Cessate il fuoco, ritiro parziale dell’esercito israeliano, scambio di prigionieri e ingresso degli aiuti umanitari a Gaza. Questo è il nocciolo della prima fase dell’accordo di pace tra Hamas e Israele raggiunto in Egitto dopo quattro giorni di intense trattative. L’onore dell’annuncio è toccato nuovamente a Donald Trump, che già a gennaio aveva anticipato tutti sui suoi profili sociali comunicando il raggiungimento della tregua raggiunta all’epoca durante l’amministrazione di Joe Biden. 

Nella serata di ieri mentre i suoi emissari, Steve Witkoff e Jared Kushner, sono arrivati in Israele per incontrare i vertici israeliani, Trump ha tenuto un incontro alla Casa Bianca con i suoi segretari di governo. «Abbiamo posto fine alla guerra a Gaza e, in realtà, su una base molto più ampia, abbiamo creato la pace», ha ribadito. «Credo che sarà una pace duratura, si spera una pace perenne, la pace in Medio Oriente», ha aggiunto specificando che proverà ad andare in Egitto, accogliendo l’invito del presidente al-Sisi, per le firme ufficiali, prima di arrivare in Israele e parlare alla Knesset. Ma a pesare è stata una sua risposta ai giornalisti che gli hanno chiesto della soluzione di due stati: «Non ho una visione, seguirò ciò che hanno concordato».

Ostaggi, Idf e prigionieri

I termini di questa prima fase sono già delineati. Il cessate il fuoco entrerà in vigore entro 24 ore dalla firma all’intesa da parte dell’esecutivo israeliano. Una volta raggiunta la tregua, inizieranno a decorrere le 72 ore entro le quali saranno liberati gli ostaggi israeliani (48 di cui 20 ancora vivi) e i prigionieri palestinesi (1950 di cui 250 ergastolani). Per il momento il nome di Marwan Barghouti è fuori dalle trattative, così come è stata rifiutata da parte di Israele la riconsegna dei corpi dei fratelli Sinwar chiesti da Hamas. Saranno 360 invece i cadaveri dei miliziani che saranno restituiti.

Con il cessare il fuoco, l’esercito israeliano si ritirerà dalle linee conquistate mantenendo però il controllo del 53 per cento del territorio. Ci sarà così una zona cuscinetto in favore dell’Idf che comprende il Corridoio di Filadelfia, l’estremo nord della Striscia, una parte della periferia orientale di Gaza City e ampie porzioni di Rafah e Khan Younis. Da capire i modi e i tempi di un eventuale ritiro completo, annunciato invece da Hamas nella prima dichiarazione pubblica post intesa. Per quanto riguarda gli aiuti, entreranno circa 400 camion al giorno.

Incognite

Se da una parte ci sono le immagini dei gazawi in festa tra le macerie della Striscia, dall’altra emerge la sensazione di una tensione tra le delegazioni che dopo l’annuncio in pompa magna fatto da Donald Trump su Truth – troppa la fretta e l’illusione di poter competere per il Nobel per la pace – devono rispettate le aspettative di una comunità internazionale che ha accolto il piano all’unanimità per fermare il prima possibile la mattanza in corso a Gaza. Neanche l’Iran ha sollevato obiezioni. 

Ma – guardando ai precedenti – ci sono molte incognite per il raggiungimento di un accordo quadro di lungo periodo. Già a marzo Israele aveva violato in maniera unilaterale la tregua dopo la conclusione della prima fase del testo firmato il 19 gennaio. Ognuno ha le sue priorità, non è un caso se i ministri dell’ultradestra israeliana sono stati di fatto silenti di fronte all’annuncio di Trump. In serata si è riunito il governo ebraico per la ratifica dell’intesa, un incontro slittato più volte durante la giornata. A dimostrazione dei dissapori interni all’esecutivo.

L’unica certezza è che serviranno altre trattative per sciogliere i dettagli più spinosi e una volta scambiati i rispettivi prigionieri, Hamas non può far altro che affidarsi alle garanzie di Trump e dei paesi arabi per mantenere il suo potere negoziale ed evitare una ripresa dei bombardamenti.

Tra i nodi principali ci sono il disarmo dell’organizzazione, la futura governance di Gaza, la nascita di uno stato palestinese e il dispiegamento di una Forza internazionale di stabilizzazione oltre alla ricostruzione. Il portavoce di Hamas, Hazem Qassem ha detto ad Al Jazeera che la questione del disarmo non è stata affrontata nei colloqui che si sono tenuti in settimana a Sharm el Sheikh. «L'arma della resistenza è legittima per difendere il nostro popolo e garantire l'indipendenza della decisione palestinese», ha aggiunto. Inoltre, Hamas ha già fatto sapere che non è disponibile ad affidare la Striscia all’ex premier laburista Tony Blair e vorrebbe un ruolo all’interno della nuova governance. Compromesso impensabile al momento.

L’altro fronte

Ma la pace in Medio Oriente passerà anche per il futuro della Cisgiordania, che non ha menzione nel piano di Donald Trump. La violenza dei coloni imperversa e il governo israeliano continua ad approvare la costruzione di nuovi insediamenti illegali cercando di mettere ogni argine alla nascita di un futuro stato palestinese.

Se quello annunciato ieri sia un accordo imposto dagli Stati Uniti per spingere la candidatura di Donald Trump al premio Nobel pe la pace o un’intesa che porti a un cessate il fuoco permanente e all’autodeterminazione del popolo palestinese è ancora tutto da vedere. Berlino ha già detto che per implementare la soluzione di due popoli e due stati «ci vorranno molte tappe».

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