Per porre fine alla guerra russa in Ucraina i leader internazionali stanno tentando una mediazione che a oggi sembra procedere a rilento. Di certo Vladimir Putin non è uno dei politici più accomodanti, convincerlo a concludere la sua offensiva e arrivare a compromessi sembra un’impresa impossibile.

Lo ha detto allo stesso presidente francese Emmanuel Macron nel loro colloquio telefonico di domenica 6 marzo: se non raggiunge i suoi obiettivi con i negoziati ci penserà con la forza militare.

Almeno fino ad oggi, quando si è verificata una prima apertura, Putin ha sempre tenuto l’asticella delle sue richieste all’Ucraina molto alta: vuole il riconoscimento dell’annessione della Crimea alla Russia, quello dell’indipendenza delle repubbliche popolari del Donbass (Dontesk e Luhansk), la demilitarizzazione dell’Ucraina oltre a garanzie costituzionali che il paesi non entri a far parte della Nato, e infine la “denazificazione” del paese che tradotto in termini pratici si può leggere come deporre il presidente Volodymyr Zelensky e imporre un proprio uomo.

Con queste pretese è difficile trovare soluzioni di breve periodo che possano convincere Putin a fermare la sua guerra. Ma diversi leader si stanno muovendo, ecco come e chi sono.

Naftali Bennett

Israeli Prime Minister Naftali Bennett speaks at a cyber tech conference in Tel Aviv, Israel, Thursday, March 3, 2022. At the conference, Bennett called on world leaders to get Russia and Ukraine "out of the battlefield and to the negotiating table," less than a day after he spoke to Russian President Vladimir Putin and Ukrainian President Volodymyr Zelenskyy. (AP Photo/Ariel Schalit)

Il leader israeliano, Naftali Bennett, è stato uno dei pochi leader internazionali ad aver fatto visita al Cremlino da quando è iniziata la guerra lo scorso 24 febbraio. In gran segreto sabato è volato a Mosca dopo aver avvertito l’amministrazione di Joe Biden. «Non ho memoria di un’altra guerra in cui Israele fosse considerata un interlocutore e potenziale mediatore da entrambe le parti in conflitto», aveva detto un ex alto funzionario del ministero degli Esteri israeliano a Domani, in un articolo pubblicato lo scorso 3 marzo.

Bennett, infatti, gode di buoni rapporti sia con Putin che con Zelensky. Sia in Russia che in Ucraina la comunità ebraica vanta numeri non indifferenti e tra le priorità del premier israeliano c’è proprio la messa in sicurezza degli ebrei che rischiano di trovarsi tra le bombe russe o tra le sanzioni imposte dall’occidente.

Ciò che preme a Bennett è anche l’Iran, considerato da sempre come una minaccia per Israele. Prima dell’inizio del conflitto, i negoziati sul nucleare iraniano a Vienna stavano per raggiungere gli effetti sperati, proprio anche grazie alla mediazione della delegazione russa. Ora con la guerra le trattative, almeno da parte di Mosca, sono passate in secondo piano. Per Bennett, Putin è un importante interlocutore anche in Siria dove Israele continua a colpire le postazioni iraniane e di Hezbollah presenti sul territorio.

Ma le dichiarazioni di Bennett dopo l’incontro avuto con Putin lasciano l’amaro in bocca, visto che ha detto senza mezzi termini che le speranze di giungere a un accordo sono minime ma è un «obbligo morale provarci». Subito dopo la visita a Mosca il premier israeliano ha parlato con la controparte ucraina ed è andato a Berlino per visitare ill cancelliere tedesco Olaf Scholz. Da i giorni i due si stanno muovendo insieme per delineare una strategia comune.

Antony Blinken

U.S. Secretary of State Antony Blinken speaks during a media conference in Brussels, Friday, March 4, 2022. U.S. Secretary of State Antony Blinken met Friday with his counterparts from NATO and the European Union, as Russia's war on Ukraine entered its ninth day marked by the seizure of the strategic port city of Kherson and the shelling of Europe's largest nuclear power plant. (Olivier Douliery, Pool Photo via AP)

Da quando è iniziata la guerra il presidente americano, Joe Biden, e il segretario di Stato, Antony Blinken, hanno raffreddato i legami diplomatici con Mosca, che sono arrivati quasi a un punto di rottura. Stando agli ultimi giorni, l’attuale strategia americana appare quella di dare un supporto ai paesi europei in termini di accoglienza dei rifugiati ucraini (dal 24 febbraio si contano oltre 1,5 milioni di profughi) e di continuare a inviare truppe agli alleati della Nato.

