«Io volevo cambiare le cose ... Ma sono tutti cugini!» Sono le ultime parole che sentiamo in Mimì metallurgico ferito nell’onore di Lina Wertmüller. Le parole di Mimì/Giancarlo Giannini sono rivolte a Fiore/Mariangela Melato, per giustificare la sua rinuncia a lottare per un mondo più giusto. Ma la sua amata lo abbandona nella sua Sicilia. 

Mimì si riferisce a una società immobile in cui i legami familiari e sociali determinano le opportunità di affermazione personale. Una struttura compatta e ancestrale che ha le sue radici nelle gerarchie provenienti dai secoli passati, e che si sostiene grazie al particolarismo ed egoismo sociale. Il politologo Edward Banfield, negli anni Cinquanta e proprio con riferimento all’Italia meridionale, aveva definito questo fenomeno “familismo amorale”.

Ma sono poi così diverse, la Sicilia di Lina Wertmüller o la Basilicata di Banfield, dalla Silicon Valley di Elizabeth Holmes e la New York di Anna Sorokina dei nostri giorni? Entrambe le giovani donne hanno millantato contatti, amicizie e appoggio di persone influenti per convincere altri ricchi e potenti a finanziare e sostenere le proprie fraudolente iniziative imprenditoriali – una impresa biotecnologica per Holmes, un circolo culturale di élite per Sorokina.

Al sentir nominare, come (seppur false) referenze, alcuni membri della loro cerchia sociale, potenziali finanziatori hanno presunto l’affidabilità delle due imprenditrici senza tanti ulteriori controlli - per fiducia nei loro contatti, oppure per non perdere l'occasione di avvicinarsi socialmente ad alcune di quelle millantate conoscenze.

I casi di Holmes e Sorokina, che anche due libri e recenti serie tv hanno raccontato, sono estremi, ma si basano su concetti e fenomeni che molti scienziati sociali hanno ampiamente studiato. Uno di questi è l’omofilia, ovvero la tendenza delle persone ad associarsi a propri “simili” per classe sociale, etnia, religione o provenienza geografica, per esempio.

Il secondo è il ruolo di ciò che i sociologi chiamano il “capitale sociale”: in aggiunta a capitale fisico e umano (istruzione, cultura), il frequentare le “giuste” compagnie ed essere identificati con esse è un investimento produttivo, come un “segnale” del proprio valore sul mercato.

familismo amorale

Un recente contributo dell’economista Matthew Jackson (Stanford University) sottolinea come, in un periodo di crescenti disuguaglianze, omofilia e rapporti personali possano ulteriormente accelerare le disparità e ridurre la mobilità sociale. Paradossalmente, sono proprio alcune caratteristiche delle tecnologie che più caratterizzano la società contemporanea, e che nella narrazione dominante avrebbero reso il mondo più “piatto” e meno gerarchico e promosso una genuina meritocrazia, che rendono i vecchi meccanismi del familismo amorale particolarmente efficaci – efficaci per pochi, più precisamente, e deleteri per la maggioranza, che vede perpetuare e acuirsi vecchie ingiustizie.

La rivoluzione digitale ha portato, in particolare, a una polarizzazione del mercato del lavoro. Le nuove tecnologie premiano le professioni ad alto contenuto intellettuale, risparmiamo lavori a basso valore aggiunto (e quindi bassi salari) come i servizi alla persona, e penalizzano, tramite l’automazione, attività come quelle manifatturiere e dei servizi di ufficio, dal commercio al settore bancario, che storicamente non richiedevano alti livelli educativi ma garantivano buoni salari e condizioni di lavoro.

il divario scolastico

In questo scenario, un’educazione scolastica di “eccellenza” diventa quindi sempre più importante per realizzarsi professionalmente. Le famiglie che possono permetterselo hanno di conseguenza incentivi ad avviare i loro figli verso scuole più prestigiose, ad esempio licei e università privati, magari all’estero.

