Il governo sferra di nuovo un attacco a Domani. Dopo la querela di Giorgia Meloni, quella (minacciata) del ministro Giancarlo Giorgetti, è la volta del sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, fedelissimo del leader della Lega Matteo Salvini.

È la terza volta che il leghista prende di mira il giornale. Per la serie di articoli sui rapporti pericolosi con uomini legati ai clan di Latina aveva tentato di portarci in tribunale, ma la procura e il giudice hanno archiviato prima che iniziasse un processo. Ci ha poi querelato anche per un altro servizio in cui davamo conto della condanna per estorsione di un personaggio a lui vicino: la procura di Roma aveva addirittura mandato i carabinieri in redazione per sequestrare lo scritto peraltro rintracciabile sul web.

Un caso che suscitò polemiche, perfino nei palazzi della Ue a Bruxelles e nella stampa estera. Dove si parlò dell’Italia come di un’anomalia per la libertà di stampa. Ora Durigon è tornato all’attacco. Con una diffida del suo avvocato, in cui chiede denaro e la cancellazione dal sito delle inchieste sgradite sulla sua casa di Roma, comprata dall’Enpaia. «Stante, dunque, la grave lesione dell’immagine e della reputazione del Sen. Durigon, con la presente diffido Domani e Emiliano Fittipaldi, in qualità di Direttore Responsabile».

Da qui una serie di richieste. La più particolare è indicata al punto quattro: «Risarcire Durigon dei danni subiti e subendi a seguito delle condotte sopra contestate, al momento quantificabili in € 200.000,00, fatto salvo il maggior danno». Inedita modalità, senza neppure un giudice che valuti eventualmente se gli articoli siano diffamatori o meno, il leghista chiede sull’unghia 200mila euro.

Il metodo non è sconosciuto a Domani, aveva ricevuto una missiva pressoché identica da Eni, il colosso di stato ne voleva 100mila di euro per salvarci dalle cause che avrebbero intentato se non avessimo accettato di pagare. Mai, però, una tale richiesta era arrivata da un politico al governo. Durigon, inoltre, chiede al nostro giornale di «astenersi per il futuro dalla pubblicazione di articoli di contenuto analogo a quello di cui agli Articoli contestati, o comunque articoli che siano suscettibili di ledere la reputazione del mio Assistito», Ma non è finita: esige pure la rimozione degli articoli dal web e dai social.

Infine la richiesta più curiosa: per ogni giorno di inadempienza scatta una penale, 500 euro al giorno in più. A oggi abbiamo già accumulato un debito, oltre ai 200 mila euro, di circa 2mila euro. Se fosse un prestito bancario saremmo oltre la soglia dell’usura. Battute a parte, la missiva si conclude con un monito: «Corre, da ultimo, l’obbligo di informare che, in caso di omesso o negativo riscontro alla presente sarò costretto ad agire presso ogni competente sede per la tutela degli interessi del mio Assistito, con notevole aggravio di costi a Vostro esclusivo carico». In pratica se non paghiamo, se continuiamo a scrivere di lui e se non cestiniamo tutti gli articoli pubblicati, il legale ci farà causa. Per loro siamo già colpevoli.

La casa scontata

Nella diffida l’avvocato del sottosegretario contesta quasi un anno di articoli, otto in tutto: dal primo febbraio 2023, quello del primo scoop sulla casa acquistata a prezzo scontato dalla fondazione Enpaia (l’ente di previdenza degli addetti dell’agricoltura), all’ultimo di novembre scorso sui lavori pagati dall’Ente per ristrutturare casa Durigon. Nell’inchiesta abbiamo raccontato della compravendita dell’immobile in una zona esclusiva di Roma pagato meno di mezzo milione di euro, per una casa di 170 metri quadri, con ampio terrazzo e box auto. In quella zona una metratura del genere può costare fino al doppio.

Nell’inchiesta giornalistica emergeva anche un altro aspetto che tuttora alimenta dubbi su potenziali conflitti di interessi. Durigon ha maturato il diritto allo sconto del 30 per cento in quanto inquilino da più di 36 mesi. Il fatto però è che quando era in affitto in quella abitazione non era lui l’intestatario del contratto, bensì il sindacato Ugl, di cui è stato vicesegretario fino a che non è diventato sottosegretario al Lavoro nel Conte I. Assunto l’incarico di governo, però, ha continuato a pagare sempre Ugl.

«Il caso del Senatore Durigon non ha proprio nulla di speciale, diversamente da quanto vorrebbe far credere Domani», scrive il legale del leghista. In realtà è la carica pubblica e istituzionale ricoperta da Durigon a rendere questa storia di interesse pubblico. Chi ha incarichi di governo non può certo considerarsi un comune cittadino.

All’indomani dei primi due articoli di febbraio, Durigon (al quale è sempre stata data la possibilità di replicare prima della pubblicazione) aveva minacciato querela. Alla denuncia, aveva garantito, avrebbe allegato tutta la documentazione necessaria a smentire ogni riga dei nostri articoli.

Tuttavia, a quasi un anno di distanza, non solo non è arrivata alcuna querela, ma non c’è traccia della documentazione promessa. Al contrario è arrivata la richiesta via lettera dell’avvocato di un risarcimento preventivo.

Per quanto sgradevole, la querela è un atto in cui i giornalisti possono difendersi. La diffida è, invece, un atto con cui il sottosegretario pretende di imporre delle richieste ben prima dell’intervento della magistratura, stabilendo chi ha ragione e chi ha torto. Scopriamo così che Durigon, oltre che sottosegretario al Lavoro, è nel tempo libero pure giudice.

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