti umani».

Lo scarto tra parole e fatti

Un aumento della violenza che non riguarda solo Tuwani. Pochi giorni fa l’esercito israeliano ha effettuato un pesante raid anche nella vicina città di Yatta, che ha portato a diversi arresti e almeno un ferito. Sempre il 16 ottobre a sud di Nablus le IDF hanno arrestato 32 attivisti palestinesi e internazionali, colpevoli di aver partecipato alla raccolta delle olive. Nel villaggio di Umm Al Khair, dove lo scorso 28 luglio il colono Yinon Levy ha ucciso l’attivista palestinese Awda Hathaleen sparandogli al petto, l’esercito è quotidianamente presente per proteggere i lavori dei coloni, che stanno costruendo un nuovo avamposto, illegale sia secondo il diritto internazionale quello israeliano, a pochi metri dal luogo dell’assassinio. All’inizio di questa settimana, i coloni si sono insediati nelle prime abitazioni, proprio a ridosso del centro per i bambini palestinesi.

Mentre la comunità internazionale parla di pace, sul campo in Palestina si riscontra una realtà molto diversa, fatta di violenze quotidiane, insediamenti illegali, arresti arbitrari e sottrazione di terre e di diritti, frutto di un piano sistematico che la popolazione locale conosce bene e a cui è abituata a resistere: «Qualsiasi cosa facciano, anche un attacco come quello di stanotte, non funzionerà», conclude Hurraini, il tono deciso di chi non ha intenzione di cedere di un centimetro davanti all’ennesimo sopruso, «la nostra determinazione è forte e resteremo sulle nostre terre».

© Riproduzione riservata