La decisione è stata presa. E i cardinali l’hanno subito commentata. Per loro il fatto che il collega sardo, Angelo Becciu, abbia fatto un passo indietro sulla sua presenza al Conclave del 7 maggio è quasi una benedizione.

La congregazione dei porporati «esprime apprezzamento per il gesto da lui compiuto e auspica che gli organi di giustizia competenti possano accertare definitivamente i fatti». Una dichiarazione, quest’ultima, trapelata dalla pre-adunanza degli alti prelati che si accingono a eleggere il prossimo pontefice.

La vicenda pare dunque essersi chiusa. Ne resta però aperta un’altra ed è quella sul presunto complotto ordito alle spalle dello stesso Becciu, condannato in primo grado a cinque anni e sei mesi per truffa e peculato nel “processo del secolo”.

Secondo Becciu e i suoi legali il procedimento sulla gestione dei fondi vaticani sarebbe stato pregiudicato: lo dimostrerebbero le chat e gli audio, pubblicati nei giorni scorsi da Domani e depositati all’Onu, in cui la lobbista Francesca Immacolata Chaouqui e la sodale di monsignor Alberto Perlasca, grande accusatore di Becciu, Genoveffa Ciferri, si scambiano informazioni che, al tempo, solo gli inquirenti avrebbero potuto conoscere.

Oggi il Times, ricostruisce tutta la vicenda, aggiungendo alcuni particolari. In particolare il giornale britannico ha intervistato l'esperto di diritto internazionale Rodney Dixon KC, che assiste il finanziere Raffaele Mincione, anche lui condannato nel “processo del secolo”: è stato proprio Mincione, tramite gli avvocati, a depositare il nuovo materiale investigativo all’Onu, compreso l’audio in cui Stefano De Santis, commissario della gendarmeria vaticana, sembrerebbe consigliare a Chaouqui quanto Perlasca avrebbe dovuto scrivere all’interno del memoriale d’accusa contro Becciu.

La registrazione «sembra indirizzare il modo in cui monsignor Perlasca ha fatto il suo lavoro e indicare come monsignor Perlasca dovrebbe modificare le sue prove», ha detto Dixon al Times.

«Le nuove prove sottolineano in modo drammatico la gravità del fallimento dell’Ufficio del Promotore di Giustizia [del Vaticano] di divulgare le informazioni rilevanti alla luce delle garanzie di una difesa completa previste dal diritto internazionale dei diritti umani», ha continuato.

Il Times, inoltre, ha anche sottoposto le questioni sollevate dagli avvocati di Mincione al portavoce vaticano Matteo Bruni, che però – si legge nell’articolo - ha rifiutato di rispondere. Mentre Alessandro Diddi, procuratore capo della Santa Sede, ha dichiarato – è quanto scritto dal Times –  che a febbraio scorso la sentenza del tribunale di Londra sulla stessa vicenda «sottolinea la correttezza delle conclusioni raggiunte dal Tribunale vaticano».

Dixon continua. All’epoca «il signor Mincione e il suo team di difesa avrebbero dovuto avere l'opportunità di indagare in modo adeguato sulla questione, se la testimonianza di monsignor Perlasca fosse stata manipolata  – è quanto viene detto al Times - Essendo stata negata questa opportunità, il signor Mincione è stato irrimediabilmente privato della possibilità di scoprire tutta la verità e di far decidere di conseguenza l'esito del procedimento di primo grado». La questione è aperta. Il conclave anche.

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