L’aumento di questa domanda di istruzione esclusiva fa alzare il costo di accesso a queste scuole, rendendole ancor più di élite. Si rischia così di allargare il divario rispetto alle scuole pubbliche o locali perché, di solito, i genitori più istruiti sono quelli che prestano maggior attenzione all’apprendimento dei figli, e questa attenzione può avere un effetto positivo anche sui ragazzi i cui genitori hanno meno mezzi per contribuire a migliorare l’offerta formativa. Ma se gli studenti sempre più frequentato scuole diverse in base alla condizione economica e livello di istruzione dei genitori, questo effetto positivo su chi ha meno mezzi viene meno. Nella rincorsa verso l’eccellenza, la diversificazione e la  segregazione dalla massa, specialmente in alcuni paesi cresce anche l’insegnamento domestico (homeschooling) da parte di precettori specializzati o genitori altamente istruiti (quasi sempre le mamme). Garey and Valerie Ramey della University of California – San Diego definiscono questi processi una gara senza fine (“rat race”).

Una corsa che non si ferma alla preparazione scolastica. La conoscenza delle lingue, i viaggi, le attività extracurricolari, e poi periodi di tirocinio e lavoro in azienda o studi professionali diventano altri strumenti per sviluppare abilità cognitive e non-cognitive, come il lavoro di gruppo, il parlare in pubblico e la capacità di gestire relazioni. Queste attività non solo richiedono, a loro volta, tempo e denaro, ma anche, e qui arriviamo ai “cugini”, contatti con le “giuste” reti sociali - un amico imprenditore o dirigente d’impresa, un parente con uno studio medico, un vicino di casa ingegnere o avvocato.

compagni di classe (sociale)

Proprio per quei meccanismi di omofilia a cui si accennava, ad avere questi legami sono, più spesso, famiglie che appartengono alla stessa classe sociale. Magari perché hanno studiato insieme, o perché i figli frequentano le stesse scuole o le stesse attività extra-scolastiche, oppure sono vicini di casa.

E infatti la segregazione abitativa, con quartieri sempre più omogenei al loro interno ma più diseguali l’uno dall’altro, è un’altra conseguenza della rivoluzione digitale e della sua diramazione nella società, come mostrano gli economisti Enrico Berkes (Ohio State University) e Ruben Gaetani (University of Toronto). Le reti di conoscenze personali e raccomandazioni fra simili quindi rinforzano e solidificano i vantaggi derivanti dalla posizione economica in senso stretto, così rallentando ulteriormente l’ascensore sociale.

Ma la segregazione sociale che accelera la disuguaglianza economica è ulteriormente rafforzata da fenomeni ancora più profondi, dovuti al divario dei valori culturali a cui le classi agiate e quelle subalterne si riferiscono. La European Social Survey e la World Value Survey raccolgono, tramite sondaggi in numerosi paesi, le opinioni dei cittadini su sui quali valori (politici, economici, sociali, religiosi) sono particolarmente importanti per i cittadini.

scarsa mobilità sociale

Daron Acemoglu (Massachusetts Institute of Technology) ha recentemente studiato una regolarità che emerge dai dati di questi sondaggi: gli intervistati con reddito maggiore o più elevati titoli di studio attribuiscono più importanza al valore dell’indipendenza rispetto a quelli dell’obbedienza e del rispetto delle gerarchie, mentre quelli con reddito più basso o meno istruiti hanno scale di valori opposte. Acemoglu sostiene che queste differenze possano essere sia la causa sia la conseguenza della disuguaglianza e scarsa mobilità sociale.

Se una persona poco istruita o con un lavoro meno remunerato, e quindi verosimilmente subalterno, percepisce come molto improbabile che lei, o i suoi figli, possano sperare in condizioni lavorative, di reddito e sociali molto migliori per sé, allora riterranno meno importanti per loro valori come l’autonomia di pensiero e l’indipendenza, e più importanti, data la loro posizione sociale, quelli dell’obbedienza.