L’impressione è che Blinken sta cercando di tenere sotto controllo l’Alleanza atlantica ed evitare la minima distrazione che rischia di sfociare in un conflitto mondiale, mandando avanti nella diplomazia i suoi colleghi europei. Il 5 marzo Blinken ha avuto un colloquio con il suo omologo cinese Wang Li, per sondare il terreno e capire se può contare sulla Cina nel tavolo della mediazione. In analoga direzione va la visita dei funzionari americani in Venezuela dello scorso 5 marzo per sondare il terreno di Nicolas Maduro, uno degli alleati più importanti della Russia in Sudamerica. Saranno decisive eventuali concessioni sulle sanzioni economiche che sono attualmente imposte contro il Venezuela.

In questi giorni il segretario di Stato americano è in visita a diversi paesi nel continente europeo, dopo essere andato a Bruxelles venerdì 4 marzo si è recato anche in Polonia, Moldavia, Lituania e Lettonia, paese in cui incontra il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid.

Draghi e Di Maio

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L’ultimo rappresentante italiano a parlare con il Cremlino è stato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che è andato in visita a Mosca due giorni prima dall’inizio del conflitto, dove ha incontrato il suo omologo russo Sergei Lavrov. Sono invece intensi i rapporti con il presidente ucraino Zelensky e il ministro degli Esteri Kuleba, con cui sono in continuo contatto sia Draghi sia Di Maio.

Il 6 marzo il premier italiano in un colloquio telefonico con Zelensky ha accolto con favore la richiesta dell’Ucraina di entrare all’interno dell’Unione europea. Ma a oggi la prima preoccupazione per l’Italia sembra essere l’approvvigionamento energetico. Negli ultimi dieci giorni il capo della Farnesina è andato prima in Algeria e poi in Qatar per cercare nuove risorse di gas e dipendere sempre meno dalla Russia, dalla quale importiamo circa il 38 per cento del fabbisogno interno di gas.

Erdogan

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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è offerto come mediatore cercando però di disringuersi dal premier israeliano, Naftali Bennett. Erdogan ha proposto e ottento un incontro tra il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, e quello ucraino, Dmytro Kuleba, ad Antalya, nel sud del paese dove il prossimo 11 marzo si terrà un forum diplomatico.

Il 6 marzo Erdogan ha avuto una telefonata dalla durata di circa un’ora con Vladimir Putin, in cui ha chiesto di cessare immediatamente il fuoco sia per evacuare la popolazione civile sia per arrivare a una soluzione politica il prima possibile.

Erdogan sta muovendo anche i suoi uomini e in particolare il ministro degli esteri turco per arrivare a un incontro tra Kuleba e Lavrov in Turchia. Nei giorni precedenti il presidente turco ha parlato al telefono con Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, e i membri del governo canadese e lituano.

Ciò che preoccupa al presidente turco è la crisi economica interna, oltre al fatto che Gazprom il colosso energetico russo controlla il gasdotto Turkstream che porta al paese il 40 per cento della sua domanda di gas.

Erdogan può diventare uno degli interlocutori chiave non solo per la posizione strategica della Turchia, che controlla lo stretto dei Dardanelli, necessario per entrare nel Mar Nero, ma anche perché le relazioni tra Russia e Turchia si intrecciano anche in altri paesi come Siria e Libia, dove entrambi hanno trattato negli anni passati e agiscono con i loro mercenari. Erdogan ha quindi diverse opzioni da mettere sul tavolo delle trattative per cercare di vantare in futuro un credito e non solo con l’Unione europea.

Macron

FILE - French President Emmanuel Macron, centre, Russian President Vladimir Putin, right, and Ukrainian President Volodymyr Zelenskiy, left, arrive for a working session at the Elysee Palace, in Paris, France, Monday, Dec. 9, 2019. The implementation of the 2015 peace agreement for eastern Ukraine has stalled, and France and Germany sought to revive it to help defuse soaring tensions. (Alexei Nikolsky, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)

Il presidente francese Emmanuel Macron è tra i leader europei più attivi sul campo diplomatico. In vista delle imminenti elezioni presidenziali francesi vuole giocarsi le sue carte. Ciò che preoccupa maggiormente a Macron è la messa in sicurezza delle centrali nucleari presenti in Ucraina, per evitare un disastro che colpirebbe tutta l’Europa. Infatti, in una chiamata telefonica il 7 marzo Macron ha proposto a Putin un incontro con le delegazioni ucraine e i rappresentanti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea).

Una proposta accolta con favore dal Cremlino che ha chiesto un incontro in un paese terzo oppure online. I due leader hanno anche parlato di corridoi umanitari dopo le violazioni della tregua che ha minato l’evacuazione dei civili soprattutto nella città di Mariupol. Ed è lo stesso Putin ha chiedere al presidente francese di «collaborare attivamente con le autorità di Kiev per conformarsi alle norme del diritto internazionale umanitario».

Xi Jinping

Sputnik

Dalla Cina il presidente Xi Jinping sta cercando di tenere una posizione cauta. Ma già il fatto che la Cina si è astenuta in sede Onu sulla risoluzione di condanna dell’invasione russa è una notizia. Il ministro degli Esteri cinese, Wang Lì, dopo la chiamata con Blinken del 6 marzo ha chiesto la fine dei combattimenti.

