La percezione delle regioni più ricche del mondo è di accogliere la maggioranza dei rifugiati. Ma sono i paesi a basso e medio reddito a ospitare il 73 per cento dei rifugiati del mondo e il 67 per cento delle persone in fuga rimane nei paesi limitrofi. È il rapporto annuale Global Trends dell’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, a pubblicare questi dati, aggiornati ad aprile 2025. In questa data si contavano 122,1 milioni di persone sfollate con la forza. Oltre due milioni in più rispetto allo stesso periodo del 2024, quando avevano raggiunto i 120 milioni

Un numero che è in aumento ogni anno da dieci anni e, si legge nel rapporto, «i principali fattori che determinano la fuga rimangono i grandi conflitti» come  tra gli altri – quello in Sudan, Myanmar, Gaza, la violenza ad Haiti, la Repubblica democratica del Congo e l’Ucraina «e la continua incapacità politica di fermare i combattimenti». 

Oltre la metà sono sfollati all’interno del proprio paese a causa di un conflitto e anche questo dato è aumentato «bruscamente»: 6,3 milioni in più fino, raggiungendo alla fine del 2024 73,5 milioni di persone. Sono poi 31 milioni i rifugiati sotto il mandato dell’Unhcr, 8,4 i richiedenti asilo, 5,9 i palestinesi rifugiati sotto il mandato dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, e 5,9 milioni di altre persone bisognose di protezione internazionale. 

Salute mentale

Al di là della sopravvivenza quotidiana e di questioni di salute fisica, la salute mentale delle persone rifugiate è spesso trascurata, evidenzia il rapporto. «L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)», si legge, «stima che 970 milioni di persone convivono con problemi di salute mentale in tutto il mondo (una persona su otto)». L’82 per cento delle persone che soffre questi disturbi vive in paesi a basso e medio reddito. 

Anche se sono diffusi in tutto il mondo, nei paesi ad alto così come a basso reddito, «i rifugiati e gli altri sfollati spesso subiscono molteplici fattori di stress che incidono sulla loro salute mentale e sul loro benessere», evidenzia l’Unhcr. E i fattori di stress possono verificarsi prima, durante o dopo il viaggio, e «possono includere abusi, violenza, perdite significative, difficoltà economiche e incertezza per il futuro».

Ritorni

Oltre 8,2 milioni di sfollati interni hanno fatto ritorno nel 2024 e si tratta del secondo dato più alto di sempre. A questo si aggiungono gli 1,6 milioni di rifugiati, per un totale di rientri di 9,8 milioni di persone.

«Ma in assenza di pace e stabilità nel loro paese, molti sfollati interni rimangono intrappolati in cicli di ritorni seguiti da nuovi spostamenti e i conflitti diventano più prolungati», denuncia il rapporto. Per l’Alto commissario dell'Unhcr, Filippo Grandi, «negli ultimi sei mesi abbiamo visto alcuni barlumi di speranza»: quasi due milioni di siriani, dopo un decennio di esilio, sono riusciti a tornare nel loro paese, che tuttavia – sottolinea Grandi – «rimane fragile e le persone hanno bisogno del nostro aiuto per ricostruire nuovamente le loro vite». 

O, ancora, un gran numero di afghani sono stati costretti a tornare nel loro paese nel 2024, «arrivando a casa in condizioni disperate».

Tagli ai finanziamenti

Alla crescita del numero degli sfollati in tutto il mondo, non corrisponde però un aumento delle risorse che consentano di rispondere ai bisogni di chi è costretto a fuggire. 

«L’Unhcr e la più ampia comunità umanitaria stanno affrontando tagli dannosi ai finanziamenti, che avranno un grave impatto su milioni di persone a livello globale», scrive l’agenzia, precisando che i fondi sono tornati al livello del 2015, a causa dei tagli brutali ai sussidi e ai continui tagli agli aiuti umanitari. Una situazione che per l’Unhcr è «insostenibile» e amplifica la vulnerabilità dei rifugiati e delle persone in fuga: «Donne senza protezione, bambini senza scuole, intere comunità senza acqua e cibo». 

«Quando le emergenze umanitarie ricevono risposte inadeguate, le conseguenze non si limitano ad aumentare le sofferenze umane, ma generano anche una maggiore instabilità», ha detto Chiara Cardoletti, rappresentante dell’agenzia in Italia, Santa Sede e San Marino. Cardoletti ha sottolineato come la decisione di «tagliare gli aiuti rischia di spingere più persone alla disperazione, innescando ulteriori fughe e aggravando crisi che diventeranno ancora più difficili da affrontare in futuro. Si tratta di un circolo vizioso che dobbiamo urgentemente cercare di spezzare».

Paesi a basso reddito

Così come per la questione climatica, sono i paesi a basso reddito – scrive l’agenzia – che «continuano a ospitare una quota sproporzionata di rifugiati nel mondo, sia in termini di popolazione che di risorse disponibili». Il 19 per cento dei rifugiati viene ospitato da questi paesi, che rappresentano il 9 per cento della popolazione mondiale, ma solo lo 0,6 del prodotto interno loro. Tra questi, il Ciad, la Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Sudan e Uganda.

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