Alla quarta votazione, i cardinali riuniti nella Cappella Sistina hanno scelto il cardinale statunitense come nuovo pontefice. Per tutto il suo servizio si è distinto per la sua attenzione alle comunità locali e che segna una forte continuità con Francesco
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«Habemus Papam»: il momento più atteso da milioni di fedeli in tutto il mondo è arrivato, il nuovo pontefice sarà Robert Francis Prevost con il nome di Leone XIV. Il 266esimo successore di Pietro al soglio pontificio sarà così il primo papa statunitense della storia della chiesa: l’annuncio è arrivato intorno alle 19.15 da Dominique Mamberti, il cardinale protodiacono.
La visione della chiesa di Leone XIV, vicino agli ultimi e aperta, lo pone in forte continuità con Bergoglio, a cui lo legava un rapporto di fiducia e stima reciproca dimostrato anche dalla sua nomina al Dicastero per i Vescovi. Il motto episcopale scelto dal nuovo papa è «in Illo uno unum» (nell’unico Cristo siamo uno) che richiama l’esposizione di Sant’Agostino sul salmo 127: «Parlando a dei cristiani, sebbene siano molti, nell’unico Cristo io li considero una sola unità – si legge nel testo – voi dunque siete molti e siete uno; noi siamo molti e siamo uno. In che modo, pur essendo molti, siamo uno? Perché ci teniamo strettamente uniti a colui del quale siamo membra, e se il nostro Capo è in cielo lassù lo seguiranno anche le membra.»
Chi è Prevost
Quello di Prevost è un ministero che travalica i confini e attraversa i continenti. Nato a Chicago nel 1955 da madre di origini spagnole e padre di origini francesi e italiane, Leone XIV è considerato una figura in grado di unire rigore dottrinale, compassione pastorale e una visione missionaria del Vangelo.
Visione che lo ha portato nel 1985, dopo essere divenuto sacerdote nel 1982, a servire come parroco in Perù accumulando così un'esperienza pastorale significativa in un contesto culturale e sociale profondamente diverso dal suo paese d'origine. Rimasto nel paese sudamericano per quattordici anni, tornò nella sua città natale come provinciale della provincia agostiniana locale.
Ma i suoi anni in Perù hanno segnato profondamente il suo servizio tanto che nel 2014 papa Francesco lo ha nominato vescovo di Chiclayo e, sei anni più tardi, amministratore apostolico della diocesi di Callao riconoscendo la sua dedizione e il suo amore per il paese sudamericano. Un incarico, quest’ultimo, particolarmente delicato perché la diocesi di Callao era governata fino a poco prima da mons. José Luis Del Palacio, spagnolo, appartenente al Cammino neocatecumenale e assai vicino all’ex arcivescovo di Lima Juan Luis Cipriani, dell’Opus Dei, sostituto da Francesco nel 2019. Monsignor Del Palacio era stato chiamato alla guida della diocesi di Callao da Benedetto XVI nel 2011, ricevendo poi la consacrazione episcopale dal card.
Antonio Maria Rouco Varela, vescovo di punta della corrente conservatrice della Chiesa spagnola.Tuttavia, l’allontanamento voluto da Bergoglio è avvenuto prima che Del Palacio compisse i fatidici 75 anni, età oltre la quale diventava anche formalmente pensionabile secondo il Codice di diritto canonico.
Le sue dimissioni anticipate sono state contestate duramente dalla galassia tradizionalista che ha visto nel gesto del papa un atto d’imperio, un diktat, contro un ecclesiastico colpevole di opporsi alle correnti più progressiste della Chiesa del Sud America. È vero in ogni caso che Del Palacio era fortemente criticato da diversi gruppi di fedeli della diocesi di Callao e che le sue posizioni pubbliche contro una Chiesa impegnata in favore dei poveri e della giustizia sociale avevano creato conflitti e tensioni.
La stima di Bergoglio per Prevost è proseguita per tutto il suo pontificato e lo ha portato nel 2023 a nominarlo prefetto del Dicastero per i Vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l'America Latina. Un ruolo cruciale nel processo di selezione e supervisione dei vescovi in tutto il mondo che ha influenzato significativamente la realizzazione della riforma della chiesa sognata dal pontefice.
La sua visione della chiesa, più volte ribadita, non può che mostrare un segno di forte continuità con il suo predecessore: «Il vescovo è un pastore vicino al popolo, non un manager. Spesso ci siamo preoccupati di insegnare la dottrina, ma rischiamo di dimenticare che il nostro primo compito è comunicare la bellezza e la gioia di conoscere Gesù».
La sua visione
Durante il cammino sinodale, Prevost ha più volte riflettuto sulla necessità di portare la chiesa verso una maggiore inclusività. Una visione che emerge anche nel modo in cui affronta il dibattito sull'ordinazione femminile: «La clericalizzazione della donna non necessariamente risolve il problema, anzi potrebbe crearne uno nuovo», ha affermato, invitando la Chiesa «a guardare a una concezione diversa della leadership e del servizio».
Una visione che, per un sacerdote da sempre vicino alle comunità, lo ha portato anche a sottolineare la necessità di una chiesa vicina agli ultimi e alle sue ramificazioni. «La Chiesa universale – sostiene il nuovo pontefice – non va vista semplicemente come il totale dei pezzi di tutte le parti; essa è presente in ognuna delle chiese locali. Non dobbiamo cercare di capire questo come una questione di matematica o geografia, ma vederlo a un livello più profondo di comunione».
Parole che riflettono una visione della Chiesa come comunità unita, aperta al dialogo e radicata nella speranza. E la speranza più grande è quella per un mondo in cui domini la pace, come da lui sottolineato in occasione della memoria liturgica di Santa Rita a Cascia: «Santa Rita ci aiuti ad avere il dono della pace nel mondo, specialmente in Medio Oriente, in Ucraina e in tanti posti dove il grido degli innocenti non viene ascoltato».
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