La cucina nel tempo si è evoluta. Non è più solo un ambiente domestico funzionale, ma anche un luogo estetico e sociale, passando tra innovazioni tecnologiche, razionalismo e influenze contemporanee
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La storia della cucina, intesa come ambiente della casa, cambia quando cambiano le persone che la abitano. Lo spartiacque da cui non si può prescindere è a metà Ottocento: fino a quando in questa stanza lavorano gli inservienti, non si concede nulla all’estetica, puntando su qualità come l’efficienza e la funzionalità; ma quando, progressivamente, nelle case borghesi la cucina passa di mano e viene gestita direttamente dalla padrona di casa, la cucina, senza perdere l’utile, deve arricchirsi del dilettevole.
Il salto di qualità è evidente nella differenza tra le austere cucine vittoriane, con le loro piastrelle igieniche non proprio eleganti e sempre in un monotono bianco, e quelle della Belle Époque, periodo in cui ci si chiede: va bene la funzionalità, ma se questa stanza diventasse anche bella?
I primi esperimenti non resteranno nella storia dell'architettura: intanto trionfa ancora il total white, si dipinge di bianco praticamente tutto, dai muri ai mobili, persino alle stoviglie. A molti queste cucine ricordano ancora gli ospedali. Sono le donne, chiaramente le più interessate alla problematica, a realizzare le prime tappe di questa vera e propria rivoluzione estetica-funzionale. Nel 1869, le sorelle Catherine e Harriet Beecher, nel loro libro The American Woman’s Home, teorizzano per la prima volta un nuovo concetto di cucina, pratica e replicabile, ma soprattutto tecnologica, per alleggerire il lavoro delle donne. D’altra parte sono gli anni in cui la tecnologia fa degli enormi passi avanti: i nuovi forni a gas e i nuovi utensili ingombrano meno dei vecchi, e per gli architetti c’è più spazio da dedicare alla bellezza. Qualche decennio dopo, nei primi anni del Novecento, si diffondono capillarmente anche i fornelli a gas, pratici e più piccoli di quelli a legna, che spariscono rapidamente. Adesso in cucina è possibile creare bellezza, e così gli architetti migliori cominciano a lavorare anche su questa stanza, fino a quel momento ampiamente trascurata dalle archistar del passato.
Gli anni del Bauhaus
Nel 1923 entra in gioco anche il Bauhaus: la cucina si fa ancora più efficiente e tecnologica grazie a Benita Otte, una designer della celebre corrente architettonica tedesca, che vede nel progresso estetico e tecnologico di quello spazio della casa un possibile riscatto della donna dalla pesantezza e la noia del lavoro domestico. Da Otte prende ispirazione Margarethe Schütte-Lihotzky, la prima donna architetta in Austria, che nel 1929 crea la prima cucina componibile, chiamata La cucina di Francoforte, pensata all’inizio per l’edilizia popolare, al fine di razionalizzare il lavoro di preparazione dei cibi per le classi meno abbienti, ma poi venduta anche nelle case private.
Femminista e attivista, Schütte-Lihotzky intuisce che le donne vorranno sempre meno stare in cucina e sempre più andare in ufficio. La sua cucina ha, rispetto al passato, meno spazio e più efficienza, e fa risparmiare molto tempo: tutto quello che serve deve essere a portata di mano di chi cucina, i ripiani devono essere tutti alla stessa altezza e le dimensioni devono essere limitate, come le cucine dei vagoni-ristoranti da cui l’architetta traeva ispirazione. Delle sue creazioni si costruiscono subito 10mila esemplari, dopo accurate interviste con gli inquilini per capirne esigenze e problemi. Quando La cucina di Francoforte arriva negli Stati Uniti ha un successo enorme. Da quel momento, la cosiddetta “componibile”, a livello mondiale, diventa il modello a cui ispirarsi e sempre più quello spazio insieme geometrico e caldo da non nascondere più all’interno della casa, ma da mostrare con orgoglio.
Innovazione e design
Le aziende cominciano a investire sullo sviluppo della stanza che sta conoscendo i cambiamenti più grandi all’interno delle case della buona borghesia europea e degli Stati Uniti: l’americana Hoosier dai primi del Novecento comincia a produrre credenze e mobili da cucina lineari ed eleganti, con il setaccio della cucina o il porta spezie incorporati, e i piani da lavoro estraibili. Sempre negli Usa, la Kalamazoo inventa lo sportello del forno in vetro trasparente, cosicché chi cucinava poteva controllare lo stato di cottura senza disperdere il calore, con anche un termometro per regolare la temperatura. Erano innovazioni tecnologiche ma anche pezzi di design, innovativi e iconici insieme.
