Più di 200 malattie infettive che si trasmettono da uomo a uomo e altre dozzine di situazioni problematiche anche gravi, come il morso di serpenti velenosi, sono stati esasperati dal cambiamento climatico.

Lo sostiene uno studio apparso sulla rivista Nature Climate Change, secondo il quale il riscaldamento globale influenza profondamente il modo con cui si sviluppano alcune infezioni, rendendo alcune di queste più gravi rispetto al passato e avvicina sempre più persone e organismi di vari tipi che causano malattie.

Effetti sulle infezioni

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Camilo Mora, uno scienziato dell’università delle Hawaii a Manoa e un gruppo di colleghi hanno perlustrato la letteratura scientifica alla ricerca di prove su come vari fenomeni che inducono i cambiamenti climatici, tra cui l’aumento delle temperature, l’innalzamento del livello del mare e le siccità, abbiano influenzato tutte le malattie infettive documentate.

Queste includono infezioni diffuse o innescate da batteri, virus, animali, funghi e piante. Sottolinea Josh Colston epidemiologo presso la University of Virginia School of Medicine di Charlottesville: «Esaminare tutti gli effetti climatici e tutti i patogeni infettivi in un solo lavoro è stato estremamente ambizioso, ma il risultato è riuscito a sintetizzare molto bene un’enorme quantità di informazioni che prima erano isolate le une dalle altre».

Mora e i suoi colleghi hanno esaminato più di 77mila documenti di ricerca, rapporti e libri per verificare come le malattie infettive possano essere state influenzate dai rischi climatici. Più del 90 per cento dei documenti rilevanti era stato pubblicato dopo il 2000. Da questo immane lavoro Mora ha portato ad esempio 3.213 casi. Ebbene il ricercatore ha scoperto che il cambiamento climatico ha aggravato 218 o se si vuole il 58 per cento, delle 375 malattie infettive elencate nel Global Infectious Diseases and Epidemiology Network (Gideon) e nel National Notificable Diseases Suerveillance System del Centro statunitense per il controllo e la prevenzione delle malattie.

Il totale sale a 277 malattie se si includono le “condizioni non trasmissibili” come l’asma e punture di serpenti velenosi o insetti. A onor del vero, per essere precisi, va sottolineato che il cambiamento climatico ha contribuito a diminuire il numero di casi di 9 malattie.

Ma tornando alla problematica generale, va ricordato che alcune ricerche realizzate negli ultimi anni avevano esaminato quel che sta avvenendo per le più temute malattie trasmissibili, ma Mora sottolinea come vi sia un grave peggioramento anche per quel che riguarda le malattie non trasmissibili, come i focolai di asma, causati dall’aumento dei livelli di allergeni vegetali e fungini proprio a causa del riscaldamento globale.

«Ma vi è poca attenzione rispetto a ciò», sottolinea Mora. Il suo gruppo di lavoro ha anche identificato 1.006 modi con cui i mutamenti climatici hanno portato ad un aumento di malattie varie. In molti casi vi è un avvicinamento di agenti patogeni e persone. L’aumento delle temperature terrestri e delle precipitazioni, ad esempio, ha ampliato la gamma delle zanzare e della loro distribuzione e ha contribuito a un maggior numero di focolai di febbre dengue, chikungunya e malaria. Allo stesso tempo, le ondate di caldo attirano più persone verso attività legate all’acqua e ciò ha contribuito a far aumentare le malattie trasmesse dall’acqua stessa, come la gastroenterite.

I cambiamenti climatici poi, hanno già obbligato a spostamenti di massa di persone e tra le conseguenze si è registrato un aumento dei focolai di febbre di Lassa, colera e febbre tifoide. Le minacce climatiche hanno anche reso alcuni agenti patogeni più virulenti e potenziato la loro trasmissività. Le alte temperature, ad esempio, aumentano la sopravvivenza e il tasso di puntura delle zanzare portatrici del virus del Nilo occidentale

Inoltre, le nuove condizioni che si stanno venendo a creare indeboliscono la capacità delle persone di far fronte alle infezioni perché colpite da stress mentale, immunità ridotta e spesso malnutrizione. «È incredibile come ora si abbiano prove inconfutabili circa i rapporti tra variazioni climatiche e malattie e penso che il fenomeno sia ancora più ampio rispetto a quanto messo in luce dallo studio. Dico questo perché le mutevoli condizioni ambientali hanno già danneggiato l’accesso all’assistenza sanitaria, alla sicurezza alimentare e al altri fattori che esulano dello scopo dello studio», ha sottolineato Colin Carlson, biologo del cambiamento globale presso la Georgetown University di Washington DC, che ha concluso: «Non c’è elemento della salute globale che il cambiamento climatico non stia rimodellando».

Ghiacci che scompaiono

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Un nuovo studio sostiene che le piattaforme di ghiaccio dell'Antartide si stiano fondendo a una velocità superiore rispetto a quanto si ipotizzava finora e questo perché negli studi teorici non si tiene conto di un fenomeno solo apparentemente di secondaria importanza. E ovviamente, se ciò fosse confermato, il tutto potrebbe contribuire ad un più rapido innalzamento del livello del mare. 

Spiega Andy Thompson, del California Institute of Technology: «Se il modello che abbiamo realizzato è realmente attivo nel mondo reale, ciò potrebbe significare che i tassi di fusione della piattaforma di ghiaccio dell’Antartide sono dal 20 al 40 percento superiori alle previsioni dei modelli climatici globali».