Viceversa, chi è in una posizione economica e sociale più elevata riterrà l’indipendenza un valore più importante sul quale puntare, per mantenere la propria posizione di classe dirigente. L’accettazione di una certa gerarchia economia da parte delle classi più deboli può anche tradursi nell’accettazione di un certo ordine politico e quindi a una minore partecipazione al discorso pubblico, a differenza delle classi privilegiate che avranno quindi più influenza nella definizione dell’agenda politica.

L’aspetto che accomuna queste dinamiche sociali e culturali è che, una volta in moto, esse tendono a rafforzarsi ulteriormente e a vicenda, in un meccanismo cumulativo che diventa sempre più difficile da correggere e invertire. In un paese come l’Italia, che tra quelli occidentali è tra i più diseguali e con meno mobilità sociale al suo interno, il rischio dell’immobilismo socio-economico è particolarmente elevato.

il paradosso

Il paradosso è che l’epoca dell’innovazione continua, della eliminazione delle distanze, dell’accesso ubiquo all’informazione e al sapere sta portando a livelli di diseguaglianza, immobilità e segregazione sociale e culturale come non si vedevano da un secolo, in uno scenario che somiglia sempre di più al mondo chiuso e oppressivo a cui si arrende il Mimì di Lina Wertmüller.

Un mondo che non premia davvero le capacità personali ma piuttosto il censo e le reti sociali. Un mondo ingiusto, seppur spesso sostenuto dalla retorica distorta, ideologica e niente affatto neutrale (come si vorrebbe invece far credere) della meritocrazia. E un mondo che non raggiunge il suo potenziale di benessere; non solo perché lascia inespressi talento e idee di chi non ha i mezzi e i “giri giusti” per dimostrarli e condividerli, ma perché corrode il patto sociale del capitalismo democratico secondo cui tutti dovrebbero avere le stesse opportunità e occasioni di riuscita nella vita.

I sempre più numerosi e prestigiosi studiosi che si oppongono all’ineluttabilità e giustificazione morale di questa deriva sono concordi nel sottolineare la necessità di essere più creativi nell’elaborazione di proposte politiche per invertire la tendenza, e nel concludere che non ci sono specifiche misure che, da sole, possano essere sensibilmente incisive, ma serve una combinazione di interventi di diverso tipo e che riguardano diversi momenti della vita delle persone.

le proposte

Dani Rodrick e Stefanie Stancheva (Harvard University), per esempio, discutono l’importanza di interventi a diversi stadi dell’attività economica e a seconda della classe sociale a cui si rivolgono. Misure correttive nella fase di “pre-produzione”, per esempio, includono il rafforzamento della scuola pubblica e l’accesso per tutti agli asili nido, ma anche tasse più elevate su capitale e successioni. Interventi nella fase produttiva e post-produttiva vanno dall’agevolazione per affitti e acquisto della casa alla promozione del ruolo dei sindacati per garantire salari e condizioni di lavoro migliori, dagli incentivi alla formazione in azienda a una maggiore progressività fiscale sui redditi alti, dal salario minimo al reddito garantito.

Matthew Jackson, a sua volta, ritiene che per indebolire gli effetti perversi dell’omofilia e della conseguente segregazione sociale, bisogna agire con una combinazione di strumenti che mirino proprio a rendere meno esclusive e separate certe reti sociali, ad esempio ridurre la segregazione abitativa attraverso sussidi e incentivi alla mobilità e facilitare corsi di perfezionamento e esperienze di tirocinio lavorativo qualificato a ragazzi più svantaggiati.

Nel loro insieme, queste proposte rappresentano una deviazione sostanziale dalla convinzione che i mercati si autoregolino e massimizzino il benessere sociale, che lo stato debba limitare il proprio intervento nell’economia, e che l’astratta garanzia liberale di uguaglianza formale o dei punti di partenza sia, di per sé, sufficiente affinché i cittadini abbiano pari opportunità e realizzino il loro potenziale a vantaggio di tutti.

Sono idee che mettono in discussione l’ordine esistente in nome di una società più giusta, e che in quanto tali, le forze progressiste dovrebbero trovare vicine e promuovere, ma che  sembrano aver trascurato negli ultimi anni. Non possiamo che sperare in un ripensamento, prima che sia troppo tardi.

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