Dichiarazioni che stridono con quelle rilasciate al Congresso nazionale del popolo, in cui ha detto che le relazioni con Mosca non saranno influenzate da nessun attore terzo. Wang ha anche detto che la partnership strategica con Mosca continuerà a espandersi nonostante il quadro internazionale sia «sinistro».

«La Cina è disposta a continuare a svolgere un ruolo costruttivo nel persuadere la pace e promuovere i colloqui, ed è disposta a lavorare con la comunità internazionale per svolgere la necessaria mediazione quando necessario», ha detto Wang.

Insomma, la posizione della Cina è quella di avere due piedi in una scarpa senza sbilanciarsi troppo, forti del fatto che Russia è un importante partner strategico in Asia. Ma è anche l’occasione per barattare con l’Occidente una posizione di forza nei negoziati a fronte di una non ingerenza per i fronti interni attivi: Taiwan, Hong Kong, Tibet e Xinjiang.

Scholz

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Nella prima settimana di guerra anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha chiamato il presidente Putin. Una telefonata incentrata soprattutto nel garantire l’attivazione dei corridoi umanitari per evacuare la popolazione civile nelle città più assediate dal fuoco russo. Nei giorni seguenti, però, la chiamata non ha avuto gli effetti sperati visto che le evacuazioni sono state interrotte più volte.

Ma Scholz sta cercando alleati solidi con cui muoversi, per questo qualche giorno fa è andato in Israele a far visita al governo di Naftali Bennett, il quale dopo il viaggio a a Mosca di sabato 5 marzo è andato a Berlino per incontrare nuovamente il cancelliere tedesco.

A Bennett preoccupano molto i negoziati sul nucleare, e ha chiesto alla Germania di impedire a tutti costi che l’Iran ottenga l’arsenale nucleare. Scholz, spera invece che Bennett affievolisca la sua posizione considerata da molti come filorussa.

Quel che è certo è che nelle ultime due settimane il cancelliere tedesco ha cambiato approccio passando da una linea più morbida a una più forte. Un primo passo lo ha compiuto con la sospensione del gasdotto Nord Stream 2. Un gesto che però resta più simbolico che concreto visto che il Nord Stream 2, che avrebbe dovuto far approvare il gas russo in Europa tramite la Germania, non è mai entrato in funzione.

Il secondo passo è più concreto inviando armi all’Ucraina e adottando una posizione che mira a investire più soldi in materia di difesa a livello europeo, sperando che un continente più armato possa mettere più paura a Vladimir Putin.

Vaticano

FILE - Pope Francis, left, and Russian Orthodox Patriarch Kirill exchange a joint declaration on religious unity in Havana, Cuba on Feb. 12, 2016. The head of the Polish bishops’ conference had done what Pope Francis has so far avoided doing by publicly condemning Russia’s invasion of Ukraine. Archbishop Stanislaw Gadecki also publicly urged the head of the Russian Orthodox Church to use his influence on Vladimir Putin to demand an end to the war and for Russian soldiers to stand down. “The time will come to settle these crimes, including before the international courts," Gadecki warned in his March 2 letter to Patriarch Kirill. (AP Photo/Gregorio Borgia, Pool)

«La Santa sede, che in questi anni ha seguito costantemente, discretamente e con grande attenzione le vicende dell’Ucraina, offrendo la sua disponibilità a facilitare il dialogo con la Russia, è sempre pronta ad aiutare le parti a riprendere tale via», ha detto nei giorni scorsi il cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin. Il Vaticano si offre per trovare una soluzione. L’8 marzo il cardinale Parolin ha chiamato il ministrod egli Esteri russo, Sergej Lavrov, ribadendo l’appello per il cessate il fuoco e far evacuare i civili. Il segretario di Stato del Vaticano ha anche affermato la disponibilità della Santa Sede «a mettersi al servizio per questa pace». 

La scorsa domenica papa Bergoglio ha rivolto dure parole contro la guerra e ora resta da capire come muoversi. Lo scenario di tentare la strada della diplomazia insieme al patriarca della Chiesa russa Kirill appare sempre più difficile. Nel sermone domenicale il patriarca di Mosca ha detto: «Per otto anni ci sono stati tentativi di distruggere ciò che esiste nel Donbass dove c’è un rifiuto fondamentale dei cosiddetti valori che oggi vengono offerti da chi rivendica il potere mondiale». Secondo Kirill «oggi esiste un test per la lealtà a questo governo, una specie di passaggio a quel mondo felice, il mondo del consumo eccessivo, il mondo della libertà visibile. Sapete cos’è questo test? È molto semplice e allo stesso tempo terribile: è una parata gay».

Parole che hanno fatto scalpore, ma d’altronde nel Donbass i separatisti sono molto vicini alla Chiesa ortodossa russa, tanto che anche in scenari di guerra ricorrono simboli e riti liturgici.

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