Dal ricovero all’ultima apparizione in piazza San Pietro. L’attenzione agli ultimi, agli “scartati” dalla storia, a chi lascia la propria terra per fuggire con la famiglia in cerca di una vita più giusta e degna di essere vissuta, caratterizzerà infatti l’intero pontificato. Dal primo all’ultimo giorno
Alla fine non ce l‘ha fatta. L’ultima battaglia papa Francesco l’ha combattuta contro la polmonite che gli ha aggredito i bronchi imponendogli quell’immobilità assoluta che era stata rifiutata dal pontefice finché i medici sono riusciti a farsi valere, ma era, evidentemente, troppo tardi.
Il papa, secondo le informazioni ufficiali diffuse dal Vaticano, è morto alle ore 7,35 del 21 aprile, questo il comunicato della Sala stampa vaticana, fatto dal cardinale americano Kevin Farrell, a nome della Santa Sede: «Carissimi fratelli e sorelle, con profondo dolore devo annunciare la morte di nostro Santo Padre Francesco. Alle ore 7:35 di questa mattina il Vescovo di Roma, Francesco, è tornato alla casa del Padre. La sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della Sua chiesa. Ci ha insegnato a vivere i valori del Vangelo con fedeltà, coraggio ed amore universale, in modo particolare a favore dei più poveri e emarginati. Con immensa gratitudine per il suo esempio di vero discepolo del Signore Gesù, raccomandiamo l'anima di Papa Francesco all'infinito amore misericordioso di Dio Uno e Trino».
IL RICOVERO
Tutto era cominciato lo scorso 14 febbraio, quando il pontefice, che già aveva dato dei segni di cedimento nei giorni precedenti in cui, a causa dell’affaticamento respiratorio, non era riuscito a leggere omelie e angelus, è stato ricoverato al policlinico Gemelli di Roma. «Questa mattina – recitava il primo scarno comunicato diffuso dal Vaticano – al termine delle udienze, Papa Francesco si ricovera al Policlinico Agostino Gemelli per alcuni necessari accertamenti diagnostici e per proseguire in ambiente ospedaliero le cure per la bronchite tutt'ora in corso».
Poi nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, la conferma che la questione era seria: «I primi esami effettuati dimostrano una infezione delle vie respiratorie. Le condizioni cliniche sono discrete; presenta lieve alterazione febbrile».
Infezione, poteva voler dire anche polmonite. Cosa che è stata definitivamente accertata martedì 18 febbraio, quando un bollettino reso noto in serata, restituiva un quadro generale oggettivamente critico delle condizioni di salute del pontefice. Vi si leggeva infatti che: «Gli esami di laboratorio, la radiografia del torace e le condizioni cliniche del Santo Padre continuano a presentare un quadro complesso». «L'infezione polimicrobica, insorta su un quadro di bronchiectasie e bronchite asmatiforme – proseguiva il testo – e che ha richiesto l'utilizzo di terapia cortisonica antibiotica, rende il trattamento terapeutico più complesso».
Quindi veniva data la notizia peggiore: «La tac torace di controllo alla quale il Santo Padre è stato sottoposto questo pomeriggio, prescritta dall'equipe sanitaria vaticana e da quella medica della Fondazione Policlinico A. Gemelli, ha dimostrato l'insorgenza di una polmonite bilaterale che ha richiesto un'ulteriore terapia farmacologica». Da qui in avanti le cose sono ulteriormente precipitate.
Il 22 febbraio infatti si registrava un’ulteriore crisi respiratoria che portava i medici a parlare di “prognosi riservata”; successivamente si è tornati a vedere un barlume di speranza, Francesco ha scritto infatti il testo dell’angelus per domenica 23 febbraio, ma era orma evidente che il quadro clinico complessivo andava deteriorandosi.
Tuttavia nelle settimane successive, il papa sembrava essersi ripreso, almeno in apparenza, lo staff medico che lo aveva in cura al Gemelli scioglieva la prognosi, e Francesco poteva tornare a Santa Marta come era suo desiderio; evidentemente sentiva che la fine era vicina – durante il ricovero per due volte era stato vicino alla morte, spiegheranno i medici successivamente – e voleva riprendere il contatto con le gente, con i fedeli, e i collaboratori più stretti, fra i quali il Segretario di Stato Pietro Parolin.
Poi negli ultimi giorni aveva ripreso anche una sorta di attività diplomatica, sia pure a scartamento ridotto: aveva infatti ricevuto la breve visita del sovrano inglese Carlo III accompagnato dalla consorte Camilla; poi, aveva avuto modo di salutare il vice presidente degli Stati Uniti JD Vance.
Infine nella giornata del giovedì santo, in piene celebrazioni pasquali, si era recato nel carcere romano di Regina Coeli per salutare ed esprimere la propria vicinanza a un gruppo di detenuti, nell’occasione aveva detto: «Sempre il giovedì santo mi è piaciuto venire in carcere per fare come Gesù la lavanda dei piedi. Quest’anno non posso farlo, ma posso e voglio essere vicino a voi. Prego per voi e per le vostre famiglie».
