L’agenda energetica del paese si innesta necessariamente in quella europea.

L’Unione europea ha disegnato bene l’indirizzo per affrontare la transizione energetica con il Green Deal, straordinaria svolta economica e politica, la più profonda dopo Maastricht, che nel dicembre 2019 ha preceduto il Covid. Crescita sostenibile è diventato poi uno slogan; ma con questo indirizzo l’Ue aveva creato le basi per una nuova visione di politica economica, di nuove modalità di crescita, di relazione tra i paesi membri. Ha abbandonato l’atteggiamento punitivo  prevalso durante le crisi dei debiti pubblici nei confronti dei PIGS o della Grecia, per aprire la via a valori di solidarietà economica e condivisione. È importante ricordare al riguardo che la sostenibilità della crescita evocata è sia ambientale che sociale.

L’Ue ha proseguito su questa via con il Next Generation EU, il Repower EU, le sanzioni alla Russia, la solidarietà energetica e il flusso reversibile dei gasdotti per sostenere l’approvvigionamento di paesi membri limitrofi, il FIT for 55; fino al Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) che nel maggio 2022 ha stanziato 723.8 miliardi per  finanziare la ripresa delle economie e la transizione ecologica, in preparazione della crescita a emissioni zero al 2050 (un importo suddiviso tra prestiti, 385.8 miliardi di euro, e trasferimenti, 338  miliardi di euro).

Certo, manca ancora molto per definire una politica economica comune, a partire dalla costituzione di un solido bilancio europeo, alle linee di una politica industriale condivisa, a una fiscalità comune; ma l’indirizzo è stato dato, nella direzione giusta, e va seguito. L’Italia lo ha seguito. 

I no del governo

Poi è arrivato il momento di negoziare le singole misure, i regolamenti specifici, le direttive: e qui casca l’Italia.  Vediamo i no recenti del governo, privi di utilità economica, gravidi di disutilità politica, inspiegabili. 

In poche settimane il governo ha dato voto contrario alla Direttiva sull’efficienza energetica e le “case green” il 23 marzo scorso e alla Direttiva di revisione delle emissioni industriali (che include le soglie di inquinamento degli allevamenti intensivi solo il 2 per cento in Italia). Infine si è trovato isolato nel rifiuto del Regolamento per vietare la vendita di veicoli alimentati da benzina o diesel dal 2035, e si è astenuto. Tanto da provocare una reazione pubblica del vicepresidente della Commissione Frans Timmermans che in italiano ha dichiarato che il popolo italiano è più incline alla decarbonizzazione del suo governo.

Con benevolenza, questi voti contrari di minoranza si spiegano con l’assenza di una visione sostanziale e sistemica per utilizzare il Pnrr nella transizione ecologica (una visione che caratterizzò invece l’utilizzo dei fondi del Piano Marshall nel dopoguerra). Vi si legge soprattutto la mancanza di un’agenda di priorità per il paese, una bussola da seguire per l’attuazione della transizione energetica. L’urgenza è oggi, nelle scelte per il Pnrr.

Ben venga dunque l’esigenza di analizzare perimetro e contenuti di una possibile agenda. È questo il contributo che possono dare gli studiosi, gli economisti, i giuristi, riuniti ad esempio nella Rosa Rossa, con gli operatori di settore, sul quale l’opposizione possa fondare la sintesi politica. Propongo una sintesi semplificata degli assi portanti intorno ai quali registrare interventi strategici della transizione ecologica, a partire dal settore energetico.

Bene posizionale

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Se partiamo dai punti di forza del paese per decarbonizzare la crescita ne identifico due da valorizzare nella transizione.

Il primo è quello che gli economisti definiscono «bene posizionale»: la posizione dell’Italia nel Mediterraneo conferisce un vantaggio comparato straordinario tra i paesi membri in Ue, in relazione sia all’approvvigionamento di fonti primarie di energia (rinnovabili e gas), sia alla centralità del paese per lo snodo degli scambi nel Mediterraneo, divenuto ancor più centrale dopo che la guerra ha bloccato le vie di terra del nord. Ricordo tra gli esempi che la Cina ha comprato il porto del Pireo e ha in corso la scrittura di una convenzione con il porto di Trieste, mentre il Canale di Suez è stato raddoppiato per consentire il passaggio di cargo di grandi dimensioni.

