Luciana Lamorgese è ministra dell’Interno dal settembre 2019, responsabile del ministero nel secondo governo Conte, quello giallorosso, e confermata nell’esecutivo allargato, a guida Mario Draghi.

Pochi mesi dopo il suo insediamento è arrivata la pandemia con il lockdown, le chiusure, i controlli conseguenti poi le proteste e i cortei: no-vax, fascisti, operai e studenti. Quella che era stata battezzata come la scelta migliore, si è trasformata nel governo in una casella tanto scottante quanto intoccabile pur di garantire equilibri e rapporti istituzionali.

Lì in quel ruolo è arrivata anche grazie alla moral suasion esercitata dal Quirinale e da Ugo Zampetti, influente consigliere del Presidente, segretario generale della presidenza della Repubblica. La prima scelta che avrebbe accontentato tutti era quella di Franco Gabrielli, attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla sicurezza, una scelta, grazie anche alla sensibilità dell’interessato, che è saltata perché il passaggio da capo della polizia di Stato a ministro dell’Interno appariva inopportuno.

Lo stesso Gabrielli si complimenta e benedice la nomina di Lamorgese: «la conosco da tempo e mi sono sempre trovato bene». Escluso Gabrielli, la scelta è caduta sulla prefetta, consigliera di Stato, Luciana Lamorgese.

Con il passare dei mesi i fallimenti nella gestione dell’ordine pubblico si sono moltiplicati, le criticità mai affrontate dalla politica e dai partiti nella gestione delle piazze si sono aggiunte a una gestione statica e immobile.

La ministra più che responsabile è diventata testimone di disastri gestionali, ma è rimasta al suo posto superando abilmente le critiche del predecessore, Matteo Salvini, e quelle dei democratici arrivate dopo le manganellate inferte dalla polizia, in piazza, agli studenti.

Ma i crani feriti di ragazzi inermi sono solo l’ultima immagine, l’acme di sangue e violenza di mesi nei quali l’ex prefetta di Milano ha collezionato fallimenti, senza mai individuare un responsabile, sposando la logica del vuoto decisionale.

«La concezione prefettizia, che è anche quella di Lamorgese, è troncare e sopire, rinviare e scaricare, una concezione che ha un problema quando deve confrontarsi con la complessità della realtà. Non è solo questione dei fallimenti nella gestione dell’ordine pubblico, ma l’immobilismo è evidente anche su altre questioni chiave», ragiona un influente esponente di maggioranza.

Ma prima di prendere in esame buchi e falle nella gestione bisogna riavvolgere il nastro e tornare a due anni fa. «Ora è inamovibile perché metterla in discussione significa piazzare un siluro sotto il governo, ma bisogna capire il perché della scelta di una tecnica che quasi tre anni fa aveva senso, ma che oggi appare problematica, anzi un vero boomerang per i partiti e per il paese», aggiunge.

Sterilizzare il Viminale

Lamorgese come tecnica aveva un obiettivo, pienamente raggiunto, quello di sterilizzare il ministero, procedere a una lenta desalvinizzazione. «I partiti prima hanno preferito sfilarsi per evitare di assegnare a un  politico quel ministero e, successivamente, l’hanno lasciata lì perché rappresenta un valido parafulmine in un periodo di sollevazioni, proteste e inevitabili scontri di piazza», dice un funzionario di polizia.

Nessun politico avrebbe superato indenne questo periodo, ma la ministra ci è riuscita dribblando con artifici dialettici ogni carenza gestionale, riuscendo a evitare scontri interni e restando nell’ombra. Un’ombra dalla quale le tocca uscire sempre più di frequente perché le piazze brulicano di tensione e proteste.

Matteo Salvini aveva stressato il ministero, il dicastero più politico che c’è visto che si occupa di diritti e libertà civili. Dopo il leghista che andava in giro a farsi selfie con i poliziotti, vestito con felpa di ordinanza, firmava i decreti sicurezza, inaspriva le misure contro le navi che salvano migranti, bisognava sminare da scorribande quel ministero evitando nuovi protagonismi salvaguardando così la sicurezza pubblica.

