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Un tempo focolare della casa, oggi un luogo quasi come gli altri. Eppure, la cucina ha ancora un valore nelle abitazioni del XXI secolo, nonostante la diffusione delle app per il food delivery e la propensione a cucinare sempre meno.

«La cucina è l’ambiente più conviviale della casa, quello dove ancora oggi ci incontriamo e ci raccogliamo con la famiglia e i nostri affetti più cari. In cucina ci sono ancora i ragazzi che fanno i compiti, ci si racconta la giornata appena terminata, si fanno quattro chiacchiere con gli amici», ha dichiarato in un’intervista a Rivista Studio del 2018 Alberto Scavolini, ad del gruppo Ernestomeda oltre che membro del consiglio di presidenza di Assarredo.

Una tendenza ancora più accentuata dal periodo della pandemia di Covid-19, che ha costretto tutti a restare a casa e quindi a tornare a vivere ancora di più gli ambienti domestici.

Immaginario collettivo

La cucina è da sempre uno dei luoghi che più rimane nei cuori e nella memoria delle persone. Marina Abramovic ha dedicato proprio a questo luogo una delle sue performance artistiche più note, The Kitchen. Levitation of Saint Theresa (2009), dedicata a un episodio di levitazione mistica di Santa Teresa d’Avila mentre prepara una minestra, che vuole però anche mostrare il luogo come scrigno della memoria familiare.

La cucina è luogo di sentimenti, dove il far da mangiare per sé stessi si eleva a cucinare quando c’è qualcuno di importante. Uno dei riferimenti cinematografici più noti è L’appartamento, film di Billy Wilder del 1960, vincitore di cinque Oscar, dove si vede il solitario protagonista Jack Lemmon cucinare per qualcuno, Shirley McLaine in questo caso, e scolare gli spaghetti in una racchetta. «Vedo che te la cavi con quella racchetta», le dice lei. «Ah, e non hai visto il mio rovescio», le fa lui sgargiante.

La cucina è però l’ambiente più politico di tutti, quello che ha saputo rappresentare meglio le diverse epoche storiche. Lo dimostra, ad esempio, il kitchen debate, uno dei confronti muscolari più accesi dell’epoca della Guerra Fredda tra il capitalismo americano e il socialismo sovietico, avvenuto all’American Exhibition di Mosca nel 1959. In un modello di casa americana superaccessoriata, dove c’erano televisione a colori, lavastoviglie, aspirapolvere e telecamera per controllare i bebé, tutti azionabili “con un bottone”, ci fu uno storico botta e risposta tra il padrone di casa Nikita Krusciov, segretario del Pcus in quel periodo, e il vicepresidente degli Stati Uniti Richard Nixon.

«Voglio mostrarvi questa cucina. È come quelle delle nostre case in California», dichiara il vicepresidente americano, mostrando la Miracle Kitchen costruita per l’occasione (ma poi mai entrata in produzione). Indicando poi una lavastoviglie, Nixon continua: «Questo è il nostro modello più recente. Questo è il tipo che viene costruito in migliaia di unità per installazioni dirette nelle case. In America, ci piace rendere la vita più facile alle donne». Secca la risposta di Krusciov: «Il tuo atteggiamento capitalistico verso le donne non esiste sotto il comunismo».

Una differenza tra le parti ancora più accentuata dall’ironia del segretario del Pcus che, guardando tutti i lussi tecnologici americani, chiede poco dopo alla controparte statunitense se ci fosse anche «una macchina che mette il cibo in bocca alla gente e lo manda giù».

Una scena assai differente da quella di appena un secolo prima dove la cucina, come racconta Ippolito Nievo (1831-1861) in Confessioni di un italiano, era fuligginosa, enorme e oscura con pentole di rame ai muri, gatti bigi e neri che l’attraversano e che «gli davano figura di un laboratorio di streghe». Un’evoluzione incredibile che parte però da più lontano.

La cucina nella storia

A cambiare tutto fu infatti il fuoco, quello che ha cambiato la storia umana e che «differenzia l’essere umano dall’animale, che si ciba della cruda carne della caccia, estirpa bruchi ed erba dal terreno o foglie dagli alberi», si racconta nel libro La cucina. Storia culturale di un luogo domestico, scritto da Imma Forino, professoressa di architettura di interni al Politecnico di Milano ed edito nel 2019 per Einaudi.

Il passaggio che ha visto duecentomila anni fa l’Homo erectus iniziare a cuocere il cibo «è stata la transizione dalla natura alla cultura e il vero e proprio inizio della storia della cucina. In essa ritroviamo la storia dell’umanità e dei rapporti tra uomo e donna», racconta Forino. Un punto sul quale concorda anche Lorenzo Domaneschi, professore associato di sociologia della cultura all’Università di Milano Bicocca e autore del libro Fare cucina: la cultura della qualità alimentare tra arte e artigianato per Carocci (2021). «Le grandi trasformazioni storiche che ha attraversato la cucina sono iniziate con il fuoco, che ha permesso la cottura dei cibi e che ha conseguentemente trasformato le dinamiche umane, favorendo la riunificazione intorno ad esso», dice Domaneschi.

