Il metano è uno dei più potenti gas responsabili del cambiamento climatico, ma dalla Cop30 di Belém arriva un messaggio di misurato ottimismo: secondo il Global Methane Status Report, le emissioni stanno ancora aumentando, ma le proiezioni al 2030 sono inferiori rispetto a qualche anno fa. L’analisi realizzata dal Programma ambiente delle Nazioni Unite (Unep) e dalla Coalizione per il Clima e l’Aria Pulita (Ccac) fornisce la prima panoramica complessiva sui risultati delle politiche messe in atto a quattro anni dal lancio dell’Impegno sul metano globale, a cui hanno aderito 160 diversi paesi.

«Sta funzionando, ma non abbastanza in fretta», ha spiegato Martina Otto, capo del segretariato della Coalizione, durante la presentazione del report. Il metano è il componente principale del gas naturale. Spesso sottovalutato rispetto al diossido di carbonio, è in realtà un potente gas climalterante.

Ad oggi si stima che sia colpevole di circa un terzo dell’attuale aumento delle temperature. Nonostante permanga in atmosfera per un tempo inferiore rispetto alla C02, ha infatti la capacità di assorbire molta più energia, intrappolando fino a 80 volte più calore.

L’importanza di tagliare il metano

Per questo motivo, alcuni scienziati sono convinti che diminuire la sua quantità rappresenti una strategia vincente per riportare rapidamente il riscaldamento globale sotto controllo. «Immaginate di avere un freno mano da tirare per fermare il veicolo e cambiare la direzione», ha spiegato Otto, aggiungendo che «tagliare il metano è uno dei modi più rapidi ed effettivi di rallentare il cambiamento climatico».

Un messaggio di impatto, soprattutto dopo l’allarme lanciato in apertura della Cop dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, che ha lamentato come la soglia di un aumento della temperatura di 1,5C °C sia ormai stata sorpassata.

Con l’attuale legislazione e ritmo di emissioni, i livelli di metano nel 2030 dovrebbero essere superiori del 5% rispetto al 2020. Ma, se i paesi rispetteranno i piani e le politiche annunciate, dovrebbero attestarsi invece al di sotto dell’8% rispetto a dieci anni prima. Già di per sé si tratterebbe del maggior taglio mai sperimentato. Ma non è comunque sufficiente: i paesi che hanno aderito all’Impegno sul metano globale hanno promesso di ridurre le emissioni del 30%. Un simile risultato permetterebbe di evitare 0,2°C di riscaldamento entro il 2050 e più di 180.000 morti premature.

I settori che sprigionano più metano sono l’agricoltura e l’energia, responsabili rispettivamente del 42 e del 38%. Fra i principali emettitori primeggia la Cina, con il 16% delle emissioni globali, seguita da Stati Uniti, India e Russia. L’Europa è invece responsabile solo del 5%.

La legislazione europea

Secondo l’Unep, il buon risultato rilevato è stato raggiunto grazie all’implementazione di nuove politiche nazionali e regolamenti di settore approvati in Europa e negli Stati Uniti. L’Unione europea, in particolare, si è distinta per aver introdotto il primo standard sul metano importato e il Regolamento che prevede obblighi di misurazione, rendicontazione e performance.

«Il regolamento europeo è una cosa che ha un effetto enorme sul mercato del gas globale, perché fa da apripista», spiega a Domani Flavia Sollazzo, esperta di politiche energetiche e clima europee e già direttrice presso l’Environmental defense fund. «Se si riuscisse ad implementare veramente in maniera pragmatica e rigorosa, potremmo creare il primo mercato globale in cui il gas compete non solo sulla base dei prezzi, ma anche sulla base delle emissioni».

Il report Unep sottolinea come oltre l’80% della riduzione necessaria può essere ottenuta con misure a basso costo. Il settore energetico è quello che presenta il miglior margine di miglioramento: attraverso l’adozione di strumenti per individuare le perdite di metano e la loro rapida riparazione, o la chiusura dei pozzi di petrolio e gas abbandonati, si può raggiungere un taglio del 72% delle emissioni.

Per quanto riguarda l’agricoltura, il report suggerisce di migliorare la gestione dell’acqua nelle coltivazioni di riso e di smettere di bruciare rifiuti agricoli. Nei piani di azione dei governi, il settore agricolo è però quello meno rappresentato.

Tirare il freno a mano

Ma sui risultati presentati da Unep pesa una grossa incognita: ad aver contribuito alla minore crescita delle emissioni è stato anche il rallentamento del mercato del gas naturale fra il 2020 e il 2024, prima dell’insediamento di Trump e della sua spinta a moltiplicare le esportazioni. Secondo un recente report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, sul mercato arriveranno infatti entro il 2030 circa 300 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto (Gnl), provenienti principalmente dagli Stati Uniti e dal Qatar.

Potrebbe essere un problema, anche perché questi paesi presentano problemi di tracciabilità. «Il gas americano si dice hub-based, non è legato a un singolo impianto di produzione e viene molto mischiato, per cui è più difficile capire da dove arriva e quale intensità emissiva abbia», spiega Sollazzo.

Il messaggio che arriva dall’Unep non lascia però spazio alle indulgenze: gli impegni stanno funzionando, ma non abbastanza in fretta. «Se stai correndo contro un muro, il freno a mano non lo tiri certo a metà, ma lo fai drasticamente», conclude Otto.

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