«Roma, 25 novembre 2025: non c’è niente da celebrare, solo un mondo da trasformare». A dirlo sono le attiviste di Non una di meno che nella Capitale, insieme al collettivo di transfemminista di docenti precarie e di ruolo, Cattive Maestre, si sono radunate sotto il Ministero dell’Istruzione e del Merito, in viale Trastevere, per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Con l’obiettivo di costruire, insieme con la cittadinanza «una lezione collettiva di educazione sessuo-affettiva, proprio dal luogo in cui il ministro Giuseppe Valditara sta provando in tutti i modi a limitarla, perché l’unica prevenzione alla violenza patriarcale è l’educazione sessuo-affettiva», spiega Vanessa, insegnante e attivista dell’organizzazione transfemminista che per «sabotare guerre e patriarcato», dopo il corteo nazionale nel cuore di Roma lo scorso 22 novembre, ha organizzato mobilitazioni in 60 città del Paese per il 25 novembre, da Alba a Verona.

Vanessa, che oltre a esser un’attivista di Non una di meno è anche un’insegnante, preferisce non rendere noto il suo cognome, non rendersi riconoscibile, proprio come tutte le altri docenti presenti al presidio perché «sebbene non siamo in grado di comprendere i motivi, ci sta piovendo addosso una montagna di provvedimenti disciplinari», spiega al megafono Giulia, di Cattive Maestre, che tiene il filo della «lezione capovolta, cioè uno spazio per formarci insieme sull’educazione sessuo-affettiva, necessario per contrastare la violenza di genere. Vogliamo rompere il muro dell’impotenza, iniziamo oggi dando voce a chi chiede che ci siano lezioni in ogni scuola», dice tra gli applausi, subito dopo aver ribadito che la scelta del luogo della lezione collettiva non è casuale.

«Siamo qui perché chiediamo ascolto, quello stesso ascolto che leggiamo tra le parole apparse sulla scalinata», dice Giulia con pungente ironia, facendo riferimento al fatto che il Mim per il 25 novembre non si è solo tinto di un rosso talmente acceso da offuscare la vista dei partecipanti alla mobilitazione ma anche dotato di due maxischermi su cui le parole della campagna del governo contro la violenza sulle donne si sono alternate alle immagini della maratona “Corri libera” organizzata per il 23 novembre. Le stesse parole, - “sicurezza, “fiducia”, “ascolto”, “empatia”, ad esempio - si ripetono lungo la scalinata che serve per entrare la ministero.

«Punire non basta. Per eliminare la violenza sulle donne serve trasformare la relazione uomo-donna, per questo dobbiamo iniziare facendo tre cose: lottare affinché luoghi della formazione, delle relazioni, delle chiacchiere anche da bar siano luoghi per una costruzione diversa delle relazioni tra i generi, di rottura dei rapporti di potere. Spostare l’ambito di intervento capendo come si può veramente sostenere chi subisce violenza. Ragionare sul tema della giustizia, che cosa è per noi?», dice l’avvocata Tatiana Montella, mentre alla Camera si discute sul ddl femminicidio che nel frattempo è diventato legge, nell’intervento che apre la lezione a cui sono invitati a partecipare tutti, affinché il risultato sia di tutti.

A catturare l’attenzione dei partecipanti riuniti a semicerchio di fronte all’ingresso del Mim, fermi ad ascoltare nonostante l’aria fredda di novembre e momenti di pioggia fine, gli interventi che hanno riportato alla pratica, alla realtà quotidiana, il significato e l’importanza dell’educazione sessuo-affettiva: la necessità di parlare di temi che altrimenti resterebbero silenziati, seppur influiscono profondamente nelle vite di ciascuno.

«Una volta su Discord mi hanno costretto a mandare foto a sfondo sessuale per farsi una sega, altrimenti avrebbero diffuso le mie informazioni personali a tutti». «Una sera ero in giro con le mie amiche, eravamo vestite con pantaloni lunghi e canottiera, in 10 minuti abbiamo subito 5 catcalling e perfino proposta da un uomo di salire in macchina. Abbiamo chiamato il fidanzato di una delle nostre amiche che ci ha accompagnato fino a casa. Con lui tutti uomini molesti sono spariti. Sono tornata a casa e non ho dormito per la rabbia». «Ero in gita alle medie quando mio compagno di classe mi ha palpata dicendo che voleva provare la sensazione». Queste sono solo alcune delle testimonianze di violenza subita che ha riportato Sara, studentessa del liceo Righi di Roma, che insieme ad altri compagni della sua e altre scuole, per il 25 novembre, ha scelto di raccontare quello che vivono tutti i giorni migliaia di adolescenti.

Alle voci riportate da Sara sono seguiti gli interventi di chi lavora tutti i giorni nei centri antiviolenza, di chi si batte per trasformare le università in spazi sicuri per tutti i generi, di cittadine comuni che hanno chiesto rispetto e spazi d’espressione. E la riproposizione delle domande più frequenti che chi va, da anni, nelle classi a parlare di sessualità e affettività si sente chiedere spesso: «Da, “come un figlio può aiutare una madre che affronta problemi prevalentemente finanziari per colpa del padre?” A “quali sono i servizi di supporto psicologico per le vittime di violenza? Fino a che faccio se rimango incinta a non voglio dirlo ai miei genitori?” o “perché devo avere paura di uscire di casa?», riporta Milo Serraglia, formatore e attivista trans di Non una di Meno, prima di concludere: «Io finché ho la forza ci vado nelle scuole a rispondere a queste domande, non posso esimermi», dice riferendosi al ddl Valditara che introduce l'obbligo del consenso scritto dei genitori per medie e superiori per trattare a scuola temi legati alla sessualità, mentre un coro parte spontaneo dalla piazza: «Valditara vattene».

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