Dagli anni Trenta la cucina si elettrifica in maniera sempre più diffusa, facendo risparmiare ancora più spazio e facilitando la cura estetica dell’oggetto. La psicologa e ingegnera Lilian Moller Gilbreth progetta l’interno dei frigoriferi e trova nel triangolo magico lavello-frigorifero-fornelli lo spazio in cui chi lavora deve avere tutto a disposizione.
Dopo le donne, anche gli uomini rivoluzionano la cucina. Giò Ponti e Piero Bottoni applicano il loro stile razionalista alle cucine per la IV Esposizione Triennale Internazionale delle Arti Decorative ed Industriali Moderne, tenutasi a Monza nel 1930. Nasce così La cucina della casa elettrica, che unisce bellezza e funzionalità, studiata per far muovere chi cucina il meno possibile. Questo piccolo gioiello dell’architettura novecentesca sarà esposto anche al MoMa di New York. Negli stessi anni l'architetto belga Louis-Herman De Koninck progetta la cucina Cubex, brand ancora oggi sul mercato, con gli attualissimi moduli di 60 centimetri.
La cucina del futuro
Quando la guerra sta per finire, Creston Doner crea quella che si credeva potesse diventare la cucina del futuro, esposta dalla Libbey-Owens-Ford Glass Company a Toledo, Ohio, nel 1943. La novità era l’abolizione delle pentole. Si cucinava infatti in moduli predisposti già montati sui fornelli (possiamo immaginare le difficoltà nel pulirli). Pannelli eleganti coprivano inoltre rubinetti, lavelli, fornelli e altri strumenti considerati ineleganti.
Dagli anni Sessanta, la storia dell’ambiente-cucina è davvero una parte rilevante della storia dell’architettura d’interni. Nel 1963 arriva Claudia, la cucina creata da Arclinea che comprende già frigorifero, elettrodomestici e altri elementi di solito venduti a parte. Marco Zanuso nel 1966 inventa E5, la cucina monoblocco, adatta anche a spazi più piccoli (le case cominciavano a restringersi, soprattutto nelle grandi città). Due anni dopo Giancarlo Iliprandi crea la prima isola in una cucina, rompendo il tabù che vedeva i mobili modulari necessariamente seguire la linea delle pareti.
E arriviamo agli anni Ottanta, con la Cucina 35 di Vico Magistretti. Il nome si riferisce alla profondità dei moduli, studiati per poter essere accessibili in maniera facile e con tutto quello che serve sistemato proprio lì in prima fila. La bellissima cappa in vetro serigrafato della 35 era studiata per essere messa anche al centro di una stanza, sopra un’isola, e questo ci spiega quanto a partire da quegli anni la cucina sia stata considerata il nuovo soggiorno, il centro della casa dove si può mangiare, ma anche ricevere gli ospiti e passare una serata in compagnia in un’atmosfera accogliente anche grazie alla bellezza del suo design.
La Japandi
Sicuramente una bella storia, ma tutta occidentale, direte voi. E invece no, perché l’architettura giapponese, con i suoi amori per il vuoto e le linee ultra essenziali, “pulisce” e reinterpreta attraverso i propri canoni lo spazio-cucina, arrivando fino a noi. È il caso della Japandi, l’ultimo trend in materia. Per capire di che si tratta, basta dire che il nome è la fusione tra Japanese e Scandinavian. Japandi è la perfetta sintesi tra la semplicità scandinava e la filosofia orientale che esalta i vuoti e i materiali naturali come lino e canapa. Questo stile in verità riguarda tutta la casa, ma in cucina ha trovato sicuramente la sua realizzazione perfetta. Le cucine Japandi sono realizzate in colori tenui come bianco e beige, perché tutto deve rilassare chi cucina. Sono ammesse delle piccole macchie di nero o giallo, per spezzare i toni dominanti. Alle pareti sono spesso affisse immagini di natura solitaria e silenziosa, il legno è praticamente ovunque, soprattutto frassino e betulla. E poi paralumi in carta di riso, oggetti in argilla e vimini, frutta e verdura come soprammobili. E ancora molti spazi vuoti, perché come insegnano molte filosofie orientali l'assenza è in verità una forma di presenza amica dell'essere umano.
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