Lamorgese, benedetta dal Colle, diventa garanzia per i partiti dopo la stagione di Salvini finita rovinosamente con il ministro a petto nudo che mette dischi al Papeete. Lamorgese libera dalla propaganda il dicastero, riassesta i rapporti tra il mondo prefettizio e quello della polizia, rasserena e garantisce l’apparato di sicurezza dal quale proviene avendo percorso la strada della carriera di relazioni e di palazzo.

Prefetta di Venezia, nel 2013 diventa capo di gabinetto del ministro Angelino Alfano, confermata dal successore Marco Minniti che la nomina prefetta di Milano, nel 2017. Quando va in pensione viene nominata dal primo governo Conte consigliere di stato prima di diventare ministra all’arrivo dei giallorossi.

 Ma oltre a svelenire il clima cosa è realmente cambiato e cosa è successo in questi quasi tre anni? Per capirlo bisogna partire dal mare, dai soccorsi e dai migranti che muoiono. Il tema che Salvini aveva trasformato in terreno di contesa elettorale giocando a fare il duro con i disperati.

Tutto uguale, anzi peggio

«La verità è che non è cambiato quasi nulla. Le capitanerie di porto, nonostante le competenze, hanno perso quel ruolo centrale nel soccorso. Certo non c’è più la propaganda becera, non c’è più una modalità urlata, ma questo paradossalmente rappresenta un aggravamento della situazione perché il tema non è più al centro del dibattito pubblico e il soccorso diventa solo una questione che discutono gli addetti ai lavori. Gli ostacoli restano gli stessi della stagione targata Salvini, la gravità è la medesima, i migranti continuano a morire in mare, ma tutto avviene nel silenzio generale», dice Vittorio Alessandro del comitato per il diritto al soccorso.

Alessandro per anni ha organizzato il salvataggio di vite umane, ha servito lo stato da ammiraglio, oggi in congedo. Il comitato di cui fa parte vanta altri componenti di rilievo come il senatore Luigi Manconi, lo scrittore Sandro Veronesi, costituzionalisti ed ex magistrati come Armando Spataro.

«Gli immigrati restano dei clandestini anche se non viene dichiarato apertamente. Le navi ong raggiungono le banchine dopo giorni di attesa, ma non ottengono un luogo sicuro, come previsto dalla convenzione di Amburgo, ma un porto di destinazione. Viene riservata una qualunque banchina con le stesse modalità che vengono riservate alle navi commerciali.

Anzi peggio. Una nave che porta banane ha una priorità maggiore di una che salva migranti. E questo succede oggi non ai tempi di Salvini ministro», dice Alessandro.

Poche settimane fa sette migranti sono morti per ipotermia mentre erano su una imbarcazione, ma ci sono anche altre questioni che restano senza risposta: l’uso delle navi quarantene e in generale l’assenza di una visione d’insieme del tema, completamente cancellato dall’agenda.

«A mare, come dicono i pescatori, stanno bene solo i pesci. Quando c’è una nave con persone a bordo bisogna farla attraccare subito senza attesa, senza perdita di tempo. Il tema non deve essere affrontato con una logica emergenziale, ma bisogna avere una capacità di gestione che non c’è», conclude Alessandro.

Salvini ha continuato ad attaccare Luciana Lamorgese per gli sbarchi, ma in realtà ha contribuito a rafforzarla. «Se tu critichi aspramente la responsabile del Viminale, ma non presenti una mozione di sfiducia in realtà stai abbaiando alla luna costringendoci di fatto a difenderla o comunque a mitigare le critiche», dice un esponente dei democratici.

Se in mare è un disastro, con morti e tragedie continue, a terra con l’ordine pubblico il fallimento è ciclico. Un fallimento che non può prescindere da vuoti giuridici e organizzativi, non affrontati e continuamente rimandati da ogni governo.

La sicurezza modello Termopili

Il modello Lamorgese si inserisce in un quadro di mancanze. «Ci sono mancanze nella cornice giuridica, le norme sulle manifestazioni risalgono agli anni trenta, ogni violazione è punita con una contravvenzione, ma a questo si associa la carenza di equipaggiamenti, la strumentazione di ordine pubblico è stata abbandonata, i cavalli sempre meno, gli idranti pochi, all’estero dispongono di tute protettive, noi non abbiamo neanche i caschi radiocollegati.

