Le luci sull’Artico sono sempre più accese. Non si tratta solo di aurore boreali, ma di riflettori immaginari, sospesi sulla regione polare. Ad illuminarli è il continente europeo, costretto dalle iniziative di Stati Uniti e Russia. I paesi che geograficamente vi si affacciano, come la Danimarca, la Norvegia, ma anche il Regno Unito, negli ultimi mesi hanno infatti aumentato la loro attenzione sull’Artico. Un’attenzione militare.

La Danimarca messa alle strette

Già tre anni fa, lo scoppio dell’invasione russa dell’Ucraina e il gelo calato tra Mosca e l’Occidente aveva messo in allerta gli Stati artici. Causando un primo riarmo di diversi paesi e l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato.

Poi le controverse dichiarazioni di Donald Trump sulla Groenlandia, dopo il suo ritorno alla Casa Bianca, hanno fatto scattare l’allarme. Scoperchiando gli interessi strategici in gioco nella regione, legati in particolare ai ricchi giacimenti minerari ed energetici. E ora, con il disimpegno statunitense dall’Europa e la distanza più ampia tra le sponde dell’Atlantico, i paesi europei iniziano a fare i conti con la necessità di essere autonomi.

Per far fronte alla minaccia russa e per reagire a Trump, tra i primi paesi a prendere contromisure c’è la Danimarca, che ha deciso di aumentare considerevolmente le spese militari. Copenaghen passerà da spendere per la difesa il 2,37 per cento del Pil, come avvenuto nel 2024, al 3,2 per cento per i prossimi due anni. Un sostanzioso incremento, considerando che nel 2022 la Danimarca spendeva solo l’1,37 per cento del suo Pil nella difesa. L’annuncio lo ha dato a febbraio la prima ministra Mette Frederiksen, parlando di un «massiccio riarmo» necessario per evitare la guerra. Stessa espressione usata da Ursula von der Leyen.

Nel suo discorso da Palazzo Christiansborg, la premier danese ha esortato i suoi apparati militari a essere più rapidi possibili nell’acquisto di armi: «C’è solo una cosa che conta ora. Ed è la velocità». Prima di lei, a gennaio, era stato il ministro della Difesa Troels Lund Poulsen a riferire di un pacchetto di circa due miliardi di dollari (14,6 miliardi di corone danesi) per rafforzare specificatamente la capacità militare della Danimarca nell’Artico.

L’occhio danese non va solo alla Groenlandia, ma anche alle isole Faroe, altro territorio del regno di Danimarca, sebbene sempre con un governo autonomo. Lo stesso ministro a fine febbraio ha reso noto che entro il 2026 il paese si fornirà di un sistema di difesa aereo. Tutte mosse che hanno contribuito a rendere Frederiksen - e con lei, Copenaghen - più influente in un continente ormai alle prese con il riarmo.

Il fronte scandinavo si rafforza

Che la regione polare possa diventare in futuro teatro di tensioni è quindi all’ordine del giorno. A pensarlo sono anche Finlandia, Svezia e Norvegia. Il recente ingresso nella Nato di Helsinki e Stoccolma ha comportato una marcia serrata per integrare le capacità militari dei due nuovi membri dell’Alleanza atlantica. Tutti e tre i paesi superano la soglia del 2 per cento del Pil nelle spese militari.

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Gli scandinavi, vista la loro vicinanza con la Russia e l’importanza assunta da mar Baltico e mar del Nord, dove sono fioccati sabotaggi di cavi sottomarini e operazioni di guerra ibrida, hanno spinto su accordi difensivi bilaterali.

La Svezia nel novembre del 2024 ha firmato un accordo strategico con la Polonia contro minacce tradizionali e ibride. A muoversi anche la Finlandia, che ha annunciato di voler potenziare la cooperazione militare con la Danimarca. Nell’ultimo mese, tra l’altro, l’aeronautica di Helsinki ha coperto la difesa aerea dell’Islanda, paese Nato che non ha un proprio esercito permanente.

Il caso più recente è la Norvegia, che a fine febbraio ha avviato dei negoziati con il Regno Unito per arrivare a un accordo sulla difesa. Obiettivo: rafforzare la collaborazione tra le forze armate dei due paesi e difendere le proprie infrastrutture critiche, come i cavi sottomarini. Tutto nell’ottica di contrastare la crescente minaccia della Russia nell’area.

La Norvegia, oltre al confine terrestre che condivide con la Russia, deve tutelare i suoi interessi nelle isole Svalbard, arcipelago cruciale al centro dell’oceano Artico di cui mantiene la sovranità. E l’accordo con Londra conferma anche l’interesse del Regno Unito per l’estremo nord. Sfruttando la propensione di alcune isole scozzesi, i britannici da anni vogliono aumentare la propria presenza militare nella regione per motivi legati all’energia e alla sicurezza.

La prima linea contro la Russia

Svezia, Norvegia e Finlandia, inoltre, a febbraio hanno creato la Platform North, un’iniziativa che mira a migliorare il coordinamento infrastrutturale e dei trasporti, con particolare attenzione alla mobilità militare. Essere preparati, insomma, a far circolare rapidamente truppe e mezzi militari, se necessario. «I tre paesi nordici hanno collaborato strettamente e bene sui trasporti, ma la necessità di intensificare i lavori è aumentata dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia», ha dichiarato il ministro dei Trasporti norvegese Jon-Ivar Nygård.

Il rimando a Mosca dei paesi scandinavi è sempre presente. Non è un caso. Insieme ai Baltici rappresentano una potenziale prima linea. Il Cremlino ha fatto della penisola di Kola, ovvero la porzione di territorio russo che confina con Norvegia e Finlandia, una fortezza. Lì ha posizionato circa due terzi delle armi nucleari russe.

E a Severomorsk, cittadina della regione, agisce il Comando unificato strategico della Flotta del nord russa. Che porta con sé movimenti di navi e sottomarini dello zar. Il fronte artico si sta scaldando e i paesi europei non vogliono farsi trovare impreparati.

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