Da qui inizia una netta separazione dei ruoli tra uomo e donna. «Il fuoco è un dispositivo di potere che distingue subito le parti, tra chi lo governa, gli uomini, e chi invece può semplicemente usarlo, ma non orientarlo, cioè le donne. Uno strumento chiaro che evidenzia le disuguaglianze», evidenzia Domaneschi.

Nelle spelonche come nelle ville romane, negli accampamenti militari come nelle abbazie e nei palazzi reali, il luogo dove cuocere e cucinare ha avuto sempre una sua centralità, sebbene fosse spesso «separato dai luoghi di rappresentanza nelle case altolocate, dove a operare era soprattutto la servitù», continua Forino.

Un elemento, anche questo, che racconta al meglio la società del tempo: «In questo contesto si notano perfettamente come le disuguaglianze di genere si intreccino con quelle di classe, dove c’erano coloro che lavoravano e i signori che godevano dei piaceri del cibo. Anche tra la servitù però si notavano le distinzioni di genere tra chi svolgeva i lavori più umili, destinati alla componente femminile, e gli altri», evidenzia Domaneschi.

Per secoli, l’aristocrazia e le élite hanno voluto tenere lontani odori, fumo, rumori e la vista, o persino il contatto, con la servitù, lo sporco e il disordine. Per questo, le dimore si riempivano di disimpegni, dispense e passavivande che creavano una barriera tra cucina e padroni o ospiti.

Soltanto negli anni Venti del Novecento si assiste al ritorno della cucina al centro della casa con la proposta dell’architetto modernista Adolf Loos di preparare soltanto pietanze «dal profumo gradevole» che vuole rompere l’isolamento di questo luogo in una visione più funzionale e razionale degli spazi abitativi. Un preludio alla situazione attuale.

Evoluzione e prospettive

Oggi la cucina ha subito un ulteriore evoluzione. Per Forino, «oggi è un luogo unico con il soggiorno: si continua ancora a cucinare, ma si svolgono anche altre attività familiari e sociali». La sua prospettiva quindi è cambiata. «Il concetto stesso di cucinare è profondamente diverso, grazie ad elettrodomestici sempre più intelligenti e comandabili dallo smartphone, e all’intelligenza artificiale, destinata a essere sempre più usata anche in futuro. Anche a causa dello sviluppo del food delivery, soprattutto nelle grandi città, la cucina e gli elettrodomestici, in particolare il forno a microonde, sono visti soprattutto nell’ottica di una velocizzazione dei tempi di preparazione dei pasti e di riscaldamento dei cibi, con il risultato di cucinare meno», sottolinea Forino.

Già oggi, sostiene la docente del Politecnico, c’è una netta differenza «tra le cucine proposte, sfavillanti e ipertecnologiche e con materiali sempre più ricercati, e le esigenze di chi acquista, che hanno spesso budget insufficienti». A oggi il comparto cucina in Italia vale tra i 2,4 e i 3 miliardi di euro, il 10 per cento circa dei 25 miliardi di euro di valore del settore arredamento.

Il 65 per cento delle cucine prodotte in Italia è destinato al mercato interno: alcune stime prudenziali parlano di 350-400mila cucine vendute ogni anno in Italia, con una differenziazione netta a seconda delle fasce di prezzo, tra marchi di fascia alta e medio-alta, come Veneta Cucine, Lube e Scavolini, e altri più economici, come Ikea e Mondo Convenienza.

Ma la cucina resterà così? Da tempo si discute del futuro assetto di questo luogo iconico: nel 2018 il quotidiano britannico The Guardian evidenziava la lenta evoluzione della cucina nel corso del tempo e la contestuale riduzione delle metrature, sottolineando come nelle case britanniche abbia raggiunto livelli che non si vedevano da 80 anni e che lo spazio dedicato alla preparazione del cibo fosse appena il 13 per cento. Dello stesso anno è anche un rapporto della società svizzera Ubs dal titolo emblematico, The End of the Kitchen?, che immaginava un futuro in cui «la maggior parte dei pasti attualmente cucinati a casa saranno ordinati online e consegnati da ristoranti o cucine centralizzate» a causa dell’esplosione delle app di food delivery, con il costo di un pasto portato a casa che quasi equivarrà a quello di uno cucinato in loco.

Una tendenza in parte verificatasi con gli anni della pandemia, che però hanno anche visto la riscoperta della cucina come ambiente. «Quando parliamo di abitazione, non c’è problema se si elimina il soggiorno o una camera da letto, ma se si tocca la cucina si genera una reazione avversa molto curiosa, perché sono state instillate con valori legati alla famiglia nel corso del XX secolo», ha spiegato ad ArchDaily Anna Puigjaner, un’architetta spagnola che nel 2016 ha vinto una prestigiosa borsa di studio alla Harvard University School of Design con un progetto dal titolo Kitchenless City: Architectural Systems for Social Welfare. Come sottolinea Domaneschi, «la cucina resta un punto di vista interessante, un laboratorio sociale utile per capire cosa avviene e cosa avverrà nel mondo contemporaneo. Anche se ha cambiato forma resta utile per capire chi siamo e dove stiamo andando».

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