Il concetto di interesse nazionale è tornato a permeare il discorso politico in molti paesi europei, e ancor prima negli Stati Uniti, dove è sempre rimasto centrale nell’elaborazione della politica estera del paese. Il sunto dello slogan “America first”, veicolato dal presidente Donald Trump nella campagna elettorale del 2016, altro non era che una netta dichiarazione che gli Stati Uniti avrebbero riconfigurato la loro postura esterna secondo il proprio interesse nazionale.

La novità era che l’interesse nazionale sarebbe stato definito secondo una prospettiva prevalentemente di politica domestica, con un orizzonte corto o troncato rispetto a una visione olistica della politica in cui dimensione interna ed esterna sono fortemente interrelate e ormai non scindibili, a meno di non accondiscendere a una lettura della politica contemporanea parziale e dunque gravida di rischi per il paese che operi tale distinzione.

La centralità dell’interesse nazionale era quindi rivelatrice di una presidenza che avrebbe voluto concentrarsi su tematiche interne e su quello che era considerato il bene dei cittadini americani, come una minore tassazione e una maggiore crescita economica, anche a costo di introdurre misure protezionistiche e di danneggiare relazioni con altri importanti attori del sistema internazionale, dalla Ue alla Cina. Il nuovo corso domestico è simbolicamente rappresentato dalla costruzione di un muro al confine con il Messico per bloccare flussi migratori che restituisce, senza alcun inganno ottico, il progetto di un paese che si identifica e riconosce in una fortezza ben serrata.

Il caso Brexit

Similmente, la decisione del Regno Unito di abbandonare il progetto di integrazione europea dopo l’esito del referendum del 2016 che ha premiato, anche se di poco, l’opzione di uscita dalla Ue, ricalcava una concezione di interesse nazionale come recisione di una prospettiva regionale e il richiudersi in una dimensione nazionale apparentemente confortante e protettiva, soprattutto per gli strati della popolazione che si sentivano marginalizzati e vittime della globalizzazione e che avevano patito maggiormente a causa della crisi finanziaria ed economica del 2008.

Sebbene la Brexit fosse stata presentata come l’opportunità – una volta liberatisi dai vincoli legislativi e burocratici di Bruxelles – di riconnettersi con il resto del mondo, secondo l’idea della Global Britain, si è tramutata in una chiusura con gravi effetti sulla politica e l’economia del paese, poi aggravati dalla pandemia. La Brexit costituisce in effetti un interessante e prestante caso di studio per mostrare come l’interesse nazionale possa diventare un prezioso dispositivo critico per valutare se i governanti abbiano effettivamente perseguito l’interesse nazionale in una scelta così pregante per il futuro del loro paese o se pure abbiano inseguito l’interesse personale o quello addirittura di una fazione all’interno del partito politico di riferimento.

Essa avrebbe dovuto realizzare il take back control presentato come vitale, e la sua approvazione tramite referendum da parte del popolo aveva ulteriormente contribuito ad avvalorare l’idea che la scelta fosse stata compiuta per il bene del paese. E qui ci troviamo di fronte a uno dei maggiori dilemmi: l’interesse nazionale deve essere considerato tale solo perché il popolo lo decide, o è responsabilità del governo eletto, che dispone delle competenze e delle informazioni necessarie per designare ciò che può essere considerato l’interesse nazionale?

Discrepanze

Mettere al centro di un’analisi critica il concetto di interesse nazionale implica rispondere ad alcune domande. Esiste una discrepanza tra ciò che era stato promesso al popolo (livello retorico) e i risultati già prevedibili e quelli verificatisi successivamente (ad esempio rallentamento dell’economia fino a sfiorare la recessione, riduzione degli scambi commerciali, mancanza di manodopera, malcontento del popolo, esacerbazione delle divisioni nel paese, fomentazione dell’indipendentismo scozzese, rischio di tensioni nell’Irlanda del nord)? Se sì allora vuol dire che probabilmente: 1) sono stati commessi errori nel determinare gli obiettivi; o 2) che gli obiettivi rispecchiavano l’interesse nazionale, ma le azioni intraprese non hanno portato i risultati promessi e sperati e che quindi non erano adeguate; o 3) che l’interesse nazionale è stato volontariamente e strumentalmente inquadrato in modo da soddisfare le aspirazioni personali o di partito, piuttosto che l’interesse dell’intera nazione.

Nel caso della Brexit, la definizione di interesse nazionale è stata anche adulterata dalla manipolazione dell’informazione durante la breve campagna referendaria a cura in primis delle fazioni interne. Il fatto poi che per vari motivi, non coincidenti (basti pensare a ciò a cui aspiravano una parte dei conservatori e una parte dei laburisti come Jeremy Corbyn), ci siano stati degli allineamenti bipartisan sulla questione, ha dato l’illusione che la Brexit rispondesse all’interesse nazionale.

