Sono 300mila gli sfollati che si stanno muovendo verso nord. Dove il 70 per cento degli edifici è distrutto. Hamas: «È una vittoria». E intanto pubblica la nuova lista di 33 ostaggi. Di cui 25 vivi
È una marea umana. A una settimana dall’entrata in vigore degli accordi per il cessate il fuoco a Gaza, dopo sette lunghissimi giorni di stallo, ai residenti della Striscia è stato finalmente permesso di iniziare a muoversi verso nord per tornare verso le proprie case.
Nonostante più del 70% degli edifici di Gaza siano stati distrutti in migliaia si sono messi in viaggio. «Più di trecentomila sfollati sono arrivati nel nord della Striscia di Gaza nelle prime due ore dopo l’apertura del varco pedonale», ha dichiarato un funzionario di Hamas, poco dopo la riapertura del corridoio di Netzarim, che taglia in due la Striscia.
Il passaggio si sta invece dimostrando decisamente più complesso per chi si muove in macchina: le auto sono rimaste infatti bloccate su un’altra strada, più a est. Secondo un funzionario della sicurezza palestinese a conoscenza delle procedure, vengono lasciati passare appena 20 veicoli alla volta, ogni 40 minuti circa, che devono prima chiedere un permesso al blocco di polizia di Hamas e poi essere controllati tramite appositi scanner.
Il corridoio di Netzarim è stato aperto solo il 27 gennaio, dopo la conferma della liberazione di Arbel Yehud, una civile israeliana, da parte di Hamas, che verrà rilasciata il 30 gennaio insieme alla soldatessa Agam Berger e un’altra persona di cui non è ancora stato rivelato il nome.
Nei giorni precedenti, una crisi riguardante proprio Yehud aveva messo a rischio gli accordi. Hamas aveva infatti denunciato la prolungata chiusura del corridoio di Netzarim, accusando Israele di violare il cessate il fuco. I funzionari israeliani avevano risposto che non avrebbero permesso il transito delle persone verso nord fino alla liberazione di Yehud, che avrebbe dovuto essere nel primo gruppo di ostaggi liberati ma il cui nome era stato poi sostituito.
Ostaggi, vivi o morti
La liberazione richiesta da Israele “entro 48 ore” avverrà in realtà soltanto giovedì, e sarà seguita dalla restituzione di altri tre ostaggi il primo di febbraio, in cambio di prigionieri palestinesi. Nel frattempo Hamas ha consegnato ai mediatori una lista degli ostaggi che dovrebbero essere liberati durante la prima fase della tregua. Nella lista, che contiene 25 nomi, mancherebbero però all’appello 8 persone delle 33 previste dagli accordi.
«L’accordo per il cessate il fuoco», secondo Sari Bashi, Program director della ong Human Rights Watch, «include negoziati per fare cose che le parti avrebbero dovuto fare da sole. Il rilascio degli ostaggi civili è solo un obbligo che Hamas e gli altri gruppi armati avevano, e non avrebbe dovuto essere condizionato da nulla.
Allo stesso modo, consentire l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza e il ritorno delle persone sfollate con la forza dalle loro case sono obblighi che l’esercito israeliano aveva e non avrebbero dovuto richiedere negoziati». E continua, riferendosi a chi si sta spostando verso nord: «Molti di loro troveranno quelle case distrutte, ma vogliono solo ricongiungersi con i propri cari e poter almeno pensare di ricostruire».
«Il ritorno degli sfollati», ha commentato anche Hamas nella giornata di lunedì, mentre la marea umana continuava a muoversi nella Striscia, «è una vittoria contro i piani di occupazione della Striscia di Gaza e di trasferimento forzato dei palestinesi».
La dichiarazione sembrerebbe una risposta piuttosto diretta al suggerimento del neo rieletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump, secondo cui Giordania ed Egitto dovrebbero accogliere tutti i gazawi sopravvissuti per poter «ripulire tutto» nella Striscia. Secondo il presidente, il ricollocamento «potrebbe essere temporaneo o a lungo termine». Immediato il rifiuto di Cairo e Amman, seguito da quello dell’Autorità nazionale palestinese (Anp).
La Giordania ospita a oggi circa 2,3 milioni di rifugiati palestinesi, e si trova in una posizione particolarmente delicata, facendo affidamento su più di 10 miliardi di dollari annui in aiuti da parte degli Stati Uniti. Ai commenti sull’ultima trovata di Trump si è unito anche ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, secondo cui si tratterebbe di «una splendida idea».
Violenze in Cisgiordania
Mentre gli occhi del mondo restano puntati sulla Striscia di Gaza, dove gli accordi attraversano indubbiamente un momento di grande delicatezza, continuano le violenze in Cisgiordania. Nella giornata di lunedì sono stati arrestati più di 20 palestinesi, di cui 4 bambini, durante un raid nella città di Beit Ummar, poco a nord di Al Khalil (Hebron).
La stessa Al Khalil e molti dei villaggi vicini restano blindati, con decine di auto che rimangono in fila nella speranza che apra un checkpoint per poterne uscire anche per interi giorni. Continui anche gli attacchi dei coloni. In uno dei più recenti, nella zona di Masafer Yatta, sei coloni armati hanno dato alle fiamme un’automobile, devastato alcune stanze di un’abitazione e ferito due bambini piccoli.
A parlare è sempre Sari Bashi: «Quando il governo israeliano ha approvato l’accordo per il cessate il fuoco ha aggiunto un altro obiettivo alla guerra, che era, tra virgolette, il rafforzamento della sicurezza in Cisgiordania. Poco dopo hanno iniziato a chiudere le strade e a erigere numerosi posti di blocco.
Inoltre, l’esercito israeliano ha intensificato il livello già elevato di incursioni e raid nelle città, nei paesi e nei campi profughi palestinesi, in particolare a Jenin, dove la settimana scorsa un attacco aereo ha ucciso un bambino di due anni, ma in tutta la Cisgiordania. La gente teme che la terribile violenza che ha travolto Gaza stia arrivando anche qui da noi».
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