La Cei non alza i toni in una fase di rapporti positivi col governo: dalla gestione organizzativa del Giubileo dei giovani alla legge sul fine vita. Da parte cattolica tuttavia cresce il dissenso per le politiche migratorie dell’esecutivo
Non c’è pace sul fronte delle politiche migratorie fra governo e chiesa cattolica. Da ultimo a riaccendere il fuoco della polemica, è stata la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, sul protocollo Italia-Albania per la gestione di due centri di accoglienza dei migranti.
La Corte, infatti, ha dato torto al governo italiano su un punto chiave della vicenda: ovvero la definizione di paese sicuro nel quale rimpatriare il singolo migrante. Secondo i giudici europei, «tale designazione può essere effettuata mediante un atto legislativo, a condizione che quest'ultimo possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo vertente sul rispetto dei criteri sostanziali stabilite dal diritto dell'Unione».
La decisione presa dalla corte, che di fatto pone una pietra tombale sull'iniziativa albanese dell’Italia, ha suscitato reazioni veementi da parte di diversi esponenti della maggioranza di governo; da parte ecclesiale, viceversa, non sono mancate le voci favorevoli alla decisione. Mons. Gian Carlo Perego presidente della Commissione Cei che si occupa dei migranti e presidente della Fondazione Migrantes, non le ha mandate a dire. «L’ennesima sconfessione della politica migratoria del governo – ha detto all’Adnkronos – viene dalla Corte giustizia europea, che condanna la possibilità di utilizzare i Centri in Albania perché non garantiscono la tutela dei richiedenti asilo», ha detto.
Tuttavia, il passaggio che ha mandato su tutte le furie la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, è stato questo: «Il balletto di decreti e di leggi per utilizzare come hub, come centri di accoglienza e come Cpr le strutture costose realizzate in Albania, termina con questa dichiarazione della Corte europea che ormai non lascia margini ad altre, subdole manovre per allontanare il dramma di migranti in fuga dai nostri occhi e dalla nostra responsabilità costituzionale».
Quella parola, “subdole”, è stata la pietra dello scandalo, secondo Meloni, infatti, «la politica migratoria del governo non è subdola» poiché – ha detto al Corsera la premier – «Noi non mascheriamo l'intento di combattere le organizzazioni criminali o di far rispettare le leggi dello Stato italiano, obiettivi che consideriamo lodevoli». Quindi ha consigliato a Mons. Perego «di avere maggiore prudenza nell'uso delle parole».
Fra collaborazione e conflitti
Un conflitto a tutto tondo, nel quale, per ora, la Cei preferisce non addentrarsi ulteriormente, lo stesso fa la Fondazione Migrantes.
D’altro canto, la collaborazione fra governo e Cei sembrava essere entrata in una fase virtuosa: nel momento in cui centinaia di migliaia di ragazzi di ogni parte del mondo stanno affluendo a Roma per il Giubileo della gioventù, mobilitando imponenti forze di sicurezza e della protezione civile, non è parso utile aprire un conflitto con la presidenza del Consiglio su un tema tanto delicato come quello delle politiche migratorie.
Tanto più che in gioco c’è anche la legge sul fine vita dove l'Esecutivo si è mostrato sensibile alle ragioni della chiesa.
Tuttavia, cosa pensano molte organizzazioni laiche e cattoliche dei centri in Albania, è ben esemplificato dall’ultimo report del Tavolo asilo e immigrazione (del quale fanno parte tra gli altri Caritas, Comunità di Sant’Egidio, comunità Papa Giovanni XXIII), pubblicato alla fine di luglio, sul protocollo Italia-Albania, con un focus sui trasferimenti coatti nel centro di Gjader, convertito di recente in Centro di permanenza per il rimpatrio.
«Il ‘modello Albania’, ancor di più nell’attuale configurazione - si legge nel testo - non è solo un progetto operativo: è un dispositivo di governo fondato sull’opacità e sullo svuotamento degli spazi di democrazia. Il Parlamento è stato marginalizzato, il ruolo della società civile ridotto, le informazioni rese inaccessibili anche ai soggetti istituzionali legittimati al controllo. In questo senso, il modello si fonda su una produzione attiva di invisibilità: delle persone trattenute, dei luoghi in cui si trovano, dei procedimenti che le riguardano».
In generale, va ricordato, che la chiesa critica il governo non solo per il caso Albania; terreno di scontro è diventato per esempio il tema della cittadinanza.
L’intervento del Papa
Lo stesso mons. Perego ascoltato in audizione dalla commissione Esteri della Camera lo scorso 25 giugno, affermava: «Ogni riforma della legge sulla cittadinanza non può ridursi a un semplice indebolimento dello ius sanguinis, senza prevedere – attraverso strumenti come lo ius soli temperato o lo ius scholae – un adeguato riconoscimento della cittadinanza a chi è parte integrante della nostra società».
«Riteniamo quindi necessario – aggiungeva – che il dibattito politico resti aperto, libero da irrigidimenti ideologici, e che venga affrontato con coraggio e senso di responsabilità, nella consapevolezza che la cittadinanza è anzitutto un diritto da garantire, non un privilegio da concedere».
Infine, va sottolineato, che il papa nel messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, del 25 luglio scorso, ha affermato: «Molti migranti, rifugiati e sfollati sono testimoni privilegiati della speranza vissuta nella quotidianità, attraverso il loro affidarsi a Dio e la loro sopportazione delle avversità in vista di un futuro, nel quale intravedono l’avvicinarsi della felicità, dello sviluppo umano integrale».
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