Bisogna evitare lo scontro, l’avvicinamento, ma il combinato disposto della tenuità normativa che non funziona da deterrente e la penuria di uomini e strumentazione spiegano in parte i ripetuti fallimenti. In piazza gli agenti vanno ancora con scudo e manganello, sembriamo tornati alle Termopili», dice un funzionario di polizia.

A questo si aggiunge un’altra assenza. «Manca una reale comunicazione tra le forze dell’ordine in campo e con 20 mila persone in piazza diventa impensabile garantire l’ordine pubblico. La normativa era inadeguata negli anni settanta e oggi diventa superata visto che le persone si danno appuntamento sui social e possono ritrovarsi in un attimo e occupare una piazza, cambiare percorso evidenziando le fragilità degli apparati di sicurezza. Questa è la premessa poi c’è il vuoto della politica, la polizia si trova a supplire alla capacità di ascolto, mediazione e concertazione. Un disastro, basti pensare all’assalto alla Cgil», aggiunge.

Nove ottobre 2021, la Digos avvisa, i precedenti consigliano contingenti rafforzati, ma la piazza viene sottovalutata e i fascisti, guidati da Giuliano Castellino, Roberto Fiore assaltano la sede del primo sindacato italiano, a Roma, in pieno giorno. Un fatto incredibile, ma in nome del motto ‘trattare e sopire’ nessuno ha pagato le conseguenze di quanto accaduto.

Il questore fusibile del sistema

Il primo errore, raccontato proprio da Domani, riguarda il contingente di forze dell’ordine disposto nelle strade. Per fronteggiare i facinorosi, consentire lo svolgimento regolare del corteo contro la certificazione verde e garantire il diritto costituzionale di manifestare c’erano solo venti militari dei reparti mobili dell’arma dei carabinieri.

All’inizio della manifestazione i venti carabinieri dei reparti mobili non erano presenti in piazza del popolo da dove partono i fascisti per devastare e occupare la sede della Cgil, ma altrove. La previsione di un numero ridotto di manifestanti è stata sbagliata e non sono bastati i 600 poliziotti. Il secondo errore attiene alla gestione della piazza.

Quello che è successo nelle strade della città eterna racconta di un drappello di neofascisti in grado di intestarsi un’avanzata inarrestabile. «Guardi non voglio parlare di chi ha gestito l’ordine pubblico, ma una cosa così io non l’ho mai vista», racconta un ex prefetto della capitale.

Nessuno fornisce spiegazioni.  La prefettura non parla, fa sapere che le aliquote di personale da utilizzare vengono disposte di concerto con la questura, la questura non fornisce spiegazioni in merito all’evento di sabato 9 ottobre. Così tocca alla ministra andare in aula.

«Devo escludere l'inquietante retroscena su infiltrati alla manifestazione, c'erano agenti in borghese appartenenti alla Digos con compiti di osservazione e monitoraggio, agli stessi compiti era addetto anche l’operatore in abiti civili che appare in alcuni video diffusi sui social durante l’azione di alcuni esagitati che intendevano provocare il ribaltamento di un furgone della polizia. In realtà l’operatore stava verificando che la forza scaricata sul mezzo non riuscisse effettivamente nell’intento», dice mentre l’aula la interrompe protestando.

La Cgil non la attacca mai frontalmente mentre Daniele Tissone, il segretario del sindacato di polizia, a Domani parla di «perenne situazione di emergenza per l’assenza di una legge organica sulle manifestazioni, richiesta, ma mai approvata dalla politica». Matteo Salvini risponde all’informativa accusando la ministra di scaricare le responsabilità su chi sta sotto, ma i malumori sono diffusi.