Nella diversificazione delle fonti, le grandi riserve di gas trovate nel Mediterraneo sono un privilegio per l’Italia, che ne può usufruire per alimentarsi e per contribuire alle risorse necessarie all’Ue dopo l’azzeramento del gas russo. Questo richiede il nuovo gasdotto (GasMed) che si connette a quelli esistenti e/o si affianca ai rigassificatori esistenti (cinque, di cui due navi disponibili a breve: Golar Tundra a Piombino con cinque miliardi di metri cubi di capacità e Bv Singapore a Ravenna). La struttura di trasporto del gas risulta adeguata, rafforzando le dorsali di Snam che attraversano il paese da sud a nord. 

Potenzialità a parte è quella relativa all’adattamento dei gasdotti per l’eventuale trasporto futuro di idrogeno verde. Le fonti rinnovabili richiedono invece un rafforzamento delle infrastrutture esistenti, con forti sinergie nell’indotto sul territorio delle regioni meridionali.

Sempre dalla centralità nel Mediterraneo deriva la forza dello snodo dei commerci verso l’Europa; implica il passaggio dalla gomma al mare in linea con l’esigenza di ridurre le emissioni dei trasporti. Comporta il rafforzamento delle autostrade del mare (un esempio esistente è quella Catania-Ravenna-Trieste) e la connessione via terra del trasporto delle merci tramite Ferrovie dello stato, prevista nel Pnrr (anche alimentata a idrogeno verde), seppure in quota marginale.

Il sistema dei porti trova una base giuridica-amministrativa predisposta nelle otto zone economiche speciali (Zes) in Sicilia, Sardegna, Puglia, Abruzzo, Molise completate in queste settimane con l’aggiunta del porto di Cagliari. In estrema sintesi, entrambi gli aspetti richiamati richiedono un potenziamento delle infrastrutture in esistenti.

Innovazione diffusa

Il secondo elemento di forza da valorizzare nella transizione sono le straordinaria punte di innovazione diffusa nella filiera energetica del paese. Tra tutte ricordo tre esempi di maggiore dimensione: uno a Catania è la GigaFactory di  pannelli solari, la 3Sun di Enel Green Power, la cui tecnologia di frontiera in Europa a celle HJT (Hetero Junction Technology) aumenta l’efficienza di moduli solari bifacciali e rende i pannelli solari competitivi con la produzione cinese; contribuisce alla costruzione di una catena del valore integrata in Europa, dal polisilicio al modulo. Il secondo esempio di innovazione di frontiera è in Veneto, la sperimentazione nel trasporto merci via terra non inquinante della HyperloopTT: minimizzando l’attrito dell’aria consente il trasporto di merci a una velocità molto elevata (1000 km l’ora), riducendo drasticamente l’inquinamento perché alimentata da fonti rinnovabili. Infine, terzo esempio, la sperimentazione dell’uso di idrogeno verde nel trasporto ferroviario è in corso, mentre tra le fonti rinnovabili rileva la sperimentazione sul territorio dell’uso di fonti geotermiche a bassa entalpia.

Il ruolo della politica

Il rischio è la frammentazione degli interventi. Lo scempio è l’utilizzo dei fondi del Pnrr (il loro sperpero) in una nuvola di azioni “casuali”; poiché i singoli interventi richiedono una regia,  una visione strategica che delinei dove si immagina il paese tra un decennio e dove lo si vuole portare. È il compito specifico della politica, con il supporto dei tecnici che la politica riesce a attivare nel paese.

Il pericolo è che in assenza di una strategia del governo e del parlamento, pressati dalla richiesta della Commissione per rimanere entro tempi ragionevoli e programmati nell’uso del Pnrr, parte dei fondi sia respinta al mittente; oppure sia affidata a “chi sa spendere”, come invocato da alcune regioni rette da burocrazie più manageriali, che certo hanno la competenza  per utilizzare i finanziamenti nel loroa priori all’effetto moltiplicatore straordinario – sociale ed economico – che una strategia nazionale promette oggi dalla transizione ecologica, in così larga parte finanziata dall’esterno, un “dono” prezioso e tempestivo da non disperdere.

Investimenti privati programmati intorno ad assi portanti di investimenti pubblici selezionati hanno un moltiplicatore straordinario, che supera di certo il 2 per cento stimato da Banca d’Italia per l’investimento pubblico attuato in condizioni normali. Lo misura la scienza economica, ma è evidente alla politica, poiché trasforma l’eco-sistema sociale generando per il paese un salto nella storia, come avvenne già una volta nel decennio di trasformazione sociale e economica vissuto nel dopoguerra.