Un papa migrante
Per ironia della sorte, sembra che l’evento fatale per la salute di Francesco sia stata la partecipazione al Giubileo delle forze armate, quando il papa è rimasto per due ore al freddo, domenica 9 febbraio. Forse una leggerezza dei suoi collaboratori? Difficile rispondere con il senno di poi, sta di fatto che è stato fatale per il pontefice l’appuntamento in piazza san Pietro con quei militari cui ha chiesto di essere forza di pace, di rinunciare agli armamenti come strumento di offesa e di dare un senso alla loro attività soltanto ponendosi a difesa del proprio paese.
Nel suo ultimo messaggio, quello della benedizione Urbi et Orbi della domenica di Pasqua, Francesco ha scritto: «Quanta volontà di morte vediamo ogni giorno nei tanti conflitti che interessano diverse parti del mondo! Quanta violenza vediamo spesso anche nelle famiglie, nei confronti delle donne e dei bambini! Quanto disprezzo si nutre a volte verso i più deboli, gli emarginati, i migranti».
Interessante, in tal senso, quanto ha scritto la rivista dei gesuiti italiani, “Aggiornamenti Sociali”, in un editoriale dedicato alla scomparsa del papa argentino pubblicato oggi: «Sul piano politico, Francesco si è dovuto misurare con un tempo di profonda incertezza. Il ritorno della guerra in Europa, il susseguirsi di crisi nel Medio Oriente, i tanti conflitti dimenticati che rappresentano “una guerra mondiale a pezzi” e lo sgretolarsi del sistema multilaterale che ha retto le relazioni internazionali negli ultimi ottant’anni: elementi che hanno messo il tema della pace al centro del magistero di papa Francesco in un modo drammaticamente attuale».
«La sua diplomazia – si legge ancora – si è distinta per l’impegno nella mediazione di conflitti internazionali e per la denuncia delle conseguenze disumane delle guerre in termini di vite umane distrutte, di danni all’ambiente, di inasprimento delle disuguaglianze sociali ed economiche. Inoltre, in un contesto globale caratterizzato da crescenti derive populiste, papa Francesco ha operato una netta distinzione tra un’autentica vicinanza al popolo e la strumentalizzazione delle sue paure per fini politici».
Jorge Mario Bergoglio, è morto all’età di 88 anni (compiuti lo scorso 17 dicembre), è stato eletto papa il 13 marzo del 2013. Figlio di immigrati italiani, i suoi genitori hanno origini piemontesi e liguri, è nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, sarà arcivescovo della capitale argentina dal 1998 al giorno in cui viene eletto al Soglio pontificio. È stato il primo papa proveniente dal continente americano, il primo pontefice gesuita e il primo a scegliere di chiamarsi Francesco. Della sua origine di figlio di migranti rimarrà traccia nel suo magistero da papa; l’attenzione agli ultimi, agli “scartati” dalla storia, a chi lascia la propria terra per fuggire con la famiglia in cerca di una vita più giusta e degna di essere vissuta, caratterizzerà infatti l’intero pontificato.
Donne al comando
D’altro canto, Francesco fino all’ultimo ha insistito su alcuni dei temi che gli sono particolarmente cari. In tal senso, va sottolineato come il pontefice abbia nominato sabato 15 febbraio, suor Raffaella Petrini come presidente del governatorato del Vaticano (come aveva annunciato lui stesso poco tempo prima). E si è trattato della prima volta di una donna a capo dello Stato vaticano.
Una nomina, quest’ultima, che è arrivata poche settimane dopo la scelta di un’altra donna, una religiosa, a capo di un dicastero vaticano. Suor Simona Brambilla è, infatti, la nuova prefetta del dicastero per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, chiamata a ricoprire l’incarico da papa Francesco il 6 gennaio, anche in questo caso la decisione del pontefice ha introdotto una novità senza precedenti. Lo scorso 10 febbraio, inoltre, il papa ha pubblicato una lettera indirizzata ai vescovi degli Stati Uniti, nella quale prendeva una posizione netta contro le politiche repressive sulle migrazioni messe in atto dal presidente Donald Trump; il papa denunciava la violazione dei diritti fondamentali dei migranti e l’offesa che veniva da certe scelte politiche alla stessa dignità umana.
Sede vacante
Si tratta di questioni e tematiche che hanno suscitato polemiche e divisioni anche all’interno della Chiesa; segno che Bergoglio non ha voluto rinunciare fino alla fine a una interpretazione forte del Vangelo e a quell’idea di “chiesa ospedale da campo” aperta a tutti, chiedendo di ripartire dagli ultimi e da una riforma della Chiesa che non deve procedere per strappi, ma può comunque andare avanti mettendosi in ascolto “dei segni dei tempi”.
Se questo è già il passato destinato a incidere sul futuro della Chiesa, è giusto chiedersi ora cosa accadrà. Certo è difficile immaginare un conclave nel bel mezzo di un Giubileo, per lo meno in epoca moderna; di fatto l’anno santo si interrompe e inizia la sede vacante, durante la quale il cardinale Camerlengo, attualmente il porporato americano Kevin Joseph Farrell, gestisce l’amministrazione vaticana.
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