Il caso Brexit ha anche evidenziato che l’uso diffuso da parte dei politici (o aspiranti tali) di social media attraverso varie piattaforme ha trasformato la sfera pubblica in un’agorà caotica in cui anche l’interesse nazionale può essere definito in maniera strumentale. Le ondate di populismo hanno messo a nudo il rischio di lasciare non definito l’interesse nazionale, rendendolo facilmente appropriabile.

In particolare, la tendenza a estrarre la nozione di popolo dal meccanismo elettorale e a renderla un agente autonomo, falsificabile nella sua volontà, può offrire alle forze populiste o ad altri attori l’alibi per stabilire ciò che dovrebbe essere perseguito nell’interesse nazionale. Il cosiddetto fenomeno della disintermediazione, inteso in senso lato come la rimozione di un intermediario da una relazione che si traduce in particolare nell’incapacità dei partiti politici e di altre organizzazioni di collegare i leader con i sostenitori, favorisce l’arrogazione da parte di una pluralità di attori di rappresentare il popolo al di fuori della rappresentanza democratica.

La situazione in Italia

E in Italia cosa succede? L’Italia non è scevra da un discorso politico che pone al centro della riflessione e della progettualità la questione dell’interesse nazionale. Il fatto che, per lungo tempo, il concetto di interesse nazionale sia stato monopolizzato dal realismo e dai suoi derivati e che sia talvolta entrato nel linguaggio di regimi politici autoritari come il fascismo (lo ricordano Alessandro Aresu e Luca Gori nel loro libro del 2018, L’interesse nazionale: la bussola dell’Italia) ne ha disincentivato lo studio e l’uso da parte dei politici. Recentemente, però, si è assistito a un rinnovato interesse verso l’interesse nazionale.

Nel discorso pronunciato dall’allora presidente del Consiglio Mario Draghi al meeting di Rimini del 24 agosto 2022, il concetto è evocato un paio di volte. Draghi afferma che al di là dell’orientamento politico delle coalizioni, ciò che le rende accettabili è il loro impegno a favore dell’interesse nazionale. Quindi il perseguimento dell’interesse nazionale è uno dei parametri su cui i governi devono essere misurati e valutati.

Dal punto di vista di Draghi, l’interesse nazionale dell’Italia include certamente la sua vocazione europea e quindi il rispetto degli impegni che sono stati presi in sede Ue e l’appartenenza alla Nato. Il presidente lo specifica chiaramente: «La credibilità interna deve andare di pari passo con quella internazionale. L’Italia è paese fondatore di Ue, protagonista del G7 e della Nato». E ancora: «Protezionismo e isolazionismo non coincidono con il nostro interesse nazionale», definendo illusori i progetti autarchici del secolo scorso.

Pochi mesi dopo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nel suo discorso di insediamento, menziona più volte l’interesse nazionale in una duplice accezione. Sul piano interno c’è la promessa che il governo anteporrà sempre «l’interesse della nazione a quello di parte e di partito, coniugando», sul piano esterno, «l’affermazione del proprio interesse nazionale con la consapevolezza di un destino comune europeo e occidentale».

Rischio politico

Ci pare di poter dunque affermare che ignorare l’interesse nazionale è un rischio politico. L’abbandono del concetto potrebbe essere imbarazzante in quanto la politica lo usa diffusamente e ignorarlo significherebbe da parte degli studiosi abdicare alla propria responsabilità perché, che ci piaccia o no, il termine è profondamente radicato nella letteratura delle relazioni internazionali e nel linguaggio politico e diplomatico. Inoltre, tanto più il concetto è marginalizzato, tanto più diventa “usurpabile” da chi intende rappresentarlo, arrogandosi la prerogativa di rappresentarlo e promuoverlo. Questa è precisamente la sfida che ho cercato di cogliere nel mio libro The Fall and Rise of National Interest, A comprehensive Approach (Palgrave, 2022), che va a colmare un vuoto nella letteratura contemporanea e intende mostrare le virtù di elemento critico dell’interesse nazionale.

Come ho affermato nel volume, l’interesse nazionale può divenire un dispositivo critico per valutare come i decisori politici definiscono strategicamente gli interessi di un paese, bilanciando tra obiettivi da una parte e risorse e capacità dall’altra, come le scelte siano giustificate presso le opinioni pubbliche e, infine, come questi interessi siano stati realizzati e con quali effetti. 

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