Sprechi e infiltrazioni

Perdere questa possibilità nelle piccole contrapposizioni di governo è un crimine perpetrato, a tutti noi, ai nostri figli e alle generazioni future. Tutte le parti politiche ne sono coinvolte. Sarebbe lo spreco di una occasione straordinaria che trova la popolazione  e le imprese pronte ad agire dopo il sonno forzato imposto dalla pandemia. O peggio, il pericolo è l’intercettazione dei circuiti finanziari da parte di bande malavitose che  si insinuano nei percorsi della corruzione diffusa approfittando dell’assenza di una regia e di controlli sistematici della spesa che ne valutino l’adesione anche capillare a un piano nazionale.

L’uso dei fondi del Pnrr è funzionale al raggiungimento di due obiettivi prioritari che possono disegnare una svolta per il paese. Gli obiettivi politici-sociali offrono una bussola per orientare la transizione.

Unificare il paese

La trasformazione energetica inclusa nel progetto vede due assi portanti intorno ai quali far ruotare gli interventi del Pnrr previsti per la transizione ecologica. 

Il primo è unificare il paese con i progetti del Pnrr valorizzando la complementarietà tra nord e sud nella transizione energetica. Si tratta di rafforzare le dorsali e le infrastrutture già in essere nei piani di investimento 2022-26 delle società di rete, Snam e Terna in particolare per le reti elettriche e il trasporto del gas. Devono essere funzionali alla diffusione locale delle fonti rinnovabili distribuite e alla connessione dei numerosi esempi di innovazione tecnologica sperimentati e attivi in ogni angolo del paese; sono incorporati in aziende che si muovono sulla frontiera tecnologica del settore energetico-digitale; le infrastrutture devono consentire loro di essere connesse per fare sistema, accentuarne il valore aggiunto e creare un eco-sistema favorevole alla crescita sinergica dei territori e del lavoro,  dei servizi. Il loro elenco è fitto e disponibile. 

Insieme ai punti di forza evidenziati sopra, questa visione dello sviluppo del paese si contrappone totalmente a quella delle “autonomie differenziate” avanzata oggi dal governo; al contrario, valorizza le sinergie che si attivano tra le diverse regioni a beneficio del paese con un piano strategico che connetta i punti di forza delle regioni meridionali a quelle centro-settentrionali nella transizione ecologica di industria e servizi sostenuta dall’Ue. Sicilia e Sardegna acquisiscono un ruolo chiave nelle dinamiche attive per il Mediterraneo. 

Partecipare alla transizione

Attivare la partecipazione della popolazione alla transizione ecologica nei territori locali con le Cer è il secondo obiettivo da perseguire con i fondi del Pnrr. Su tutto il territorio nazionale lo sviluppo delle Comunità energetiche rinnovabili è una bandiera importante, chiave della partecipazione dei cittadini. I quali sono resi responsabili e protagonisti nella produzione e nel consumo di energia, nel risparmio ottenuto dalla produzione rinnovabile e nella riallocazione di eventuali utili a beneficio del territorio: le CERR sono società non-profit e ad esse è data la possibilità di rivendere l’eventuale eccesso di energia elettrica prodotta mettendole in rete direttamente attraverso le reti di distribuzione, rese accessibili dall’intervento digitale. I contatori intelligenti sono già disponibili per consentire in tempo reale la lettura dei consumi locali.

La nuova normativa delle Cer è finalmente giunta a compimento e il decreto ministeriale è stato sottoposto all’approvazione della Commissione il 24 febbraio scorso. Arera ha emanato le nuove linee guida che prevedono un tetto di capacità di un MW e l’obbligo di connessione alla cabina primaria.

La governance delle Comunità energetiche rinnovabili è stata da tempo definita dall’Ue per garantire produzione e autoconsumo sul territorio locale e nel Pnrr sono stanziati 2,2 miliardi per contributi a fondo perduto ai comuni sotto i 5000 abitanti e contributi per tariffe incentivanti per tutti. È essenziale attivare questo percorso che da tempo coinvolge le aspettative dei cittadini, e dei comuni, anche per consentire loro di promuovere un risparmio sul costo energetico.

Le forze della sinistra

LAPRESSE

La visione strategica che sottende questi due assi portanti, incentrata sul ruolo delle grandi imprese di settore a partecipazione pubblica e su una moltitudine di medie attività imprenditoriali straordinariamente innovative, si avvicina a quella che portò l’Italia al boom economico del dopoguerra, attraverso un uso sinergico da parte dell’impresa pubblica e privata dei fondi del Piano Marshall negli anni Cinquanta.

È una visione di cui il Pd può essere alfiere e intorno ad essa coagulare le forze del sindacato e dell’opposizione. È un modello economico che unisce il paese, in contrasto con la frammentazione proposta dal governo, facendo leva sui punti di forza dell’Italia.

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