Quando le prime foto della liberazione di Hama sono comparse sui social, con le immagini dei cittadini che tirano giù le statue dell’ex presidente Hafez al Assad, padre di Bashar, anche sulla rotta balcanica si sono aperti i festeggiamenti.

I migranti si muovono spesso in piccoli gruppi, per non attirare l’attenzione, ma negli ultimi giorni gran parte dei siriani in cammino tra Serbia e Bosnia si è radunata in attesa della notizia che nessuno si aspettava: la liberazione di Damasco da Assad.

La gioia inattesa

Seduti in un angolo della boscaglia, sette uomini, quattro donne e svariati ragazzini fissano l’unico telefono ancora acceso per aspettare gli aggiornamenti. Sono bastate poche ore per capire che la situazione in Siria si era capovolta. A quel punto, la gioia è stata tanto forte che la comitiva ha abbandonato la consueta prudenza e si è lasciata andare. «Non avevamo nulla, nemmeno l’acqua, ma abbiamo acceso il fuoco e abbiamo iniziato a cantare e ballare», racconta Adam, scappato con la famiglia in Turchia lo scorso anno. «Abbiamo urlato e pianto. Avremmo voluto parlare con gli amici, ma avevamo i cellulari scarichi ed eravamo lontani da tutto».

La stessa scena è avvenuta al confine tra Serbia e Ungheria. «Abbiamo visto gruppi di siriani festeggiare e scatenarsi», racconta Yulia, una volontaria per l’assistenza ai migranti tra le città serbe di Subotica e Sombor. «Attorno al fuoco, hanno intonato dei canti, hanno gridato. Ho visto persone che non si conoscevano abbracciarsi. È decisamente una scena insolita sulla rotta balcanica. Sono rari i momenti di gioia, qui».

Nell’ultimo mese, a causa della guerra in Libano, il numero di siriani in cammino su questo versante è aumentato parecchio. Con l’aiuto di trafficanti, molti sono pure arrivati velocemente in Slovenia e poi a Gorizia e Trieste. Gli altri, invece, fino a domenica erano ancora tutti in viaggio verso nord.

Dietrofront

Poi, però, gli eventi hanno impresso una inedita sterzata al flusso. «Stiamo tornando indietro», ci racconta Ala, in un messaggio vocale. «È stato strano», dice, «perché ognuno di noi lo ha pensato senza dirlo agli altri e poi ci siamo guardati e abbiamo detto: torniamo. Ora che la Siria è finalmente libera, possiamo davvero tornare a casa».

E così, dietrofront. Dalla Bosnia, tutto il percorso inverso sarà probabilmente più semplice di quanto lo è stato all’andata. «Anche noi sappiamo che molti stanno percorrendo all’incontrario la rotta balcanica», spiega Simon, un attivista di una ong internazionale che monitora proprio i flussi migratori. «Alcuni dei ragazzi con cui siamo in contatto ci hanno confermato che hanno festeggiato e hanno deciso di tornare indietro, perché vedono nella fuga di Bashar al Assad un simbolo di rinascita del loro Paese».

Dopo che Abu Mohammad al-Jolani, il capo del fronte jihadista che ha rovesciato il regime in 12 giorni, è arrivato a Damasco, sono sorti infiniti gruppi WhatsApp e Telegram. Dapprima sono circolati solo foto e video, poi sono arrivate le prime comunicazioni ufficiali sulla riapertura degli uffici e dei forni, sugli orari del coprifuoco.

«È un momento storico importante», dice Ahmad Ali, professore di lingue e letterature europee all’università di Damasco, scappato dalla Siria dopo che suo fratello è stato imprigionato dal regime. «Ogni siriano, ora, ha voglia di prendere parte al processo di rinnovamento e di ricostruzione della Siria. Ecco perché stiamo tornando indietro».

La velocità dei trafficanti

Ora, non è affatto chiaro se Al Jolani, ex al Qaeda e Isis, permetterà una ricostruzione pacifica o se il paese verrà dilaniato da nuove guerre civili. Ma è certo che sulla rotta balcanica i migranti vanno verso il sud invece che verso l’Europa. Il cambio di paradigma non è sfuggito ai trafficanti. In poche ore, dunque, l’offerta si è adeguata alla domanda. Mentre fino a ieri, infatti, i contrabbandieri portavano i migranti dal confine siriano alla Turchia e dalla Turchia al confine bulgaro, ora sono pronti a guidarli nel percorso inverso.

«Sì, me lo hanno chiesto già nel week-end. Non me lo aspettavo, ma va bene, per me fa lo stesso, basta che paghino», riferisce Memet (nome di fantasia), uno dei contrabbandieri attivi nella zona di Edirne. I prezzi non sono ancora stati fissati, perché per ora sono arrivate richieste sporadiche, ma la rete è in fermento. Ormai hanno il polso della situazione. «Nei prossimi giorni il numero di siriani che potrebbe voler tornare verso casa potrebbe aumentare», dicono, «e dobbiamo studiare i nuovi percorsi, anche se non ci aspettiamo grosse difficoltà».

La Turchia, che ha appoggiato l’ex jihadista, non vede l’ora di sbarazzarsi di tutti i profughi siriani che vivono sul territorio. Già domenica è stato aperto un varco al confine siriano per cominciare ad avviare le procedure di rientro.

«Le cose si stanno muovendo più in fretta di quel che si potesse immaginare», racconta una fonte militare di Ankara che ci chiede di rimanere anonima, «nessuno sa come la situazione potrebbe evolvere. Tutto dipenderà se la transizione sarà davvero pacifica e democratica». I siriani che stanno tornando verso casa vogliono vivere in un Paese sicuro e libero dalla tirannia.

Se così non fosse, contrariamente a quanto spera la Turchia, tornerebbero a scappare generando una nuova crisi migratoria. È quanto teme in queste ore anche l’Unione europea. «Torniamo per restare, se Dio vorrà», dice Ala, mentre è a pochi km dal confine bulgaro, dove anche i soldati potrebbero decidere di lasciar andare via tutti senza problemi.

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