L’81 per cento delle donne tra i 36 e i 45 anni non riesce a dedicare nemmeno un’ora di tempo al giorno a se stessa. Il 70 per cento di quelle tra i 26 e i 35 anni dice di non avere alcuna possibilità di accesso allo smart working, il 53 per cento delle donne intervistate durante l’indagine di Unitelma Sapienza “Determinanti strutturali e meccanismi di riproduzione delle disuguaglianze di genere”, ammette - ancora oggi - di occuparsi da sola del lavoro domestico.

Queste sono solo alcune delle evidenze che emergono dal report della School of Gender Economics per fare un punto aggiornato sulle disuguaglianze di genere nel paese: che cosa le produce, perché si radicano, dove si manifestano, cosa contribuisce al loro propagarsi.

La ricerca analizza i dati sul rapporto tra lavoro di cura, tempo a disposizione, benessere e partecipazione economica delle donne, sia grazie a un questionario somministrato a quasi tremila partecipanti sull’impatto quotidiano della cura non retribuita sulle vite femminili, sia attraverso la ricognizione degli studi precedenti in materia.

Lo studio

«Abbiamo lavorato tre anni a questa ricerca che mette nero su bianco, nonostante la falsa narrazione consolatoria secondo cui ormai le donne sarebbero dappertutto, che la parità di genere è lontana», dice Azzurra Rinaldi direttrice della Direttrice della School of Gender Economics che, in collaborazione con Claudia Pitteo del gruppo di ricerca dell’università, ha guidato lo studio: «La situazione per le donne in Italia, nella realtà, peggiora. Abbiamo perso 22 posizioni per il divario di genere, negli ultimi tre anni, secondo il Gender gap Index 2025 del World Economic Forum. Siamo all’85° posto su 148. Nel nostro paese lavora poco più di una donna su due contro il 70,4 per cento degli uomini», aggiunge Rinaldi prima di fare una panoramica delle discriminazioni che gravano sulle donne e sul peso che ha, nella loro determinazione, il lavoro di cura gratuito: dall’educazione, fino alle opportunità di carriera.

«L’ostacolo più grande, ancora oggi, per le donne che voglio essere parte del mercato del lavoro è la maternità: hanno meno possibilità di essere assunte dopo aver avuto un figlio. Mentre se lavorano hanno meno chance di crescita professionale e più possibilità di percepire stipendi bassi», chiarisce Pitteo, durante la presentazione del rapporto avvenuta in Senato, su iniziativa del senatore del Partito democratico Filippo Sensi, il 1° dicembre, prima di evidenziare che a partire dai dati – come quelli dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro che registra 708 milioni di donne escluse dal mercato del lavoro per responsabilità di cura – l’indagine apra a una prospettiva inedita: la discriminazione che le donne subiscono ogni giorno riguarda anche il tempo, quello che possono effettivamente dedicare a sé stesse, alla formazione e alla crescita professionale. Che diventa una risorsa economica distribuita in modo diseguale.

La scarsità di tempo personale a disposizione, si capisce infatti dal rapporto, è il meccanismo centrale attraverso cui il gender gap si produce e si perpetua. Perché il lavoro di cura gratuito sottrae tempo al lavoro retribuito e all’attenzione nei confronti di se stesse, causando danni al benessere della persona: l’83 per cento donne tra i 25 e i 35 anni si dice cronicamente stanca, emerge sempre dal questionario che mette in luce anche la giovane età di chi si sente sopraffatta.

«Forse è il peso delle aspettative di chi arriva a confrontarsi con un mercato del lavoro che non è a sua misura? Così, per restare, è costretto a pedalare di più degli altri?», si chiede la giornalista Manuela Perrone, convinta che il mondo occupazionale contemporaneo abbia come modello l’uomo bianco, senza responsabilità genitoriali e con infinite ore da dedicare all’azienda.

Alternative

Ma non solo dati preoccupanti. Dall’indagine emergono anche proposte di soluzioni: servirebbero una più equa collaborazione del partner nelle responsabilità di cura, una diversa organizzazione degli orari di lavoro e una maggiore flessibilità in entrata e uscita, per migliorare la condizione di molte donne.

«Cambiamenti strutturali, politiche pubbliche. Per fare della disparità tra i generi una questione politica. Non sblocchiamo l’occupazione femminile se non affrontiamo il tema del lavoro di cura. Così come non ha senso parlare tanto di denatalità senza prendere in considerazione il tema del benessere delle donne, che è la chiave», sintetizza la senatrice Pd Cecilia D’Elia. «Sono temi che nella finanziaria non vengono presi in considerazione. Questa legge di bilancio non promuove l’empowerment femminile, il contrario. Stiamo perdendo una grandissima occasione di crescita per il paese», aggiunge ancora D’Elia, anche grazie alla consapevolezza che se mettessimo le donne nelle condizioni di lavorare, il tasso di crescita del Pil, previsto dello 0,4 per cento per quest’anno, raddoppierebbe.

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