Il Mupa è visitabile fino al 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Chi guarda le opere si trova nell’anno 2148 – l’anno in cui si stima il raggiungimento dell’uguaglianza di genere – e osserva l’organizzazione sociale e il modello di potere passato, quello del 2025. Una mostra del futuro per analizzare il presente
Tre ante di legno, una affianco all’altra, su cui sembra che qualcuno abbia sferrato un pugno. «I reperti raccolti nel trittico mostrano una deturpazione causata verosimilmente da un pugno in ambito domestico», si legge nella descrizione dell’opera. «Si può individuare con relativa certezza il genere dell’autore della violenza. Episodi simili erano tutt’altro che rari, ma venivano minimizzati dagli uomini italiani dell’epoca». L’opera “Trittico: pugni su anta” racconta come in un lontano passato la violenza di genere, in tutte le sue forme e intensità, non venisse problematizzata. Chi la guarda si trova nell’anno 2148 e osserva l’organizzazione sociale e il modello di potere passato, quello del 2025.
A Roma, allo Spazio AlbumArte il 20 novembre alle 18 apre al pubblico il Mupa, il Museo del Patriarcato, visitabile fino al 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La data non è casuale: il 2148 è, secondo l’ultimo Global Gender Gap Report, l’anno in cui sarà raggiunta l’uguaglianza di genere.
E appena si varca la porta del Mupa, dopo aver camminato sull’opera all’ingresso “Calpestare” – uno zerbino con la scritta Patriarcato – ci si ritrova a guardare criticamente il presente con lo sguardo di chi si è liberato della cultura patriarcale. «Immaginare e manifestare il futuro che desideriamo può a sua volta cambiare il presente», ricorda la mostra. «Noi non pensiamo che sia utopistico sconfiggere la violenza maschile contro le donne – dice Fabiana Costantino, coordinatrice della campagna di ActionAid che ci accompagna nella visita – Occorre però investire su politiche in un’ottica di genere».
Liberarsi dalla violenza
L’atto di pulirsi le scarpe e calpestare lo zerbino richiama una forma di disprezzo ma vuol dire anche «liberarsi della cultura sistemica che ci ha accompagnato fino a pochi anni fa», si legge. È infatti un viaggio attraverso opere, testimonianze e reperti, «ritrovati nei meandri più angusti delle case, delle relazioni sentimentali, dei posti di lavoro e delle famiglie italiane dell’epoca», che racconta le dinamiche della violenza di genere.
«L’idea di fare questo viaggio spazio temporale, come se il nostro presente fosse un passato obsoleto, è molto interessante perché ci permette di riflettere veramente sull’oggi», dice Violante Placido a Domani. L’attrice e musicista inaugurerà il museo. La collezione non pretende di essere esaustiva, perché «il patriarcato è un fenomeno profondamente radicato e pervasivo». Ma mette in luce anche l’intersezione tra il genere e altri livelli di discriminazione.
È evidente nell’opera “Gender Pay Gap Reveal”: una piramide composta da buste paga vere e anonimizzate, che rappresenta idealmente un organigramma aziendale e mostra come le posizioni apicali erano «saldamente presidiate da figure maschili». Si scende di livello, le occupazioni si fanno impiegatizie, la presenza di donne aumenta. Per poi arrivare alla base della piramide, con lavori come «addetta pulizie», dove prevalgono le donne e le persone con background migratorio e lo stipendio diminuisce.
La violenza di genere assume moltissime forme e quella fisica è solo la più visibile. «Quella economica è una delle forme meno riconosciute nelle statistiche», dice Costantino. I cubetti di legno che costruiscono una piramide che arriva al femminicidio raccontano come la violenza sia fatta di stalking, catcalling, molestie, sensi di colpa, umiliazioni, diffusione di foto intime. Violenze spesso legittimate e ritenute accettabili: per un uomo su quattro la violenza verbale e psicologica sono ampiamente motivate, ha rilevato il recente rapporto di ActionAid. E il 55 per cento dei millennial ritiene legittimo il controllo sulla partner.
Ruoli stereotipati
Secondo ActionAid l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole non è sufficiente, ma la prevenzione primaria – a cui dovrebbero essere vincolati il 40 per cento dei fondi antiviolenza – dovrebbe coinvolgere tutte le generazioni: «Il cambiamento culturale non può essere indirizzato solo ai giovani», sottolinea Costantino, «non possiamo pensare che gli adulti siano perduti».
Di certo, l’assegnazione di ruoli di genere cominciava fin da piccoli, con giocattoli – come mostra una delle opere – assegnati a uno o all’altro genere, facendo sì che gli stereotipi venissero introiettati dai primi anni di vita. Anche il cinema spesso riproduce gli stereotipi di genere. «Probabilmente ho anche rallentato la mia carriera», racconta Violante Placido, «perché mi sono trovata a dire dei no di fronte a personaggi femminili relegati a un’immagine da giudicare, senza le sfaccettature necessarie per raccontare la complessità dell’identità di una persona».
Reazionari
«La libertà della donna nella società al pari di un uomo fa si che certi privilegi vengano meno», continua Placido, «ed è per questo che alcuni uomini scalpitano, e cercano di sminuirne l’esistenza». Anche l’apertura di questo museo, e la sua riflessione provocatoria, ha scatenato la stampa di destra che ha tentato screditare il progetto ancora prima della sua apertura.
La decostruzione di un ordine che attribuisce privilegi solo a un ristretto gruppo di persone, a scapito di altre, porta a resistenze, alcune volte anche minacciose. Una persona ad esempio si è iscritta a uno degli eventi in programma undici volte, con il nome di Filippo Turetta, il femminicida di Giulia Cecchettin. Non solo un tentativo di occupare lo spazio, ma anche di intimidire.
Perché mostrare il sistema di privilegio può far paura. Ed è quello che fa il museo: disvela la percezione delle donne dello spazio pubblico, il controllo, il mansplaining, le visioni stereotipate.
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