«Alla fine il questore, il poliziotto è il fusibile del sistema, come la luce dell’albero di natale, costretta a bruciarsi per salvare le altre luci, in primis la politica. Comunque un ministro politico non avrebbe mai scaricato i suoi uomini», dice un funzionario di polizia. Dopo il nove ottobre restano, comunque, al loro posto questore e prefetto, quest’ultimo, Matteo Piantedosi, già capo di gabinetto di Salvini ministro.

Capodanno e sorveglianza

Non c’è solo il nove ottobre. Mentre Castellino e Fiore assaltavano la Cgil indisturbati, a Cosenza e non solo, il dissenso sociale viene contenuto con l’uso di misure della sorveglianza speciale. È il destino toccato, tra gli altri, a una giovane attivista, responsabile di occupazioni di stabili pubblici per assegnarli a povera gente senza casa.

Si tratta di Jessica Cosenza, raggiunta da una proposta di sorveglianza speciale, ora al vaglio del tribunale. Manifesta Jessica, si batte per una sanità decente, per alloggi popolari e sbaglia occupando case, manifestando senza le necessarie autorizzazioni e così, per la questura, la sua ‘ascesa delinquenziale è inarrestabile e risulta pericolosa socialmente. Il tribunale deciderà se accogliere o meno la proposta avanzata dalla locale questura.  

Piovono multe per assembramenti e presidi contro le misure del governo, lo sfascio sanitario in Calabria mentre la regione piange la morte di una bambina di due anni, deceduta all’ospedale Bambin Gesù di Roma perché in Calabria non sono state attivate le terapie intensive per i più piccoli.

Torniamo ai fallimenti nella gestione dell’ordine pubblico che non si limitano all’assalto alla Cgil. A capodanno, a Milano, una decina di ragazze vengono molestate durante i festeggiamenti per l’arrivo del nuovo anno e a chiedere scusa per l’ignobile violenza perpetrata da bande di ragazzini indisturbati è il sindaco della città Beppe Sala. Oggi è previsto l’arrivo della ministra a oltre 30 giorni dai fatti per partecipare a un incontro in prefettura sulla sicurezza in città attraversata da guerre tra bande e scene da far west come quella dei giorni scorsi con i poliziotti che hanno inseguito cinque persone che non si sono fermate all’alt. Inseguimento che si è concluso con il ritrovamento di un mitra Uzi in strada.

«La gestione dell’ordine pubblico paga l’assenza di decisione e guida, questo produce schizofrenia nelle risposte, a volte lassismo, altre manganello», dice l’esponente influente della maggioranza di governo. La schizofrenia che ha portato dal lassismo di ottobre con i fascisti indisturbati fino alle manganellate gratuite sulla testa degli studenti che protestavano per l’alternanza scuola lavoro e per la morte dello studente Lorenzo Parelli, schiacciato da una lastra d’acciaio di 150 chili mentre era all’ultimo giorno di stage in fabbrica.

«Purtroppo alcune manifestazioni sono state infiltrate da gruppi che hanno cercato gli incidenti. Dobbiamo quindi operare per evitare nuovi disordini», dice la ministra dopo le polemiche. Le immagini non mostrano infiltrati ma teste sanguinanti, pestaggi, manganellate. Parole che hanno scontentato tutti anche diversi esponenti del Partito democratico. Sulla difesa di Lamorese il Pd è in grossa difficoltà, non solo per le risposte fornite sui manganelli in testa agli studenti.

Al ministero si impone lentamente la cordata prefettizia, i tecnici allargano la sfera d’influenza e questo, non solo al Viminale, sta diventando un problema. Oltre all’ordine pubblico sono diversi gli errori contestati: il mancato scioglimento di Forza nuova, la stasi sulla questione immigrazione, la nomina del leghista Roberto Maroni a capo della consulta istituita contro il caporalato, ma anche l’immobilismo sulla riforma degli enti locali.

Al momento, però, non sembra esserci altra strada che rinnovare la fiducia alla ministra. In fondo ai partiti questo caos non rappresenta solo un problema, ma una manna dal cielo. Cadranno su una prefetta, senza pretese di rielezione, le responsabilità della gestione delle piazze, del dissenso che monta, del disagio sociale e anche degli innumerevoli fallimenti. La ministra testimone, alla fine, fa comodo a tutti. 

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