Nel suo studio Thompson si è concentrato nel ricostruire la situazione in prossimità della penisola antartica occidentale. Qui infatti, l’Antartide vede i cambiamenti più drammatici dovuti al riscaldamento globale. Il modello di Thompson tiene conto della stretta “corrente costiera antartica”, che non viene quasi mai considerata nei modelli climatici perché è molto piccola. 

«I grandi modelli climatici globali non includono questa corrente costiera, perché è molto stretta, ha una larghezza infatti, di soli 20 chilometri circa, mentre la maggior parte dei modelli climatici prende in considerazione solo correnti di 100 chilometri di diametro o più grandi», ha spiegato il ricercatore Mar Flexas che ha fatto parte del gruppo di lavoro i cui risultati sono stati pubblicati su Science Advances. «Quindi, esiste la possibilità che quei modelli non rappresentino i reali tassi di fusione futuri in modo molto accurato».

Quel che è interessante è il fatto che il ghiaccio che si fonde, dando origine ad acqua dolce, viene trasportato dalla corrente costiera attorno a tutto il continente. L’acqua dolce meno densa si muove vicino alla superficie dell’oceano e intrappola l’acqua salata oceanica, relativamente calda, che si trova sotto le piattaforme di ghiaccio che galleggiano sul mare. Questo fa sì che le piattaforme di ghiaccio si fondono dal basso. L’aumento dell’acqua dolce di disgelo intensifica la corrente costiera, che fa sentire i suoi effetti anche sotto piattaforme di ghiaccio dell’Antartide occidentale a migliaia di chilometri di distanza. 

«Ci sono aspetti del sistema climatico che stiamo ancora scoprendo», ha affermato Thompson. «Man mano che abbiamo fatto progressi nella nostra capacità di modellare le interazioni tra oceano, banchi di ghiaccio e atmosfera, siamo in grado di fare previsioni più accurate con migliore precisione. In questo caso potrebbe essere necessario rivedere alcune delle previsioni sull’innalzamento del livello del mare nei prossimi decenni o secoli: è un lavoro che faremo andando avanti con i nostri studi».

Metano dalle discariche 

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Le grandi discariche della Terra, vicino a grandi città dove non si è ancora trovato un modo per smaltire i rifiuti, stanno rilasciando nell’atmosfera enormi quantità di metano, un gas, che ancor più dell’anidride carbonica, ha elevate capacità di trattenere il calore nell’atmosfera terrestre e quindi di riscaldare il pianeta. Per approfondire questo problema è stata realizzata una ricerca che ha utilizzato dati satellitari ottenuti sorvolando le discariche di Delhi e Mumbai in India, Lahore in Pakistan e Buenos Aires in Argentina, che sono tra le più grandi a livello mondiale.

Era noto che queste discariche rilasciano costantemente alti valori di metano, ma il nuovo studio ha permesso di capire che tali fonti ne emettono da 1,4 a 2,6 volte superiori alle stime fin qui fatte. Lo studio, pubblicato su Science Advances ha lo scopo di aiutare i governi locali a compiere sforzi mirati per ridurre tali emissioni che risultano estremamente dannose.

È noto che quando i rifiuti organici, come cibo, legno o carta, si decompongono emettono metano nell’aria. Le discariche sono la terza fonte di emissioni di tale gas a livello globale dopo le emissioni prodotte dall’uso del petrolio, del gas e dall’agricoltura in genere.

Tutte le ricerche concludono che almeno il 25 per cento del riscaldamento odierno sia determinato dal metano che direttamente o indirettamente viene utilizzato o prodotto dalle attività umane. Sebbene rappresenti solo l’11 per cento delle emissioni di gas serra e duri circa un dozzina di anni nell’atmosfera, il metano intrappola 80 volte più calore rispetto all’anidride carbonica. Ecco perché un’azione forte e immediata per ridurre le emissioni di tale gas può avere effetti relativamente veloci e positivi sull’ambiente terrestre.

Spiega Koannes Maasakkers, autore principale dello studio e ricercatore presso l’Istituto olandese per la ricerca spaziale: «Questa è la prima volta che immagini satellitari ad alta risoluzione vengono utilizzate per osservare le discariche e calcolare le loro emissioni di metano. E i risultati sono piuttosto sconcertanti in quando risulta che siano responsabili di una grande frazione delle emissioni totali di tale gas».

Sottolinea Euan Nisbet della Royal Holloway dell’università di Londra: «Questo nuovo lavoro dimostra quanto sia importante gestire meglio le discariche, soprattutto in paesi come l’India dove le discariche sono quasi permanentemente in fiamme, emettendo non solo metano in grandi quantità, ma anche un’ampia gamma di inquinanti dannosi».

Tra l’altro, all’inizio del 2022, il fumo aleggiò su Nuova Delhi per giorni dopo che un’enorme discarica aveva preso fuoco proprio mentre la città soffocava durante un’ondata di caldo estremo con temperature che superavano i 50 gradi celsius. Anche se non esiste paese al mondo che non emette metano attualmente Cina e India sono i maggiori emettitori di tale gas al mondo, secondo una recente analisi dell'Agenzia internazionale per l’energia. Ciò nonostante, alla conferenza delle Nazioni unite sul clima del 2021, mente 104 paesi hanno firmato un impegno a ridurre le emissioni di metano del 30 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, sia India, sia Cina non sono firmatari.

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