Chirurgo della Croce Rossa Internazionale sui maggiori teatri di guerra, Flavio del Ponte è stato consigliere medico presso il Segretariato dell’Onu e medico umanitario per il dipartimento degli Affari Esteri svizzero.

Dopo l’uscita di “Dissonanze. Storie di un chirurgo di guerra” (Dadò 2025), del Ponte è oggi la voce dei medici svizzeri che protestano contro l’inerzia del governo elvetico di fronte alla catastrofe umanitaria di Gaza: uno sciopero della fame del personale sanitario in corso dall’8 settembre, davanti al palazzo del Parlamento di Berna, si conclude oggi, 26 settembre, ma altre azioni di protesta pacifica sono in preparazione.

A proposito di Gaza, la studiosa Story Embert leGaïe ha parlato di iatrocidio (dal greco, l’uccisione di chi cura). È pertinente, secondo lei, rispetto alla situazione nella Striscia?

Sappiamo tutti che la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia già a gennaio 2024 ha indicato misure vincolanti di prevenzione al genocidio che Israele non ha mai riconosciuto né rispettato.

La Commissione indipendente d’inchiesta dell’Onu a metà settembre ha stabilito che Israele è responsabile di genocidio nei Territori palestinesi occupati: che siamo di fronte a un genocidio lo vediamo ogni giorno. Anche perché a Gaza sta accadendo una cosa molto particolare: la distruzione di ogni speranza di vita della popolazione civile proprio attraverso la strumentalizzazione dell’aiuto umanitario, trasformato in arma di guerra. La cosa non è nuova nella storia, ma oggi Israele con l’interruzione delle forniture umanitarie, la devastazione delle strutture sanitarie, l’uccisione del personale medico ne sta facendo un uso sistematico criminale.

Che cosa c’è di nuovo nella protesta che il personale sanitario svizzero ha messo in atto?

Il movimento di dissenso dei medici, nato in Ticino lo scorso aprile, ha chiesto al governo di attivarsi affinché a Gaza entrino aiuti umanitari e affinché nei nostri ospedali vengano accolti i civili bisognosi di cure. Inoltre abbiamo chiesto che la Svizzera riconosca lo stato palestinese.

Le risposte delle istituzioni tardano ad arrivare. Perciò ci siamo ispirati allo sciopero della fame che i sanitari italiani hanno messo in atto durante l’estate. Una protesta che ha destato la nostra ammirazione. In un paese come l’Italia, dove la salute pubblica vacilla, è stato forte il segnale di coesione e di responsabilità arrivato dal corpo sanitario.

Sulla base della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio adottata all’unanimità dai paesi dell’Onu nel 1948, in seguito all’Olocausto, i paesi terzi hanno l’obbligo di mettere in atto tutte le misure possibili per prevenire un genocidio. Nella situazione attuale, che ruolo e che doveri ha la Svizzera, membro delle Nazioni Unite dal 2002?

La Confederazione ha una storia importante nell’ambito del diritto internazionale umanitario, perché ha fondato la Croce Rossa, la cui sede è Ginevra, e a Ginevra nel 1949 sono state firmate le Convenzioni per la protezione dei civili in tempo di guerra e la preservazione della dignità delle persone anche in condizioni di estrema sofferenza. L’articolo 1 delle Convenzioni di Ginevra e del primo e terzo Protocollo aggiuntivo obbligano la Svizzera a provvedere affinché tali accordi siano rispettati.

Dall’estero si ha l’impressione di una Svizzera spesso indifferente…

Può darsi, ma la situazione nella società civile sta cambiando con la presa di coscienza della gravità degli eventi e l’insofferenza verso un’interpretazione della neutralità che ci obbligherebbe a tenere la bocca chiusa.

C’è uno scollamento tra l’inerzia del governo e la sensibilità della gente. Ad agosto un collettivo di docenti di diritto internazionale di molte accademie elvetiche ha sollecitato il Consiglio federale a prendere posizioni più decise contro Israele, ricordando che il mancato rispetto degli obblighi internazionali potrebbe portare la Svizzera a incorrere in procedimenti giudiziari penali.

È notizia di qualche giorno fa, però, che la Svizzera ha confermato l’acquisto di droni di fabbricazione israeliana.

Sì, sono stati stanziati 280 milioni di franchi per dotare l’esercito svizzero di droni di ricognizione israeliani che non sono neppure confacenti ai bisogni del nostro territorio. Inoltre la Svizzera acquisterà dagli Usa aerei caccia per oltre 6 miliardi di franchi.

Il Parlamento elvetico ha anche respinto la richiesta di sanzionare Israele per il mancato rispetto del diritto umanitario internazionale. Qual è l’immagine della Svizzera che ne emerge?

Per noi medici è un’immagine pietosa. Proviamo vergogna nel constatare quanto poco riusciamo a fare con queste istituzioni per la sopravvivenza di un popolo messo alla fame e massacrato.

Il Governo svizzero ha appena confermato di voler accogliere 20 bambini gazawi bisognosi di cure nelle strutture sanitarie elvetiche. Qual è la sua reazione a questa notizia?

Accoglieremo questi bambini e presteremo loro tutte le cure di cui hanno bisogno, naturalmente. Ma devo dire, a titolo personale, che considero questo gesto da parte del governo un alibi per pulirsi la cattiva coscienza. Bisogna aprire, come abbiamo chiesto da tempo, un corridoio umanitario verso la Striscia, far entrare tutti gli aiuti necessari sul posto e far arrivare medici.

Lo sciopero dei medici italiani ha avuto come principio ispiratore l’idea che il silenzio non è imparzialità, ma complicità. La neutralità della Svizzera la vincola al silenzio?

C’è un dibattito decennale in Svizzera sulla definizione di neutralità. Al momento mi pare che sia l’opportunità politica a definirla, di volta in volta. All’inizio della guerra in Ucraina la Svizzera ha applicato sanzioni contro la Russia (misure finanziarie, divieti commerciali), ampliandole peraltro lo scorso agosto. Perché la stessa cosa non avviene nei confronti di Israele?

Oggi si conclude lo sciopero della fame a staffetta che il personale sanitario ha messo in atto sulla piazza del parlamento di Berna e che si è protratto durante la sessione autunnale di lavori delle Camere. La vostra protesta finisce?

Certamente no. Da oggi, ad esempio, inizia il boicottaggio della casa farmaceutica Mepha, appartenente al gruppo israeliano Teva che sostiene l’occupazione dei territori palestinesi; a ottobre ci sarà un flash mob sulla piazza federale di Berna in cui ricorderemo i 1.800 colleghi uccisi durante questi due anni. Proprio come le sei imbarcazioni svizzere che fanno parte della Global Sumud Flotilla, intendiamo smuovere l’inerzia di questo governo che non interpreta il sentire dei cittadini.


Flavio Del Ponte è autore del libro “Dissonanze. Storie di un chirurgo di guerra” (Armando Dadò editore, Locarno 2025) e parteciperà al Book City Festival di Milano nell’evento “Chirurgo di guerra, costruttore di pace”, il 16 novembre alle 18, presso il Pontificio Istituto Missioni Estere, Sala Crotti. Sarà intervistato da Annalisa Izzo e in dialogo con Federico Oliveri (università di Camerino e Centro interdisciplinare scienze per la pace università di Pisa).

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