«Ho già firmato la mia rinuncia». È lo stesso papa Francesco a rivelare, per la prima volta, il testamento biologico del suo pontificato in esclusiva al quotidiano spagnolo Abc: «Ho già firmato la mia rinuncia. Era Tarcisio Bertone, il Segretario di Stato. L’ho firmata e gli ho detto: “In caso di impedimento per motivi di salute o altro, ecco le mie dimissioni”. Ce le hanno già. Non so a chi l’abbia data il cardinale Bertone, ma io l’ho data a lui quando era Segretario di Stato».

A distanza di pochi mesi dai rumors in occasione del Concistoro straordinario tenutosi lo scorso agosto, il papa non solo rivela di aver pensato a questa eventualità personalmente, ma anche di averlo fatto a pochi mesi dalla sua elezione: «Ora qualcuno andrà a chiedere a Bertone: "Dammi il pezzo di carta!". Probabilmente lo consegnò al cardinale Pietro Parolin, nuovo segretario di Stato». Papa Francesco ha compiuto 86 anni, ha problemi articolari e lo scorso anno ha subito un importante intervento all’intestino: può la fragilità fisica indurlo a una rinuncia?

I due corpi del papa

Come scrisse lo storico E. Kantorowicz ne I due corpi del re, il re possiede due corpi distinti: quello naturale e mortale, soggetto al tempo e alla fragilità, e quello politico, che è perpetuo e sfugge ai limiti della natura umana e della morte. Ultimo monarca assoluto d’Europa, il papa conserva questa doppia natura della regalità, sia sacramentale che giuridica. Come vescovo di Roma, il titolo è conferito tramite l’ordinazione sacramentale, ma il cosiddetto munus petrinus, che è alla base del papato, ha una base giuridica, come già sottolineava Agostino d’Ancona: «Papa est nomen jurisdicitionis».

Attualmente, le dimissioni del papa sono normate dal diritto canonico (can. 332 § 2), che stabilisce solo una rinuncia «fatta liberamente e debitamente manifestata». Le motivazioni devono essere forti e orientate comunque al bene comune della Chiesa, come nel caso di papa Benedetto XVI, piuttosto che di natura personale.

Colpisce che, invece, Francesco abbia voluto affrontare la questione pochi mesi dopo la sua elezione: cosa intende quando adduce «motivi di salute o altro» se, stando al diritto canonico, le dimissioni episcopali devono essere motivate da una giusta causa?

Paolo VI e i ripensamenti

Nell’intervista, papa Francesco ricorda il precedente di Paolo VI, ripreso con un ampio approfondimento su Vatican News da Andrea Tornielli: sono ricordate le due lettere scritte da papa Montini sull’eventualità di un’abdicazione per problemi di salute e si menziona il contributo di Bergoglio al libro curato da mons. Leonardo Sapienza sulle lettere di Montini: «Mi sembrano una umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa; e una ulteriore prova della santità di questo grande Papa… Ciò che a lui importa sono i bisogni della Chiesa e del mondo. E un Papa impedito da una grave malattia, non potrebbe esercitare con sufficiente efficacia il ministero apostolico».

Nella digressione, così come nella recente intervista, si omette però un dato importante: poco dopo Paolo VI ammise la prospettiva di una rinuncia come qualcosa di moralmente inaccettabile, specificando che sarebbe stato un «trauma per la Chiesa».

Francesco ricorda anche la lettera di papa Pio XII che, in caso di arresto da parte di Hitler, si sarebbe immediatamente considerato rinunciatario al soglio di Pietro: «Se mi rapiscono, porteranno via il cardinale Pacelli, ma non il Papa». In questo caso, la prospettiva di una rinuncia non sarebbe stata dettata da motivazioni personali.

Il voto dei cardinali

Con la prospettiva che le dimissioni possano diventare una consuetudine, c’è anche una questione non secondaria: quanto è opportuno coinvolgere il Collegio cardinalizio? Una domanda non secondaria, se già nel caso di papa Celestino V i canonisti ne discutevano, e poco dopo, nella decretale Quoniam di Bonifacio VIII, si puntualizzò che la decisione delle sue dimissioni fu presa «in accordo con i fratelli cardinali».

Al contrario, la possibilità avanzata da papa Francesco, cioè che un pontefice possa disporre, a pochi mesi dalla sua elezione, di regolare inizio e fine del suo ufficio, mostra una visione temporale del pontificato. Ma anche personalistica, come già rivelano le nomine ai vertici vaticani di personalità con un sentire comune, come nel caso di mons.

Heiner Wilmer, in procinto di guidare il dicastero per la Dottrina della fede sferzando gli ultimi porporati conservatori. Ma un eccessivo personalismo rischia di minare l’unità di un’istituzione che si fregia l’universalità del titolo «cattolica».

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